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Che palle Thomas Shelby

Peaky Blinders
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Aprirò con una confessione che temo accomuni un’altissima percentuale di donne. Gli uomini complessi, o per meglio dire complessati, mi affascinano. Quindi quando ho iniziato Peaky Blinders, che ha quella fotografia, quella violenza, quella scurrilità gratuita, quel caso umano che è Thomas Shelby… insomma, il mio cuore si è sciolto.

Ma come accade in tutte le cotte, presto o tardi arriva il momento di aprire gli occhi e vedere la realtà per quella che è davvero. E con Thomas Shelby, per me, è arrivata abbastanza in fretta.

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Cillian Murphy dà corpo e voce a un personaggio che ne ha di motivi per trascinarsi dietro una sempreverde malinconia.

Il che, ovviamente, gli conferisce un certo charme. Anche se qui c’è chi non è esattamente d’accordo. La fascinazione deriva non solo dal fatto che Thomas Shelby covi in sé questa sorta di malsana sensibilità. Infatti, nonostante si presenti come un poeta maledetto mancato, la scrittura non è esattamente il suo mestiere. Lui è il boss di una gang criminale, anzi, della più potente gang criminale che controlla Birmingham. Il romanticissimo ossimoro tra uomo tormentato e criminalità conquista, c’è poco da fare. C’è chi vorrebbe avere un Thomas Shelby al proprio fianco, e chi vorrebbe essere come lui. In ogni caso, il suo fascino è inespugnabile.

Quanto a lungo questa dicotomia riesca a reggere, però, è un altro paio di maniche.

Peaky Blinders offre come protagonista una contraddizione errante. A un certo punto però ci si chiede perché Thomas Shelby non applichi la stessa risolutezza che ha negli affari anche nei rapporti coi suoi cari. E, sopratutto, nel rapporto con se stesso. Poiché Tommy sarà pure un criminale, ma rimane un’eterna vittima. Dei fugaci e rari momenti di pace il nostro protagonista non sa proprio che farsene e se c’è un modo per rovinare il quieto corso degli eventi, lui lo troverà. E magari dopo aver combinato il danno alzerà lo sguardo al cielo, tenendo la sigaretta tra le labbra, e chiuderà gli occhi in segno di un “Perché a me?” tacito.

Perché sei un manipolatore autodistruttivo, ecco perché.

Thomas ha un vissuto particolarmente difficile: la perdita della madre e il trauma della guerra lo hanno inasprito e reso cinico, anche se solo all’apparenza. Questo però non lo giustifica. Non è corretto far ricadere le proprie insicurezze e i propri demoni sugli altri, tantomeno usarli per alleviare le pene. O sfruttarli come pedine in un gioco nel quale si rischia la vita, e a tal proposito Lizzie Stark ne sa qualcosa.

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Se è vero che perpetrare gli errori è diabolico, allora Satana e Thomas potrebbero essere la stessa persona.

Il nostro bandito inglese continua a viaggiare in una spirale di passi falsi e autocommiserazione dalla quale ancora non ha saputo (o voluto?) trovare un’uscita. E se dapprima i tuoi tormenti potevano ispirare una certa empatia, alla lunga gli stessi lamenti diventano solo un fardello di noia e petulanza.

Sotto diversi aspetti, Tom Shelby mi ricorda molto Don Draper (nel caso foste nostalgici, buttate un occhio qui). Entrambi sono i numeri uno nei rispettivi ambiti, ma i rapporti umani sono un campo minato su cui non hanno la benché minima idea di come muoversi. Perciò l’unica via è la fuga.

In definitiva, Thomas non è solo un criminale gentiluomo. È anche un codardo perbene.

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