Attenzione: l’articolo contiene spoiler sul quarto e ultimo episodio di Piedone, uno sbirro a Napoli.
Siamo arrivati all’epilogo di Piedone, uno sbirro a Napoli, un episodio in esclusiva su Sky e on demand su NOW carico di attese e di nodi da sciogliere. Dopo un terzo capitolo che ci ha lasciati col fiato sospeso (e che, come abbiamo scritto nella recensione, ci era piacuto tantissimo), è il momento della resa dei conti, di affrontare la realtà e completare il ritratto di una città sfacciata e sfaccettata.
In questa chiusura, la serie sembra volerci mettere di fronte a un’amara verità: a volte sono proprio i fantasmi, con le loro battaglie irrisolte, a dimostrare più cazzimma dei vivi. Un finale che promette di lasciare il segno, intrecciando storie e destini con il peso delle ombre che non smettono di far rumore. Ma ci ha davvero convinto?
In Piedone, uno sbirro a Napoli, le ombre assumono fattezze plastiche, prendono vita e scompaiono come i rimorsi e l’onestà.
A dire la verità, l’episodio conclusivo di Piedone, uno sbirro a Napoli non è semplice da recensire. C’è tanto, forse troppo, da metabolizzare in un unico respiro. Come nelle precedenti puntate, lo stile narrativo tenta di bilanciare la crudezza degli eventi raccontati con quella nota di ironia che ormai è diventata un marchio di fabbrica. Eppure, dietro questa apparente leggerezza, si celano temi crudamente attuali.
Anche stavolta, la trama intreccia un caso a sé stante da risolvere: il lavoro a nero e il turismo predatorio, che nei suoi aspetti più estremi sacrifica i lavoratori sull’altare del profitto. Un argomento che, però, sembra quasi dissolversi nel marasma degli eventi e, soprattutto, sotto il peso della caccia al latitante Iodice. È lui, infatti, il cuore oscuro dell’intera vicenda, l’agglomerato di vendetta e tradimenti che si erge come un macigno sulla vita di Palmieri e, ormai, anche su di noi affezionati spettatori.
Sarà per questo che l’inizio della puntata scorre più lentamente, mentre sentiamo ancora bruciare le ferite di una morte passata in sordina. Il ping pong tra il monologo iniziale dell’ispettore Palmieri, il caso della donna scomparsa, una storia d’amore lasciata in sospeso e un’altra che finalmente sembra sbocciare come un fiore a primavera (Noviello e Cécile). Un continuo e tumultuoso alternarsi di emozioni. E poi ci sono le immancabili scene di scazzottate, l’azione serrata, la malinconia e le verità taglienti che non fanno sconti.
Tutto questo concentrato in un solo episodio di Piedone, uno sbirro a Napoli che, a tratti, lascia interdetti.
Bruno Barbieri lo definirebbe un mappazzone, e forse non avrebbe tutti i torti. Noi diremmo che Piedone, uno sbirro a Napoli avrebbe avuto bisogno di un paio di episodi in più per respirare, oppure di qualche scena in meno per risultare più incisivo. Per esempio, era davvero necessario l’ennesimo occhiolino a Breaking Bad con il campanello “pezzotto” dell’Hector Salamanca di Napoli?
In definitiva, si può parlare di una prima parte dell’episodio abbastanza deludente, e di una seconda parte che, invece, esprime al meglio tutto il potenziale della serie tv Sky Original. In particolar modo, vorrei soffermarmi sul personaggio di Sonia Ascarelli (interpretata da una meravigliosa Silvia D’Amico) che dal primo al quarto episodio dimostra una notevole evoluzione narrativa. Come sappiamo anche dalla conferenza stampa, il personaggio di Sonia Ascarelli è uno dei principali elementi di novità che distanziano il Piedone di Salvatore Esposito da quello di Bud Spencer.
La Sonia Ascarelli che abbiamo conosciuto, stretta tra rigore e ambizione, cede il passo a una professionista capace di seguire il cuore oltre le regole. No, non sto parlando dell’affetto che lega Ascarelli e Palmieri: qui si parla di un percorso interiore, dell’evoluzione di una donna che impara a confrontarsi con le ombre e i compromessi di un mestiere complesso in una città che non perdona.
È un cambiamento che in Piedone, uno sbirro a Naoli si consuma in una lotta silenziosa, contro quel vetro opaco che distorce la verità e mostra un riflesso amaro.
Un ritratto di padri pronti a tradire i figli e viceversa, e sogni ambiziosi che celano prezzi insostenibili, fatti di sangue e omertà. Sonia si muove in questo labirinto, affrontando una realtà che non si piega facilmente alla giustizia, ma che lascia spazio a una consapevolezza più matura e cruda. Dietro ogni compromesso, una lezione. Dietro ogni scelta, una ferita. E alla fine, è proprio attraverso queste cicatrici che si intravede la crescita di una vera protagonista.
La domanda che ci lascia il Piedone, uno sbirro a Napoli è proprio questa: quante forme può assumere un fantasma?
Probabilmente una risposta non ce l’abbiamo o non esiste. Così come la vendetta a volte può assumere gli stessi colori sbiaditi della verità, due sorelle cruente e quotidiane che albergano e proliferano tra vicoli in cui il crimine è la stessa cosa della giustizia. Una lotta di chiaroscuri che, ancora una volta, sono lo specchio di una società.
In definitiva Piedone, uno sbirro a Napoli passa il test della prima stagione, tra alti e bassi, qualche nota stonata e una struttura narrativa che ci prende dritti allo stomaco, anche quando avevamo previsto tutto. Una serie tv che si inserisce in un progetto più grande, che ambisce a far diventare la serialità italiana ciò che non ha mai avuto il coraggio di essere. E noi siamo già felici così.