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Pechino Express ci rende tutti un po’ più liberi

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla decima edizione di Pechino Express

È una sensazione che conosciamo tutti, o quasi: la sensazione che si prova nel momento in cui si prenota un volo o si prende un’auto, un treno o chissà quale mezzo, si prepara tutto il necessario e si parte chissà dove. Chissà con chi, anche quando gli unici nostri compagni siamo noi stessi. Chissà perché, chissà come. Chissà perché si viaggia, d’altronde. Le motivazioni possono essere le più disparate, ma due elementi distintivi accompagnano i viaggiatori di ogni angolo del mondo, destinati verso ogni angolo del mondo: scoprire e scoprirsi. Se non riscoprirsi, talvolta. Specie se all’interno di un’esperienza audace, persino estrema. Nel momento in cui non ci sentiamo abbastanza completi e abbiamo bisogno d’altro. Al di là delle nostre abitudini, delle nostre certezze, della nostra routine. Al di là della quotidianità, verso che quello che potrebbe trasformarsi in un vero e proprio spartiacque nelle vite di ognuno. Lasciamo una casa per trovarne un’altra, ci mettiamo in discussione, abbracciamo la bellezza di un variegato microcosmo in cui immergerci e ci ritroviamo là, dove sorge una nuova alba, ad assaporare l’essenza dell’essere vivi nelle forme più imprevedibili.

È una sensazione bellissima, ed è una sensazione che purtroppo c’era mancata a lungo, nelle fasi più acute di una pandemia che ci aveva costretto a chiuderci nelle nostre abitazioni, restringere gli orizzonti e limitarci al sogno. A occhi aperti, contando i minuti che ci avrebbero separato dall’annuncio successivo di un comandante prossimo al decollo. In quei periodi – e non solo in quei periodi, per chi purtroppo non può viaggiare manco ora – una trasmissione televisiva diversa da tutte le altre ci aveva permesso di superare i confini di casa anche quando ci avevano chiesto di non farlo. Una trasmissione fantastica che sarebbe limitante definire un “game show”. Oppure, se preferite utilizzare un’espressione che in questo periodo storico suona sempre peggio, un “reality show”. Uno di quelli che abbattono le convenzioni, rinunciano volentieri alla volgarità e a uno storytelling ormai stantio del quale si abusa da troppo tempo, e perseguono la realizzazione della propria missione. Attraverso una strada autonoma, vera, consolidata eppure ancora eclettica anche a distanza di undici anni dalla messa in onda della prima puntata.

Parliamo ovviamente di Pechino Express, arrivata alla sua decima edizione senza sentire in alcun modo il peso degli anni che passano. Una trasmissione a cui oggi vogliamo rendere omaggio perché ci rende tutti un po’ più liberi.

In onda prima sulla Rai e poi, nelle ultime due edizioni, su Sky, Pechino Express ha riscritto a modo suo le regole di una certa tv, troppo spesso ancorata a una spettacolarizzazione estrema fine a sé e figlia di una scrittura che sembra non tenere in considerazione a sufficienza l’intelligenza di una fascia importante di spettatori. Un’altra tv, però, è possibile anche quando possibile non pare esserla affatto, e la trasmissione condotta nel corso degli anni da Emanuele Filiberto di Savoia, Costantino Della Gherardesca ed Enzo Miccio lo certifica. Una boccata d’aria fresca, in un panorama televisivo che fatica non poco nel rispondere alle esigenze di tutti. E che valica i confini dei target ricercati per sublimarsi in un racconto essenziale dai tratti documentaristici, senza rinunciare ad alcuni imprescindibili elementi chiave della narrazione dei generi nei quali è in qualche modo catalogabile.

