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La nostra intervista a Luca Zizzari, che ci ha raccontato i segreti della quarta stagione di Peaky Blinders

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Non credo sia possibile esprimere a parole le sensazioni e le emozioni che abbiamo potuto provare giovedì 8 e venerdì 9 Marzo al Peaky Blinders, cocktail bar unico nel suo genere nel cuore di Roma. Abbiamo avuto l’onore di intervistare Luca Zizzari, alias Matteo, braccio destro di Luca Changretta, nella quarta stagione di Peaky Blinders.

Siamo stati accolti come a casa, ed è probabilmente questa la grande arma segreta dei ragazzi del Peaky Blinders. Oltre ai cocktail pensati espressamente per catturare il carattere e la personalità di ciascun ospite o l’atmosfera fumosa in grado di catapultarci nella Londra di cento anni fa non appena varcata la soglia. Ci siamo sentiti esattamente come nel salotto di casa, gremito di gente pronta ad accogliere un perfetto estraneo che di lì a poco si sarebbe trasformato in quel fratello maggiore tornato da un lungo viaggio, e che ci ritroviamo a guardare con occhi pieni di speranza e curiosità.

peaky blinders

Luca Zizzari è un ragazzo come tanti che ci ha messo un po’ a trovare la propria strada. Un ragazzo come noi che ha avuto il coraggio di lasciare il proprio paese e la propria casa all’inseguimento di un sogno. Un ragazzo che ha scelto di coltivare la propria passione nonostante la paura, nonostante le difficoltà e tutte quelle persone che gli dicevano che non ce l’avrebbe fatta. Ha preso in mano la sua vita e ha deciso di realizzare il proprio sogno, e ad ogni passo è sempre più vicino alle stelle che da bambino guardava attraverso un semplice televisore. Luca ci ha incantato con i suoi racconti, il suo sorriso e la sua contagiosa allegria.

E insieme a lui abbiamo cercato di penetrare attraverso i segreti che si nascondono dietro la macchina da presa di Peaky Blinders: chi si cela davvero dietro il bel volto di Tom Hardy? Che cosa significa lavorare al fianco di un premio Oscar come Adrien Brody? E soprattutto cosa succede quando i nostri sogni diventano realtà?

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Com’è successo che un ragazzo di Legnano iscritto a ingegneria meccanica si sia ritrovato a lavorare sul set di Peaky Blinders?

Si può dire che sia iniziato tutto per caso. A 18 anni mi sono trasferito a Londra per imparare la lingua, e un giorno il mio insegnante di Letteratura e di Inglese, Richard Smith, mi disse: «guarda stiamo mettendo in scena la Tempesta di Shakespeare e mi mancano degli attori, saresti disponibile per leggere la parte del duca di Milano?». Io Shakespeare non l’avevo mai letto, e non credevo di essere la persona giusta per farlo, «però- gli ho detto- se proprio vuoi io ci provo». Andai e appena finito mi disse: «Secondo me non devi fare l’ingegnere meccanico, secondo me tu sei nato per fare l’attore». Ci pensai, certo, ma sul momento non potevo prenderlo sul serio. La recitazione è sempre stata parte di me, e in fondo avrei sempre voluto farlo, ma fino ad allora la presi sempre per un gioco. Lasciai gli studi e mi arruolai come steward per la British Airways. Mi sembrava un buon modo per girare il mondo senza fare la fame. Dopo quattro anni lavoravo per la Lufthansa ma sapevo che quello non era il lavoro della mia vita. Tornai a casa dall’ennesimo volo e in televisione c’era Toro Scatenato di Martin Scorsese. Ero appena tornato da un lungo viaggio, volevo riposarmi, spogliarmi e mettermi comodo, eppure l’interpretazione di De Niro mi rapì completamente. Quella sera dimenticai di cambiarmi, dimenticai di mangiare o di mettere a posto la valigia. Dimenticai tutto. Davanti a me solo Robert De Niro. A un certo punto Jake LaMotta davanti allo specchio recita un monologo di Marlon Brando dal film “Sul Fronte del Porto”, lo stesso film che guardai da ragazzino prima di partire per Londra. E lì capii che forse Richard Smith aveva ragione: dovevo fare l’attore. Quali tipi di studi fare però? Io avevo giusto un diploma e un percorso di studi mai concluso. Così dopo un po’ di ricerca trovai un insegnante di sistema e metodo di recitazione, seguendo la scuola di Lee Strasberg che ha insegnato ai più grandi del cinema come Marlon Brando, De Niro, Al Pacino o Terence Hill. Combinazione vuole che il corso sarebbe iniziato da lì a poco. Ancora una volta il destino ci ha messo lo zampino. Nonostante il mio entusiasmo a casa non l’hanno presa così bene. Non ero sicuro di aver fatto la scelta giusta, ma era la mia passione,  ce l’avevo nella mia anima,  nella carne e nelle ossa, e quello doveva essere il mio destino.

