In un pianto interrotto,
in quella che è la sua voce invisibile,
l’uomo e la sua oscurità
si accompagnano per mano,
con gli occhi nascosti alla verità della luna
intonano un inno alla vita,
come al silenzio della notte.
L’inno, d’un tratto ha nome.
Sound Of Silence.
Sono certo che la solitudine possa guarirmi. Oscurità, mia vecchia amica ho ripreso a parlarti ancora, non credo di avere molti altri modi per riconoscere di essere vivo. Se non dedicarmi a quello che faccio sempre, ogni notte, in attesa che gli incubi passino, o che diventino finalmente così concreti da poterli combattere e farmi uccidere… una volta per tutte.
Cammino solo, attraverso strade strette e ciottolose, ricordando il motivo per cui ho scelto di tornare indietro dall’Inferno. Forse sarei dovuto rimanere esattamente lì dov’ero, ascoltando il suono sordo dei miei pensieri, immaginando un’epoca più recente a quella di chi mi sta dando voce in questi istanti. Riuscendo così a dare ancora più aria al fuoco della mia malinconia, fischiettando una canzone che non conoscevo ma che adesso sento mia. Sound Of Silence.
Il suono del silenzio, del mio silenzio, ha dato senso a tutte le mie notti da quando sono tornato. Me ne rendo conto solo ora, quando alla luce dei lampioni sollevo il bavero contro il freddo e l’umidità. Mi proteggo da qualcosa che in realtà sarebbe solo l’ennesima prova della mia esistenza.
Non voglio! Non capisco perché devo realizzare di essere vivo. Ormai non guardo la mia ombra, non ce n’è più bisogno. So esattamente dov’è, da quale parte del mio corpo spunta, longilinea e quasi invisibile. A dare prova di come nel tempo le cose cambiano, evolvono e di come invece la mia ombra sia sempre così infinitamente sola e pronta a scomparire, pian piano, quando le prime luci dell’alba cominciano ad avvicinarsi.
O quando i bagliori della compagnia, migliaia di persone, o forse più, che parlano senza emettere suoni, che ascoltano senza udire.
Quando anche la poesia di una canzone, Sound Of Silence, diventa un insieme di versi che nessuno mai canterà, perché nessuno al mio passaggio, osa disturbare il suono del silenzio.
È sempre la stessa sensazione ad arrivare dritta, come un treno, sbattendo con tutta la sua forza contro la mia anima già da troppo tempo distrutta. Basterebbe, ogni volta, spostarsi e lasciare che qual treno faccia il suo corso, esaurendo tutta l’energia nel vuoto della notte. Ma io, Thomas Shelby, leader dei Peaky Blinders, ho fatto un voto a me stesso, mi sono lasciato dietro demoni più grandi e ora quella sensazione che con violenza mi travolge, facendomi solo tremare per lo scontro, è nulla.
Solo il ricordo di qualcosa che c’è ancora, non un rimorso, non un dolore, solo la vera storia che si avvicina pericolosamente e che si scrive da sola, urtando uno dei personaggi che consapevole della sua morte cerca di evitare la vita. Sono loro stesse, le persone che vivono i loro giorni sperando in qualcosa di buono che non capiscono quanto questo silenzio sia distruttivo. Almeno voi, stupidi, voi non sapete che il silenzio cresce come un cancro. Ribellatevi, voi che potete, non lasciate che le mie parole cadano come gocce di pioggia, riecheggiando solo nei pozzi del silenzio.
il ricordo di essere vivo, la speranza che prima o poi una ritrovata felicità possa scacciare via il peso che sempre più grava sul mio cuore. Ma nessuno capiva quanto fosse struggente per me vederli pregare un dio che non esisteva, che soffriva proprio come loro e che prima o poi sarebbe dovuto morire. Sono un dio solo nel buio della notte. La luce che accendendosi a intermittenza sussurra nel suono del silenzio.