Il secondo episodio della quarta stagione di Preacher si intitola Last Supper e per tutto il tempo mi sono chiesta a cosa si riferisse. Il richiamo biblico all’Ultima Cena di Cristo è evidente, ma in una serie come questa non mi sarei aspettata niente di meno. Soltanto dopo aver finito l’episodio mi sono resa conto che l’Ultima Cena ci viene presentata fin dall’inizio: dopo la creazione della Terra e dei dinosauri, Dio si concede un bel caffé e si crogiola nella soddisfazione di quello che ha creato.
Se non fosse che il suo buon umore viene distrutto dal limitato cervello del brontosauro, che si mangia con gusto i suoi escrementi, provocando l’ira di Dio. A quel punto il Sommo Padre scaglia sulla Terra i ben conosciuti meteoriti a distruggere tutto. Il dinosauro colpevole non può fare altro che finire di mangiare prima di morire. Quello sarà il suo ultimo pasto prima di diventare fossile.
Se il precedente episodio di Preacher era all’insegna dell’abbandono, in questa seconda puntata si prosegue sulla scia dei sensi di colpa e del rimorso. Jesse ha abbandonato di nuovo Tulip a se stessa e si dirige in Australia, l’ultimo posto dove si dovrebbe trovare Dio. Quando lo troverà, Jesse salverà il mondo. Proprio come avrebbe voluto suo padre. Lui non è nato predicatore e sicuramente non è nato con la dote di fare del bene agli altri. Vuole soltanto fare la cosa giusta, ma anche se cerca di farla, sbaglia e continua a ferire gli altri. Per tutta la vita non ha fatto altro che fuggire ed è l’unica cosa che ha imparato a fare: fuggire dalla tirannia di sua nonna, fuggire dagli obblighi verso suo padre, fuggire dai suoi doveri di pastore, fuggire dalla donna che ama.
L’insegnamento alla base di Preacher è sempre uno solo: sacrifica te stesso se ami veramente gli altri. Lasciali andare se non vuoi fare loro del male.
Jesse ci prova in tutti i modi a fare quello che gli viene chiesto: essere un buon pastore, un brav’uomo. Ma ci pensano i suoi sensi di colpa a ricordargli che non è così. I fantasmi di chi ha lasciato indietro ritornano a perseguitarlo ogni volta che abbassa la guardia: prima Tulip che lo rimprovera di non sapere cosa fare, poi Cassidy a ricordargli che lo ha abbandonato. Jesse distoglie lo sguardo, rimane in silenzio. Cerca di ripeterselo fino a convincersi: “Sto facendo la cosa giusta“. Lui non è il cattivo, è il buon pastore che agisce per un fine più grande: il bene dell’umanità. Fermare l’Apocalisse e riportare Dio sul suo maledetto trono. È sicuro che tutti capiranno quando si renderanno conto di quello che ha fatto.
E questo vuol dire anche lasciare in sospeso i problemi che gli capitano davanti, lasciare da parte le persone che avrebbero bisogno del suo intervento. Come il bambino che all’inizio lo ha derubato sulla strada, rincontrato successivamente alla casa dei piaceri “De Sade”. Lì sa che avrebbe dovuto agire per proteggerlo, ma ha deciso di non farlo. A niente sono servite le parole e l’intervento del pilota (bloccato quasi subito), mentre gli ricorda che quello è un lavoro da preti.
Che io sappia, voi preti avete un codice, non è vero? Dovete aiutare le persone.
E Jesse cerca di aiutare. Facendolo però nel modo sbagliato.
Parallelamente al calvario di Jesse, c’è anche quello di Tulip e Cassidy. Entrambi si attirano e si allontanano continuamente. Tulip è mossa dallo stesso bisogno del suo fidanzato e di molti protagonisti in erba: cercare di salvare tutti, perfino chi non vuole essere salvato fino in fondo, come Cassidy. Mentre la ragazza cercherà con ogni mezzo di entrare dentro la base segreta del Graal, Cassidy si trova davanti a un bivio: fuggire dalle sevizie di Frankie e ricongiungersi con i suoi amici, o restare a farsi torturare.
Nonostante il desiderio di rivedere Jesse e Tulip sia forte, lo è ancora di più quello di restare a scontare la pena che la vita gli ha riservato. Perché, come dice Frankie, Cassidy è alla stregua di un tossico: è incapace di controllare i suoi istinti e non riesce a uscire dal tunnel in cui è caduto, continuando a sbagliare e tornando sui suoi passi perché non ne è in grado. Troppe sono le persone che ha ferito lungo la sua strada, troppi gli errori commessi e i rimpianti lasciati alle sue spalle. Si è lasciata una strada lordata dal sangue di tutti gli innocenti che sono finiti (volenti o nolenti) sul suo cammino. E lui non può dimenticarli perché sa che è colpa sua, si sente responsabile per loro. Come si è sentito responsabile per la sorte di suo figlio Denis.
Io ho già visto tipi come te. Gli scoppiati, i tossici, i clienti abituali… gente che non è riuscita a uscirne e che piange parlando di sfortuna del c***o. Ma non è sfortuna, è soltanto senso di colpa. Per qualche motivo pensano di meritarselo.
In Preacher, Jesse e Cassidy sono due facce della stessa medaglia, entrambi incapaci di lasciarsi indietro il passato. Pensano di fare la cosa giusta sacrificandosi e abbandonando coloro che amano. Ciò che più vogliono, alla fine, è poter essere in pace con se stessi. Non è un caso che siano così nemici/amici.