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Visto che tu arrivi alla quarta stagione di Peaky Blinders, avevi mai guardato la Serie prima di proporti per la parte?

Non ero un fan accanito, però mi ricordo che una sera, era un martedì o un mercoledì, non ricordo bene, e stavo stirando, perché mia moglie non stira, stiro io a casa, e le ho detto «Guarda se c’è una Serie Tv in cui vorrei essere coinvolto è questa, è Peaky Blinders» perché mi piaceva la fotografia, mi piaceva la sceneggiatura, mi piaceva la profondità dei personaggi. È una serie alta, raffinata ed elegante. E se dovevo partecipare ad una serie doveva essere quella. È ambientata nel secolo in cui davvero è successo di tutto: in 100 anni sono successe più cose che nei mille anni precedenti, e tutto comincia nel tempo in cui è ambientato Peaky Blinders.

Com’è andato il provino? Come sei arrivato a interpretare il personaggio di Matteo Changretta nella quarta stagione di Peaky Blinders?

In realtà il percorso è stato più lungo di quanto si possa pensare. Il primo provino che feci era per Antonio, l'”aiuto chef” mandato per assassinare Thomas Shelby in casa sua il giorno di Natale, che  non finisce molto bene. La scena del provino era proprio quella del terzo grado che Tommy Shelby fa ad Antonio. Io non ero assolutamente orgoglioso del provino, non mi era piaciuta la mia performance, eppure il mio agente mi chiamò quella sera dicendomi che gli ero piaciuto tantissimo e che volevano provarmi per un altro ruolo, quello di Federico, un altro scagnozzo di Luca Changretta che dura un po’ di più di Antonio quanto meno. Il provino consisteva in questo self-tape dell’incontro nell’ufficio di Luca Changretta. Dopo ciò dovevano prendermi per forza, ma la risposta continuava a farsi attendere. Dopo una settimana mi dissero che dovevo fare un altro provino/self tape. «Ma per chi stavolta?». Una parte di me sperava nel ruolo di Luca Changretta a questo punto. Ovviamente il ruolo era quello di Matteo. Feci questo self-tape con mio cognato nel ruolo di Federico e mia moglie nel ruolo di Luca Changretta. Che, detto tra noi mia moglie c’ha due coglioni così, che Luca Changretta può accompagnare solo! Ho fatto il provino, gliel’ho mandato e dopo un paio d’ore il mio agente aveva scaricato i file, e già dopo un paio di minuti mi chiamò per dirmi le sacrosante parole “troppo bello”. Ma a una settimana prima delle riprese non mi avevano fatto sapere ancora niente. Quel giorno mi stavo allenando, mi arrivò una chiamata: era Luc, il mio agente. «What’s going on, man?» «Hai la parte». Ero fuori di me, ho gridato di gioia, e ho cominciato a fare tanti di quei pull-up che sento ancora male ai muscoli. Così una settimana dopo mi sono ritrovato sul set con Adrien Brody e Tom Hardy.

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Come è stato il tuo primo approccio sul set, la prima scena, e il primo incontro con i grandi attori di Peaky Blinders?

