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Franca Leosini ci spiega Peaky Blinders

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Fugaci speranze, tempestosi silenzi come colpi di pistola brucianti e fatali. Sono i flebili attimi di vita di una famiglia di recente storia, di consistente memoria.

Sono Franca Leosini, sì, proprio Lei, la madrina di Storie Maledette. Eccomi qui per narrarvi storie di eroiche imprese e di malinconiche torture ventricolari. Sono tornata più in forma di prima babbaloni!

A proposito di ciò, devo per mia involontaria volontà ricordarvi il passato, un tempo ormai andato, così torbido e oscuro che mi vede protagonista. Come giornalista e come essere umano, come donna dinanzi ad un’altra donna. Parlo della precedente storia maledetta. Devo per mia onerosa ingiuria mettervi il link di quella efferata precedente puntata, altrimenti i miei editor in regia mi intortano ben bene ahahah ciao a voi, puntigliosi giovincelli. Lo trovate qui, insito nella parola qui, così immediata eppure così distante dalla concretezza dell’adesso.

Ed ecco, cari babbaloni, che vado a mostrarvi un altro scorcio di vita, un’altra vista su quello che è il distopico scenario della serialità mondiale. Ecco a voi Peaky Blinders.

Parliamo di una storia a puntate, ma non del tipo di Beautiful, anche se mi hanno chiamato più volte sul set per indagare e scavare nelle profondità della trashaggine affinché scoprissi le cause delle morti di vari omuncoli dalle bucoliche abilità recitative. Ma no! Non parliamo di tutto questo zozzume che si dirada e si agglomera come fumo negli occhi.
Oggi, noi ci eleviamo, oggi studiamo la vita e chi la vive.

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Fragile come un gambo di sedano (permettetemi l’autocitazione dalla mia scorsa apparizione televisiva), la trama di Peaky Blinders comincia così. In un nebbioso angolo di una Birmingham storica, tra mocassini obiettivamente discutibili e terra ramata calpestata da uomini e cavalli. Siamo nel lontano, ma poi neanche tanto, 1919. Sono le ore 10 e 23 e gli indizi cominciano a defilarsi formando attimo dopo attimo, una linea retta, come quella del film Il Codice Da Vinci.

Ed è qui, in questo punto della linea cronologica che cominciano ad affacciarsi al balcone della serialità i protagonisti, consentitemi, zuzzurelloni, che faranno da padroni in tutte e quattro le stagioni. Anche se, dagli atti processuali, si evince il profilarsi di una quinta opera magna. E noi, bellissimi e da me amatissimi puledri selvaggi, non vediamo l’ora, come si suol dire.

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Ma non c’è famiglia senza capostipite, e per quanto si voglia offrire alla donna il ruolo di madre e di potente maestra dell’accudimento, in questa storia, in questo piccolo grande quartiere, il capo è uno solo e di nome fa Thomas Shelby con due acca, che fa elegante.

Non è Alain Delon, ma di sicuro è più bello di Ivano If you know what I mean.

Diecimila pagine di processo, una dopo l’altra, tutte avevano un solo microscopico particolare in comune. Proprio Thomas Shelby. Ecco, sembra quasi che tutto derivi da lui, dalle sue azioni, dai suoi pensieri. E sono proprio i pensieri, in una concezione più alta, la ratio latina, che costituiscono le idee. Le stesse idee che hanno permesso a Thomas, capo dei Peaky Blinders, di guadagnarsi il nome e la fama. Ma non la fame, lo avete mai visto mangiare voi? Io no, pare devoto all’arianesimo, camperà d’aria evidentemente. Se ce l’avessi dinanzi gli direi ‘Ah Tommy! Vieni a farti una vacanza a Napoli, ci vuole un po’ di misura e di pizza nelle cose. Non si può campare d’aria, babbalone!

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Ma dicevamo. Ogni uomo ha bisogno però della sua famiglia, Thomas la trova nelle mura accoglienti di casa, nell’affetto dei suoi fratelli e nella fermezza rigida nonché nella razionale severità di Polly Gray. Una donna dall’eleganza sublime e certosina, che certo non le manda a dire. È la dama dei Peaky Blinders, colei che con raziocinio e raffinatezza conduce la rivoluzione femminile. Una lotta proletaria a cui tutte noi, donne, bambine, anziane e Meryl Streep che non invecchia mai, vorremmo partecipare.

La sua è una storia di volenterosi sguardi dall’animo zozzone e di personalissima devozione al Dio pecunia.

Il tempo scorre inesorabile e siamo quasi alla fine di questo viaggio, manca solo un dettaglio, un pezzo del puzzle da incastrare. Le guerre interne, le opposizioni psichiche e necessarie che si riscontrano ed emergono volentieri da un personaggio in particolare, Arthur. Fratello del precedente inquisito e detentore del record di nervosi crolli in così breve tempo. Condizione che lo porterà a scontrarsi più e più volte contro i muri costituiti dai suoi tenebrosi nemici, gli stessi che sfidano e accusano i Peaky Blinders tutti, anche i fratelli più piccoli che all’inizio possiamo dirlo, servivano solo a coprire gli angoli interni altrimenti vuoti delle case. Ed è proprio questo, per concludere, che denota un evidente horror vacui del regista e dei suoi collaboratori, minuziosi bipedi colpevoli di cotanto capolavoro audiovisivo.

Ebbene signori miei, zuzzurelloni del mio cuore, sapete quanto io vi ami e quanto io mi faccia attendere. Badate bene non essere dipeso dalla mia volontà ma dalla ricercata tendenza alla perfezione delle spiegazioni  dei singoli casi. Ci vediamo quindi alla prossima puntata, non fate i babbaloni che la zia Franca vi guarda da lontano e la mamma Sciarelli vi trova e vi protegge. E non temete, nella mia assenza potete trastullarvi gioiosamente leggendo i miei fans della pagina Uccidere il proprio partner per essere intervistati da Franca Leosini. Ma mi raccomando, come dicono gli americani: don’t try this at home. Arrivederci.

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