Andata in onda dal 2007 al 2017 e poi dopo una pausa di 4 anni, nel 2021 con un’ ultima – per ora – nona stagione, Il Testimone ha scritto alcune delle pagine più brillanti nella storia della televisione italiana, regalandoci un prodotto unico che no, non può avere successori all’altezza del suo livello.
A metà tra uno scanzonato stream of consciousness e la profonda critica sociale, prima nascosta dietro gli intenti ironici e poi in prima linea negli episodi più seri e significativi del programma televisivo, Il Testimone ci ha preso per mano ormai 17 anni fa mostrandoci mondi che al tempo, adolescenti, bambini, o giovani adulti quali eravamo, non sapevamo neanche fossero del nostro o di un altro mondo. Mi viene in mente l’episodio Miss China in Italy, dove Pif seguì l’annuale elezione di Miss China nella cornice del casinò di Venezia, o di quando in L’animatore di villaggio seguì la giornata apparentemente senza fine di un gruppo di animatori turistici, rendendo finalmente tangibili tutte quelle dicerie più o meno veritiere sul mondo dell’animazione nei villaggi vacanza. Stessa sorte che è capitata anche nel pilot della primissima stagione Addio pizzo, in cui, Pif, da palermitano doc. quale è, racconta le storie comuni ma al contempo straordinarie di quei cittadini che si sono ribellati alle estorsioni mafiose.
Tutto, nello storytelling di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, passa dall’evanescente al tangibile, dall’ideale al reale, fornendoci un racconto privo di filtri in cui si specchiarsi, a volte, può fare anche un po’ male.
Ironico, ma ancor di più satirico, non c’è puntata de Il Testimone priva di una qualsiasi forma di morale; che si tratti della stellare giornata-tipo di Valeria Marini o della scoperta del particolare culto dei Raeliani. Come in una favola, la narrazione de Il Testimone, segue dei canoni cuciti sulla sua pelle, capaci di rendere quella retorica e ironica ricorsività di escamotage narrativi un suo punto di forza.
Iniziamo con il soliloquio esistenzialista, l’ironico stream of consciousness con cui, partendo da un punto spesso molto lontano, si arriva in maniera volutamente raffazzonata allo snodo principale che verrà trattato nel corso della puntata. Come in uno di quei vlog onnipresenti nel prime di Youtube dei primi anni 10, seguiamo sistematicamente come siamo arrivati all’inizio dell’avventura della puntata: quali mezzi di trasporto sono stati presi, quale pagina di Wikipedia ha ispirato il viaggio, quale chiacchierata ha scaturito la curiosità, quale meta e perché quella meta è sembrata tutto d’un tratto interessante al punto da volerne sapere di più. Ed è qui, mentre la nostra fantasia comincia a cavalcare, mentre i pensieri si aggrovigliano tra preconcetti e inscalfibili giudizi che, Pif, come un Virgilio un po’ impacciato, ci guida in un variopinta enciclopedia umana presentandoci, uno a uno, i personaggi di questa o di quell’altra storia. Abbiamo il protagonista, le comparse, gli attori non protagonisti, e qualche volta anche il villain. Senza cedimenti, senza mai interrompere l’ammaliante flusso del racconto, la favola fa il suo corso coinvolgendoci nella sua storia come se fosse qualcosa che ci appartiene, che ha veramente a che fare con noi, anche se si sta parlando del consumo di carne di balena in Groenlandia o della vita di un attore di fotoromanzi nel 2017.
Il Testimone non spettacolarizza mai i suoi racconti, ma anzi, rappresenta proprio la normalizzazione, lo sguardo paritario con cui si sospende il giudizio per tutta la durata della puntata lasciando libero spazio all’ascolto, che hanno fatto dello storytelling di Pierfrancesco Diliberto una voce unica nel suo genere. Sembra assurdo pensare che quindici, sedici, diciassette anni fa, per alcuni versi, alcune tematiche ostiche al tempo e oggi ancora di più venivano trattate con maggiore libertà, con sprezzo del pericolo, quello stesso che ha permesso a Pif di portare a casa puntate meravigliose come quella dedicata alle famiglie arcobaleno, alle transizioni di genere e i molteplici e necessari episodi dedicati all’incessante lotta contro la mafia. Con leggerezza sì, ma mai di intenti. Intrattenendo ed educando all’ascolto di chi non ha mai avuto l’opportunità di avere un microfono in mano per difendersi.
E poi ci sono i viaggi: Las Vegas, Dubai, Tokyo, Miami, Siena e il suo palio e Biella e il suo assurdo carnevale. Abbiamo capito cosa significa andare a dormire con il cuore a mille il giorno prima dell’estrazione delle contrade, e quanto possano fare male una decina di arance lanciate simultaneamente addosso in un pomeriggio di febbraio. Le follie di Las Vegas, quanta poca Italia ci sia in Little Italy e che bella vita facciano quelli che un giorno hanno detto ‘mollo tutto e mi apro un chioschetto a Ibiza’ e poi lo hanno fatto per davvero. Abbiamo assistito a riprese silenziose dei ghiacciai della Groenlandia, interrotte soltanto dal crepitio del ghiaccio, abbiamo scoperto che una delle più note parole della lingua siciliana in giapponese significhi ‘ho capito’, e non quello che crediamo noi. Abbiamo scoperto un sacco di cose e nel mentre ci siamo divertiti a scoprirle, come immersi in un surreale documentario che sembra un lungo video girato dal nostro migliore amico in cui ci racconta le stranezze che ha incontrato lungo la sua vacanza in un paese straniero.
Ed è il questa commistione perfetta di generi, registri linguistici, tone of voice intercambiabili, e una genuina ironia che move il sole e l’altre stelle che Il Testimone si aggiudica un posto d’onore nei nostri ricordi e ancor di più in quello che è diventato per moltissimi parte del proprio immaginario stilistico e comico: un contenuto iconico al punto da diventare folklore della televisione italiana e oggi ripreso, rimescolato, rilanciato in chiave Tik Tok, emulato fino alla consacrazione.
Claudia Balmamori