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Philip Dick’s Electric Dreams – Il primo racconto è la paura dell’ignoto

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Una gioviale scossetta elettrica, trasmessa dalla sveglia automatica incorporata del modulatore d’umore che si trovava vicino al letto, destò Rick Deckard.

Così si apre quel romanzo noto come “Do Adroinds Dream of Electric Sheep?” (“Ma gli adroidi sognano pecore elettriche?”) scritto da uno dei folli padri della fantascienza che affronta con toni cinici e glaciali un mondo che di umano ha ormai ben poco, ma non perché siano giunti a colonizzarlo nuove razze o perché gli androidi rappresentano un numero schiacciante della popolazione. No. L’umanità si sta perdendo, tra animali fantocci e droghe sintetiche, tra deserti fisici ed emotivi in cui uomini e donne vagano senza scambiarsi un saluto, chiusi nella propria apatia. E per paradosso sono gli androidi ad apparire vivi e umani.

Al cinema era stato Ridley Scott nel 1982 a portare in vita la storia del detective Deckard nel volto tormentato del bello Harrison Ford, ora il testimone è passato a Ryan Gosling e al regista Denis Villeneuve nel sequel Blade Runner 2049.

La febbre “Philip Dick” non si esaurisce al cinema e anche nelle Serie Tv il mondo noir dell’autore affascina, prima con The Man in The High Castle (in Italia il romanzo di riferimento è “La svastica sul Sole”) e adesso con Electric Dreams, Serie Tv antologica in dieci episodi, ognuno dei quali ispirato a un omonimo racconto.

Le pecore elettriche divengono così metafora per descrivere in queste storie mondi assurdi, distopici e futuristici in cui l’unica cosa a non essere cambiata è l’oscurità dell’animo umano.

Electric Dreams

La prima di queste dieci storie è “The Hood Maker”. In un mondo futuristico, post-computer e post-internet, gli umani convivono tra mille difficoltà insieme a una razza mutante di telepati, chiamati in maniera dispregiativa “teeps”. Mentre il distretto di polizia deve fronteggiare le continue proteste a seguito della legge Anti Immunità (una sorta di legge anti terrorismo) che permetterebbe ai teeps di avere completo accesso ai pensieri di tutti, l’agente Ross insieme alla telepate Honor inizia una ricerca tra i bassifondi della città per trovare un uomo misterioso che si fa chiamare “Fabbricante di Cappucci” e che rischia di distruggere la fragile pace.

La città tentacolare in cui la vicenda si svolge non può che ricordare quella di Blade Runner, una caotica giungla di gas e luci a neon. É solo il primo dei diversi elementi così cari a Philip Dick e che in Electric Dreams ritroviamo: le droghe, il difficile rapporto con le donne, la repressione poliziesca e soprattutto cosa è reale e cosa non lo è.

Si perché The Hood Maker inizia con una premessa per concludersi nella direzione opposta. La minaccia del fabbricante sembra mettere in serio pericolo i teep e trovarlo diviene quindi una prerogativa, in realtà i cappucci che impediscono ai teep di accedere ai pensieri dei normali divengono la fiaccola della rivolta. La protesta sotterranea ma sempre presente sfocia in vera e propria guerra aperta portando alla distruzione della città e alla rivalsa di quegli emarginati che nella prima parte della puntata avevamo considerato vittime.

The Hood Maker non rappresenta però la vittoria del popolo, la salvezza degli oppressi ma la distruzione definitiva di un mondo che si basa sulla sfiducia e la menzogna, dove conoscere la mente di una persona sembra bastare per conoscerne anche il cuore. È un desiderio comune, forse. Quello di leggere i pensieri di chi ci sta attorno ma come The Hood Maker insegna non è questa la soluzione ai nostri problemi, anzi.

Ecco che allora l’agente Ross, interpretato da Richard “il re del Nord” Madden, vestito di impermeabile e borsalino come un vero investigatore da film noir, rappresenta l’unica vera eccezione a una società che non conosce mezzi termini: chi si chiude in un ostinato silenzio fatto di bugie e sporchi segreti e chi si apre così tanto da perdere se stesso.

Ross potrebbe essere la speranza e l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui la fiducia deve essere conquistata e non strappata a forza, la vera immunità di Ross potrebbe renderlo un’arma o un salvatore ma ecco che la storia si conclude tragicamente con una città in fiamme e un interrogativo.

Adesso tutto risiede nelle mani di Honor.

Electric Dreams

È infatti Holliday Granger il personaggio più enigmatico di questa prima puntata di Electric Dreams, con l’aggiunta della sua Honor. Da un lato vuole una vita diversa, non si sente partecipe della rivolta e desidera di potersi integrare con i normali. Più e più volte nel corso della puntata cerca di ingraziarsi gli agenti, primo tra tutti Ross che ha su di lei un ascendente particolare e ben presto scopriamo perché. Non potendo leggergli la mente, Honor non è “invasa” dai pensieri che tutte le persone solitamente hanno. Il fiume che in tutte le menti è il caos, nel caso di Ross rappresenta invece la calma placida e la serenità.

Da un lato, quindi, Honor si abbandona a questa parvenza di normalità e insieme a Ross è decisa a portare a termine il proprio compito e a non immischiarsi nelle faccende dei teep, dall’altro lato però, non appena scopre ciò che Ross le ha taciuto e si rende quindi conto dell’impenetrabilità della mente dell’uomo, Honor non ci pensa due volte a chiudersi la porta alle spalle condannandolo a morte certa. Perché la bugia di Ross pesa così tanto ad Honor? Perché se ne è innamorata forse?

Non penso che la risposta sia solo questa. Penso che nel momento in cui Honor ha davvero compreso cosa significhi essere normali, nella sua incapacità di leggere Ross, questo l’abbia spaventata, l’ha fatta sentire impotente e fragile.

L’ignoto della mente di Ross, quello stesso ignoto con cui noi ci confrontiamo tutti i giorni, diventa una prova inaspettata per Honor, il cui sogno si infrange contro una scomoda realtà.

Adattato da Matthew Graham, The Hood Maker, la prima puntata di Electric Dreams, ci fa porre domande su sorveglianza, libertà, pregiudizio, diritti umani, tecnologia, potere, conoscenza, fiducia e democrazia.

Lascia però con l’amaro in bocca a conclusione ed in generale Electric Dreams ha una pecca. Fa riflettere ma non emozionare come il suo parente Black Mirror. La prima puntata della Serie Tv riesce a prendere, a toccare determinati punti con argomenti attuali e importanti ma manca la verve, il pugno allo stomaco, l’urlo mentale. Sì quello manca, per ora.

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