“Prima dovevo spiegare cosa fosse un podcast. Adesso non c’è più bisogno di farlo. È entrato nel linguaggio comune. Due fattori che, inevitabilmente, hanno influito al successo”. Così Stefano Rapone, uno degli stand-up comedian italiani più influenti degli ultimi anni, parla nel corso di un’intervista con Il Giornale di un mondo che conosce molto bene: i podcast. Già, i podcast: un universo in continua espansione anche in Italia, dove proliferano sempre più con modalità variegate. Una nuova forma di serialità, meritevole d’attenzione: inseriti come siamo in un mondo che predilige ormai il multitasking, la dimensione dell’ascolto ha riassunto una centralità crescente. Una dimensione radiofonica ma con tempi diversi e, soprattutto, con la possibilità di individuare format, temi e personaggi del tutto affini ai propri gusti. Tra i titoli che meritano l’attenzione del grande pubblico, si distingue ancora uno dei padri dei podcast italiani, co-condotto per l’appunto da Rapone: Tintoria.
Creato nel 2018, Tintoria è diventato nel tempo un appuntamento irrinunciabile per una folta schiera di appassionati.
Il format, registrato con la presenza del pubblico e distribuito settimanalmente su YouTube, Spotify e varie altre piattaforme, è quanto di più semplice possa esserci al mondo. Il segreto di Tintoria, d’altronde, sta nella creazione di un comfort zone per gli ospiti che si combina con una scrittura essenziale e mai totalizzante. Al centro della narrazione, c’è la creazione di un flusso: è l’interazione spontanea e brillante tra i due conduttori e l’ospite di turno a fare davvero la differenza. Un flusso assecondato, più che guidato: una conversazione informale, dettata dalla complicità che si innesca tra le due parti senza inserire nel mezzo troppi filtri.
Tintoria ha fatto le sue fortune sulla creazione di uno spazio sicuro per l’ospite che ha dato spazio nel tempo ad aneddoti memorabili, rivelazioni imprevedibili e, soprattutto, tanti momenti di spensierata ilarità.
Un talk innovativo e, paradossalmente, vecchia scuola. Due intervistatori dal chiaro stampo comico (Daniele Tinti, creatore del podcast, e Stefano Rapone, quest’ultimo reduce dal successo di GialappaShow) e un intervistato che si racconta per un tempo variabile – normalmente, tra i 90 e i 120 minuti – senza dover mai rispondere a troppe domande. Quando arrivano, sono sempre finalizzate a una curiosità mai morbosa e a una ricerca di un contenuto ricco e privo di volgari sensazionalismi. Tintoria non cerca il contrasto e non insegue la polemica (oro che cola, nell’era delle caciare televisive). Ne deriva un prodotto leggero ma non frivolo, uno spettacolo che dà valore ai racconti senza rifugiarsi nella ricerca più semplicistica del clic a tutti i costi.
Una dialogo da pub con una birra fredda di fronte. Due chiacchiere tra amici, senza cadere nell’autoreferenzialità. Una conversazione interessante e coinvolgente per chiunque si approccia a Tintoria avendo ben chiari i confini larghi del format.
Quasi un paradosso, nella nostra epoca. I tempi e le modalità di sviluppo delle puntate, apparentemente improponibili nel mondo della comunicazione attuale, ritrovano nel gusto della chiacchierata approfondita quello che succedeva decenni fa sui media tradizionali.
Mettere a proprio agio l’ospite di turno, allora, diventa allora un imperativo. Ed è questa, in fondo, la vera chiave del successo di Tintoria. Ancora Rapone, qui intervistato da Best Movie: “Ogni puntata dura due ore e l’ospite dice di tutto, anche delle cose che non direbbero normalmente. Li scegliamo per gusto personale, o perché siamo fan, o perché l’ospite può avere delle storie interessanti da raccontare. Deve però piacere a noi prima di tutto. Spesso se si dilungano non è per tappare un buco, ma proprio perché vogliono parlare di determinate cose”.
A differenza di quanto accade ora in un’epoca che necessita di ritmi serrati e di trasmettere gli impulsi alla fruizione con costanza, Tintoria riprende una modalità a cui era abituato il pubblico della vecchia tv lineare. Lì le interviste lunghe e con potenziali tempi morti erano spesso una regola non scritta, mentre oggi tutto è cambiato e si risponde spesso e volentieri a una frenesia che non lascia respiro alla generazione di un contenuto davvero intrigante. Nonostante ciò – e in virtù di ciò – Tintoria incontra i favori di un pubblico alla ricerca di un formato rassicurante, solido e votato a un’interazione reale tra i protagonisti del dialogo. Una boccata d’aria fresca, e l’opportunità unica e irripetibile per scoprire personaggi più o meno noti (se non celebri, talvolta).
Le domande, si diceva. Normalmente, si tende a ricostruire la carriera e la biografia dell’ospite, sfuggendo ai soliti ritualismi. Anche in questo caso, non ci sono regole fisse: la puntata può prendere le direzioni più disparate, a seconda del flusso.