Il primo giorno ci trovavamo negli studi di Manchester, dove si trova lo studio di Thomas. Lì feci il make up, provai i costumi, e incontrai per la prima volta Adrien Brody, Paul Anderson e Kate Phillips (Linda Shelby). Per me di make up in realtà non c’era bisogno, ma dovevo tenermi i baffi. Quanto non volevo quei baffi. Tu immagina prendere il treno con Paul Anderson in quello stato. Cioè, il mondo non è Peaky Blinders in realtà: ci avrebbero guardato malissimo. Laura Schiavo mi ha convinto, è lei che ha inventato questo look per i gangster inglesi di Peaky Blinders. Mi ha dato due giorni per farmi crescere i baffi, aggiungendo però con il mascara l’effetto foltezza per il primo giorno di riprese. Dovete sapere che io per farmi crescere i baffi ci metto settimane se non mesi, ma quelli finti davvero non li avrei sopportati. Il primo vero grande incontro invece è stato quello con Adrien Brody: mi chiese di aiutarlo a provare la scena con Tom Hardy, per cui era abbastanza preoccupato. Tom aveva appena concluso le riprese di Mad Max, ed era venuta fuori la notizia che c’erano stati problemi tra lui e Charlize Theron. E probabilmente Adrien si era lasciato influenzare da queste notizie, per cui era più agitato di me e mi chiese di provare un po’ insieme. Dove secondo voi? In camera mia ovviamente! Lui cercava di mantenere abbastanza il segreto sulla sua partecipazione in Peaky Blinders, quindi dopo aver evitato i paparazzi, siamo entrati in albergo dall’entrata di servizio, dopo aver salutato il lavapiatti che si fumava la sigaretta, e lo chef che spadellava cose. Ed evidentemente la sua stanza era troppo un casino, quindi bisognava fare le prove per forza nella mia.  Così nei minuti in cui ci separammo per prepararci chiamai la mia mamma «Mamma mamma mamma! Sai chi sta per entrare nella mia stanza? Il Pianista!!!!». Il giorno dopo arrivammo sul set. La prima scena che abbiamo girato è quella del quinto episodio, in cui ci incontriamo io, Luca Changretta e Alfie Solomons nella distilleria di quest’ultimo. Era stata mia moglie a dirmi che avrei lavorato con loro il primo giorno, ma ancora non mi sembrava vero. Arrivammo in questa vera distilleria di rum a Liverpool. Una puzza sconcertante, cartelli con su scritto “Beaware of the rats“, e Adrien Brody che gli inveiva contro «Fuck! Beaware of the what? Fuck», per poi farmi notare che oltre ai ratti c’era anche la muffa nera sui muri. E certo, perché io la prima cosa che penso adesso con affianco Adrien Brody e Tom Hardy è la muffa nera sui muri! Le prime riprese che facemmo furono quelle dell’entrata, con gli extra che entrano nello studio di Alfie Solomons mentre questo inscenava la cecità. Come arrivammo, David Caffrey mi disse che avremmo fatto delle prove solo noi tre. Quello è stato il momento più bello per me. Mandai un messaggio a mia moglie in cui le dissi che ero nella stessa stanza con Adrien Brody e Tom Hardy. In pratica un orgasmo. Quella doveva essere una giornata di 10 ore, ne abbiamo spese 14 tra la muffa e i ratti, ma non me ne fregava niente, per me è stato fantastico.

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Scusa se ti interrompo, ma tu sei la nostra arma per andare oltre il velo di Maya e non posso non approfittarne: com’è effettivamente lavorare con Tom Hardy e con Adrien Brody?

Tom e Adrien sono due personaggi completamente diversi. Adrien è più all’antica diciamo, una vecchia scuola, più preciso e concentrato, e magari avrà dei limiti all’interno del suo ruolo, mentre Tom non ha limiti, fa la scena e come va va, al massimo la rifacciamo. Segue sempre il testo perché comunque Steven Knight è uno sceneggiatore fantastico, creatore di Chi vuol essere milionario, e aveva già lavorato con Tom Hardy in Locke e in Taboo. Ma pur seguendo il testo Tom resta completamente imprevedibile. Quando abbiamo fatto le riprese del quinto episodio eravamo tutta la troupe, una cinquantina di persone circa. Abbiamo speso tipo mezz’ora a fare le prove: la mezz’ora più bella della mia vita. Fare le riprese con Tom è un divertimento, è un gioco continuo, non ci si annoia mai,  per quanto dopo il ciak si torna tutti molto seri e professionali.

