La miniserie HBO Chernobyl si compone di personaggi che, nonostante la breve durata (solo cinque episodi), riescono a rimanere impressi nella mente degli spettatori, a scavare un piccolo solco nel loro cuore. Legasov, Vasilij, Lyudmila e persino il freddo Ščerbina risultano alla fine tutti inevitabilmente vittime, chi in un modo e chi in un altro, del più grande disastro umano mai verificatosi. In questo senso, il personaggio di Ulana Khomyuk rappresenta un caso molto particolare: la donna scienziata, interpretata da Emily Watson, è l’unica non realmente esistita nella gestione del disastro nucleare. È un personaggio completamente fittizio, ma non per questo meno incisivo e determinante nella trama.
Molto brevemente, potremmo dire che è una scienziata dell’istituto per l’energia nucleare dell’Accademia di scienze della RSS Bielorussa, che diventa membro della squadra che investiga sul disastro. Si dimostra figura chiave per aiutare Legasov a vedere degenerati gli effetti della catastrofe e grazie alla sua intraprendenza riesce a raccogliere una serie di testimonianze all’ospedale numero 6 di Mosca, che risultano cruciali per ricostruire correttamente quanto accaduto la notte del 26 aprile 1986.
Questa scelta non è affatto casuale: non si tratta, infatti, di una scelta dettata dalla necessità di integrare stilisticamente o narrativamente la storia. Come spiega il creatore della serie:
«Le donne nel governo politico dell’Unione Sovietica sono state davvero poche», afferma Craig Mazin. «Ma un’area in cui i sovietici erano in realtà più progressisti rispetto agli Stati Uniti era nel campo della scienza e della medicina: l’Unione Sovietica aveva una percentuale molto alta di dottoresse. Aveva perso milioni di uomini durante la seconda guerra mondiale e così le donne avevano cominciato a ricoprire posizioni importanti in campo scientifico».
Gli autori della serie, con il personaggio fittizio di Khomyuk, hanno voluto omaggiare i tanti fisici e ingegneri che collaborarono con Legasov nei mesi successivi all’incidente.
Quello che Ulana Khomyuk rappresenta è, dunque, un omaggio, un simbolo: la personificazione del valore del sapere scientifico quando fa valere le proprie ragioni su quelle politiche e la propria utilità sui tempi della burocrazia. Ulana è, inoltre, una donna come ne esistevano tante nel panorama scientifico dell’Unione Sovietica in quel momento anche se non avevano un ruolo di spicco ai vertici del potere politico.
Ulana Khomyuk non è mai esistita, ma sta a dimostrare una verità storica, una donna nel campo scientifico sovietico che in nome della scienza fa valere le proprie ragioni per proteggere milioni di uomini dagli errori di una società patriarcale superando le barriere di genere alla ricerca della conoscenza e della verità.
Il rapporto che Ulana stringe con Legasov, professionale ma animato da quel pizzico di umanità necessario per comprendere il peso delle decisioni che devono prendere, la dice lunga su come Chernobyl abbia cercato di scavare nella psiche dei suoi protagonisti. È questo il motivo per cui la finzione incrocia la realtà in questo modo tristemente reale, senza lasciare modo allo spettatore di cogliere a pieno il confine, vedendosi dunque trasportato in quella che è solo una brutta storia che non va dimenticata, per evitare che si ripeta.