All’inizio, alla fine e nel mezzo, si inseriscono alcuni momenti ormai familiari agli appassionati. Anche in questo caso, con finalità specifiche: “Mi piace partire da cose semplici, perché spesso sono quelle che non vengono mai chieste: cos’hai mangiato? Che hai fatto oggi? Da queste domande apparentemente banali vengono fuori risposte curiose, come quando Lillo ci ha raccontato la sua passione per le miniature dipinte. L’ospite si sente subito a suo agio”, sottolinea Rapone nel corso di un’intervista rilasciata qualche tempo fa a Internazionale.
E ancora: “Noi abbiamo sempre lo stesso approccio, ma il mondo che ci circonda è cambiato. Nel frattempo, in un certo senso, l’America è arrivata in Italia, per cui i podcast fatti da comici sono molto diffusi. Io e Stefano abbiamo imparato a farli meglio. Gli ospiti hanno capito che si tratta anzitutto di una chiacchierata, non è una classica intervista, mentre all’inizio avevano più difficoltà ad adattarsi al format”, racconta Daniele Tinti nel corso della già citata intervista a Internazionale.
Poche domande, tante rubriche.
La serie tv vista in quel periodo, per esempio. Cosa hai fatto oggi? Ma anche gli eventuali incontri con Berlusconi e l’ormai celebre spazio dedicato al tema “cac**re in discoteca”, momento nel quale l’ospite si ritrova a raccontare un aneddoto in cui è stato costretto ad andare in bagno nella peggiore situazione possibile, la scrittura statica degli episodi di Tintoria si combina col notevole dinamismo dell’interazione. Punti fissi che danno un riferimento allo spettatore, immerso in un flusso libero che può portarli ovunque in ogni momento.
Il resto lo fa la tendenza dell’ospite a inserirsi nel meccanismo, non sempre immediato soprattutto per i nomi più esperti che arrivano da generazioni più distanti (anche se è relativo, se si pensa per esempio alle puntate memorabili con Magalli e Frassica), stare al gioco e disimpegnarsi tra la persona e il personaggio con freschezza.
Poi ci sono i due host, stand-up comedian ormai esperti e perfettamente a loro agio nei panni comici di due intervistatori che entrano nelle vite degli ospiti con delicatezza, sfuggendo all’irruenza a cui si è spesso abituati in situazioni del genere.
Intrattenere, divertire e alleggerire è sempre una priorità. Così come lo è l’idea di essere dissacranti col giusto equilibrio, in ogni situazione: uno dei cavalli di battaglia di Tintoria, d’altronde, è la presentazione dello sponsor, menzionato con modalità divertenti e a loro volta riconoscibili.
La naturale conseguenza, allora, è il successo apparentemente inossidabile. Nato sette anni fa su iniziativa di Daniele Tinti, il podcast riprende un formato che in quel momento si stava affacciando timidamente in Italia, è andato avanti a lungo senza grandi mezzi e ha poi trovato nel tempo una schiera di appassionati che ne fanno oggi uno dei podcast più longevi e seguiti sulle varie piattaforma. Un risultato notevole in un mondo soggetto a evoluzioni costanti, come evidenzia Tinti in un’intervista con Repubblica: “La comicità purtroppo o per fortuna invecchia rapidamente. Diciamo che il podcast in questo senso ci dà l’illusione di avere il controllo sul nostro destino, essendo una produzione nostra e non un programma tv”.
Tintoria ha ormai superato abbondantemente le 200 puntate e ha ospitato nel tempo i personaggi più disparati: menzioniamo, tra quelli che hanno riscosso particolari apprezzamenti, Giancarlo Magalli, Pietro Sermonti, Paolo Sorrentino, Pietro Castellitto, Dario Brunori e Paolo Calabresi, ma in realtà l’elenco sarebbe molto più lungo di così.
Insomma, quella di Tintoria è la storia di un successo che si è costruito dal basso con poche risorse e grandi idee. L’ha fatto con una scrittura essenziale ma puntuale, idee chiare, la volontà di ospitare qualcuno per il piacere di farlo, regalare tante belle curiosità, una prospettiva diversa sui personaggi più noti, divertire e divertirsi.
Niente di più semplice, all’apparenza. Essere semplici e allo stesso tempo efficaci e originali, tuttavia, necessita di un sapiente bilanciamento dei fattori che si rinnova di settimana in settimana da anni. Un’alchimia perfetta per un titolo ormai di culto, esempio ideale di cosa possa proporre il mercato in espansione dei podcast. Per tutto il resto, invece, è sufficiente una piccola azione. Ovunque siate e qualunque cosa stiate facendo in quel momento, non serve altro che un gesto essenziale per riprodurre una puntata di Tintoria. Sì, ormai lo sapete, no? Eh, già… basta un clic.
Antonio Casu