Invece con gli Shelby come ti sei trovato?

Con Joe Cole ho speso una giornata, perché in fin dei conti l’ho ucciso e per certe cose c’è bisogno di tempo. Con lui, con il fratello Finn Cole, ossia Michael, e Aimee-Ffion Edwards (Esme) ho trascorso l’ultimo giorno di riprese in assoluto a Buxton, una sorta di luogo paradisiaco, terme naturali, colline tipiche inglesi in pieno stile Rob Roy, dove il telefonino non prendeva manco a morire. Eravamo tutti senza WI-FI, senza rete, senza niente…

Sarete stati tutti molto concentrati allora…

Sì sì, eravamo tutti incazzati neri più che altro. Però in effetti era lo stato d’animo adatto per ammazzare John Shelby.

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E a proposito del protagonista Cillian Murphy: che cosa mi racconti?

Cillian Murphy è una persona molto seria, lui è un produttore esecutivo della Serie e sicuramente ci ha messo del suo nelle scene dei Changretta. Lui a livello professionale è molto molto serio, non gli piace avere il telefonino sul set, non lo vedrai mai su Instagram o WhatsApp, esattamente all’opposto di Tom Hardy. Cillian è sposato con la sua ragazza da quando erano ragazzini, dai sedici anni, è un papà ed è più riservato sulla sua vita, non ama stare sotto i riflettori. Cillian fa il suo lavoro, gli piace conoscerti, e imparare. Mi chiese come si pronunciasse Alfonso Capone, io glielo dissi ma poi Adrien promosse la pronuncia “Alfons Capon”. Provai a contraddirlo ma Adrien è di Chicago e la pronuncia italiana se ne andò a quel paese.

Secondo noi di Hall of Series, la mafia è stata resa in modo un po’ troppo stereotipato. Tu per caso hai dato qualche consiglio in merito?

Mio suocero è un criminologo e negli anni ’80 ha girato un documentario sulle origini della mafia,  a cui tra l’altro mi sono ispirato per entrare nel mio personaggio. Intervistò molti ex pentiti della Cosa Nostra americana. Lessi uno dei suoi libri e parlai con lui per diverse ore per cercare  di penetrare davvero quel mondo comprendendolo il più possibile. Imparai che in principio la mafia era composta da contadini che aspiravano ad una vita migliore e a salvaguardare i siciliani che emigravano negli USA. Ne parlammo con David Caffrey e Adrien Brody, ed entrambi erano assolutamente d’accordo, ma in ultima istanza Caffrey sottolineò che lo show si chiamava Peaky Blinders e non The Changrettas, e purtroppo c’è una politica che va rispettata. Peaky Blinders non vuole essere vicino alla realtà da nessun punto di vista, e così molte cose sono state omesse, ed altre relegate a dei cliché. E poi c’è stato il grande problema della lingua! Durante le riprese del terzo episodio, a David Caffrey venne questa geniale idea «Why don’t we all speak in sicilian?» al chè io e Jake ci guardiamo e ci rendemmo conto che a quanto pareva non era molto chiara la differenza tra la lingua italiana e il dialetto siciliano.  Cercammo di spiegarlo a David e di fargli capire che ci sarebbe voluto un po’ di tempo per imparare il dialetto. «Ok, vi do qualche ora» fu la risposta. E a quel punto ci immaginammo le reazioni che ci sarebbero potute essere in Italia a un nostro modo di parlare in siciliano. In ogni modo mandai le battute a un mio cugino siciliano, Filippo, perché abbiamo tutti almeno un parente siciliano in fin dei conti e lui mi rispose con tutte le battute in una nota vocale su WhatsApp. E così io, grazie a lui e a una clip di  Mary per sempre, imparai il siciliano. Jake era ancora meno contento di me, tant’è  che Jake parla italiano in Peaky Blinders, mentre io la tento con il siciliano, spero in modo quanto meno sufficiente. Luca Changretta invece ha coniato direttamemente un nuovo dialetto anglosiciliano. Provai a dirgli che aveva qualche problema con il suo dialetto. Cioè io avrò avuto anche problemi con il mio, ma il suo… Insomma. Lui mi chiese quale fosse il problema, e io gli dissi semplicemente “E non ti capisco!”. Ma lui aveva un cugino che aveva un amico siciliano quindi… Siamo andati a studiarci insieme le battute, ma nonostante tutto non ce l’abbiamo fatta. Quando girammo con Jacopo, io cercai di avvertirlo: “Just say your lines”, non pensare a ciò che dice lui. Cominciammo a girare, Adrien dice le sue battute, passa a Jake e finalmente Adrien si rende conto, ma alla fine resta un muro. “Don’t worry, I got it”,”Ok, ok, you got it, we didn’t…!”.