In qualche modo, perché Pechino Express è difficilmente incastonabile in definizioni stringenti. In fondo, quali termini utilizzereste se Alberto Angela decidesse un giorno di prendere le redini de L’Isola dei Famosi, inserendo al suo interno una produzione naturalistica della BBC e un pizzico di Geo & Geo o Linea Verde? Probabilmente non sareste in grado di utilizzarne mezzo, e non sarebbe difficile comprendere il motivo: Pechino Express è, allo stesso tempo, tutto ciò e niente di tutto questo. È, semplicemente, un unicum nel panorama italiano. Un unicum che allarga i nostri orizzonti e ci permette di immergerci anima e corpo in lidi fin lì inesplorati, attraverso prospettive soggettive che si universalizzano tappa dopo tappa tra missioni improbabili, panorami inediti, sapori peculiari e un’estremizzazione costante del senso più atavico di un’esplorazione ludica, permettendoci così di familiarizzare con volti più o meno noti dello spettacolo o dello sport in un modo assolutamente nuovo. Il format rappresenta l’occasione unica e inimitabile per ritrovarsi al centro del viaggio di una vita: un viaggio che con ogni probabilità non ci sarebbe mai passato per la testa di voler affrontare.

“No disagio, no parti”, d’altronde. Come evoca il poster promozionale della decima edizione, vinta dalla coppia di italo-americani composta da Joe Bastianich e Andrea Belfiore. I disagi, infatti, non mancano mai: chi affronterebbe mai un viaggio dall’altra parte del mondo senza un soldo in tasca, un posto in cui dormire e un mezzo col quale spostarsi nelle terre più impervie individuate da una produzione illuminata? Chi si avventurerebbe in un Borneo pressoché incontaminato con un solo zaino in spalla, di corsa da una parte all’altra col solo fine di godersi l’esplorazione e, possibilmente, arrivare prima degli altri dopo aver affrontato le prove più assurde? Pochi, pochissimi. Eppure, una volta conclusa la visione, i pensieri che corrono nella testa sono solo due: avere immediatamente una nuova edizione e, nel mentre, prenotare il primo volo per la Cambogia e vivere un’esperienza da senzatetto, assaggiare una tarantola fritta, attraversare una linea ferroviaria a bordo di una modesta tavola di legno e trionfare in una prova vantaggio che nessuno ci chiederà mai di interpretare.

Ecco perché Pechino Express ci rende davvero liberi: fa venire voglia di uscire dalla confort zone anche agli spiriti più pavidi e di vivere un viaggio del tutto diverso da quelli che abbiamo vissuto nel corso delle nostre vite.

Troppo simili tra loro in gran parte dei casi, a prescindere da chi siamo e dove ci siamo diretti: esperienze turistiche confortevoli, omologate e per questo un po’ meno piene, al di là dell’avvenenza delle località visitate e la qualità dei compagni. Ma Pechino Express non è questo: è un’avventura profonda, viscerale, davvero completa. Capace di arricchirci con nuove storie e prospettive differenti che si portano con sé anche nel momento in cui si chiude la parentesi e si ritrova la quotidianità. E sì, è anche un gioco, anche una competizione, anche una sfida in cui si fronteggiano degli avversari ed è legittimo voler vincere, ma è prima di tutto una traversata nell’ignoto in cui confrontarsi con dei compagni capaci di condividere lo spirito del viaggio e connettersi con realtà fin troppo distanti da quelle a cui siamo abituati.

Non si tratta di una sterile retorica funzionale all’impacchettamento del prodotto, ma di una realtà che si è consolidata nel tempo attraverso le identità dei viaggiatori che hanno saputo arrivare fino in fondo e vivere da protagonisti assoluti le varie edizioni: identità ben distinte e difficilmente associabili, ma unite dalla capacità di far propria senza compromessi l’anima di un gioco intenso. Un’anima che anche noi, seduti sul divano di casa, abbiamo imparato a fare nostra nel corso del tempo. Mentre il richiamo irresistibile dell’Oriente ci chiama a sé e sussurra l’idea di evitare, almeno una volta, la solita vacanza. Per riscoprirci più vivi che mai tra le infinite sfumature di uno straordinario mondo, alla ricerca di un tappeto rosso in cui liberare le peggiori paure. Chissà dove, chissà quando, chissà con chi, chissà come, chissà perché.

Niente male, per quella che dovrebbe essere semplicemente una trasmissione televisiva.

Antonio Casu

Pechino Express – Le pagelle della finale della decima stagione