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Ma ritornando alla famiglia Changretta, si può dire che voi siate stati i primi a mettere davvero in difficoltà la famiglia Shelby. C’è stato di più rispetto a quello che abbiamo visto sulle scene della quarta stagione?

In realtà dovete sapere che la quarta stagione sarebbe dovuta essere molto più lunga, e nei tagli si perde un po’ quello che è il tema principale della stagione: il tradimento. Nella famosa scena del terzo episodio, quando avviene quella discussione tra Luca Changretta, Matteo (cioè me) e Federico (interpretato dal franco-fiorentino Jake), Luca Changretta dice a Matteo che lui è un uomo del teatro, che lui ama il teatro, e dopo lo scambio di opinioni sul modo di vestirsi,  inizia a dirmi che la sera prima era stato a teatro a vedere il Giulio Cesare di Shakespeare. Inizia a raccontarci la storia, e ci chiede: « Who’s Brutus, who’s Cassius amongst us?». Io mi giro verso Federico e gli faccio «Ma cosa sta dicendo?». E da questo momento Luca Changretta diventa paranoico, e inizia a pensare che se Thomas Shelby è stato tradito dalla sua stessa famiglia, forse neanche lui si può salvare. Sfogherà poi la sua paranoia proprio su Matteo, ingozzandolo con questi tipici dolci inglesi, e poi nella scena seguente gli versa sul viso del tè bollente. Però David Caffrey decise di tagliarla perché la scena era troppo intensa, troppo forte e rischiava di prevaricare sugli Shelby. E così questa scena non la vedremo mai. Come nel quarto episodio, nella scena in cui siamo fermi con la macchina e poi Aberama Gold ci attacca dalla boscaglia. Anche quella in origine era molto più lunga e troppo intensa a detta di David Caffrey. In realtà io ero alla guida di una macchina incastrata tra altre due. Nel momento in cui Luca ed io comprendiamo che qualcosa non va mi dà l’ordine di andare, così io tampono la macchina davanti e la macchina dietro e nell’inversione di marcia cominciamo a sparare. Ma no, troppo densa ancora una volta.

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Ci vorrebbe uno spin-off per tutta questa eccessiva densità a questo punto! Ma comunque, a proposito di futuro… Il tuo personaggio ci sarà nella prossima stagione?

Non lo so, è ancora tutto top secret, però uno può speculare: Michael va negli Stati Uniti a dirigere l’impresa, Matteo va negli Stati Uniti a parlare con Al Capone, quindi tutto può essere. Può darsi però che la quinta stagione si svolgerà di più sul comunismo, e inoltre ci muoviamo  verso la seconda guerra mondiale, per non parlare del fatto che Thomas Shelby è diventato un parlamentare. Tutto dipende da quanto avanti si sposta la storia. In ogni modo non c’è buon sangue tra Michael e Thomas quindi chissà… Non so quanto sia possibile mettere tutte queste cose in una prossima stagione. Per quanto riguarda Alfie Solomons posso dire che sia veramente morto. E no, non l’ha preso di striscio, gli ha preso la faccia non c’è niente da fare. Tra l’altro ho parlato con Tom Hardy del suo nuovo progetto su Al Capone. Lo interpreterà in un momento diverso rispetto alle solite rappresentazioni, tipo quella di De Niro ne Gli Intoccabili. In quel film sarà malato e sofferente in carcere.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza di Peaky Blinders dal punto di vista sia lavorativo che umano?

Dal punto di vista lavorativo sicuramente mi sono arrivati tantissimi provini, nuovi ruoli da interpretare e nuove avventure in cui imbarcarmi. Poi sarà comunque un’esperienza indelebile della mia vita, mi è piaciuto scoprire come questi attori da Oscar si approcciano a questo lavoro. Nessuno è mai troppo vecchio per imparare né troppo giovane per insegnare.

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In autunno uscirà in Italia la seconda stagione de “I Medici” di Ian Michelini, e tu avrai un ruolo. Ci puoi dare qualche anticipazione?

Beh a parte che probabilmente Sean Bean morirà (ride), o se gli va bene ammazzerà qualcuno, posso dirvi che io interpreterò il ruolo di una spia di Carlo De Medici (SPOILER in arrivo) per capire chi sta complottando per ammazzarli, e a differenza di Matteo mi vedrete morire davvero molto male.

E visto che ci troviamo qui a parlare di Serie Tv varie, oltre che a lavorarci, tu guardi anche Serie Tv?

E come non potrei! Al momento sto impastato con Narcos, tantissimo, ma anche El Chapo, e mi piace tantissimo Ozark, ed ovviamente House of Cards.

E purtroppo so che tu non guardi Game of Thrones…

Non lo guardo ma ho fatto i provini per Game of Thrones, per dei ruoli che probabilmente non dovevano neanche propormi. Avrei dovuto interpretare un ruolo al seguito di Peter Dinklage, Tyrion, però non mi ricordo né il ruolo né la stagione. Dovevo essere uno dei suoi condottieri che veniva ammazzato praticamente subito da un clan. Era una scena a cavallo, c’era questo duello. Davvero molto divertente da girare… Una gran cagata devo ammetterlo, i dialoghi erano anche molto belli, ma il personaggio non era decisamente per me.

Hai altri progetti in ballo?

Adesso sto lavorando a un lungometraggio con Franco Nero. È un progetto che mi sta a cuore perché parla di prigionieri di guerra italiani lasciati dal fascio a marcire in Nordafrica senza munizioni e senza aiuti. Una volta catturati dagli Americani molti di loro vennero deportati o in Scozia o negli Usa, e impiegati in lavori forzati a costruire ferrovie, fabbriche o lavorare in fattorie. Si parla di una storia vera, mai raccontata e molto vicina a noi. Grazie a questo film ho davvero compreso quanto divisa fosse l’Italia, anche tra i prigionieri nei campi di concentramento, e quando vennero gli Americani, questi prigionieri furono presi di mira e aggrediti in un modo non troppo diverso rispetto agli immigrati attuali. Siamo stati tutti emigranti e profughi, e in un qualche modo lo siamo ancora. All’interno di questa storia c’e anche l’amore, tra Orlando, in principio burattinaio siciliano e poi pugliese, che si innamora di Laura, una ragazza americana. Cosa che ovviamente crea discordie tra i concittadini americani nello stato dell’Indiana e i prigionieri italiani. Bellissima storia scritta da Alessandro Michael De Gaetano. Dovremmo iniziare le riprese nel mese di settembre.

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Con Luca Zizzari abbiamo parlato di vita, di sogni e speranze, e insieme al pubblico abbiamo imparato a guardare Peaky Blinders da tutta un’altra prospettiva. Ed io non posso che sentirmi infinitamente onorata per aver avuto la fortuna di conoscerlo, e di brindare con lui e con i ragazzi del Peaky Blinders ai folli che non vogliono smettere di sognare.

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