Uscito in estate in America, è arrivato anche in Italia l’attesissimo reboot di Pretty Little Liars, distribuito dalla piattaforma di Prime Video. Si tratta di un restart completo delle avventure delle liars, un progetto molto diverso rispetto agli altri spin-off della serie come Ravenswood o The Perfectionists. Nuovi personaggi, una nuova ambientazione e anche uno spirito differente hanno contrassegnato questo reboot, che era atteso dal pubblico con un sentimento a metà tra la trepidazione e la paura.
Con i suoi lati positivi e negativi, Pretty Little Liars è stata una serie capace di ritagliarsi uno spazio importante nel panorama televisivo, costruendo un proprio fandom molto affezionato. Viene da sé, dunque, che l’uscita di Original Sin, a cinque anni dal finale, abbastanza deludente, della serie madre, suscitasse molta curiosità . Col senno di poi, siamo davanti a un prodotto che presenta diversi lati interessanti, soprattutto nelle differenze con la serie originale, ma anche alcuni elementi che decisamente non hanno funzionato. Ora li andremo a scoprire nel dettaglio.
ATTENZIONE: Da questo momento in poi l’articolo contiene SPOILER su Pretty Little Liars: Original Sin
Una nuova Pretty Little Liars
Sin dalle prime battute di questo reboot, disponibile su Prime Video, possiamo notare una grande differenza con la serie madre: la declinazione in chiave horror del racconto. Pretty Little Liars si è sempre mantenuta più sui toni del mistery, magari del thriller, ma in pochissimi momenti è sfociata nell’horror. Original Sin si muove invece in questa direzione e lo manifesta apertamente con citazioni e rimandi alla grande tradizione del cinema di genere.
La testimonianza più grande di questa innovazione è la caratterizzazione di A, presentato come un killer da film slasher, una sorta di Michael Myers impiantato a Millwood. Questa novità funziona alla grande, ed è forse l’apporto più visibile di Original Sin, però finisce per penalizzare globalmente la costruzione del resto delle trame, perché l’attenzione viene posta ossessivamente su questa componente horror e altre direttrici, potenzialmente intriganti, finiscono per zoppicare.
In particolare non funzionano una linea narrativa e due tematiche. Partiamo dalla prima. Nelle puntate iniziale, alla minaccia di A viene affiancata quella della giustizia, incarnata dallo sceriffo Beasley, che dopo la morte della figlia Karen ha anche dei motivi personali per perseguire le liars. Un elemento che ha funzionato molto bene nella serie originale, ma che qui viene progressivamente abbandonato. Col passare delle puntate lo sceriffo smette di essere una grande minaccia e diventa una presenza secondaria, parecchio sfocata sullo sfondo. La sua traiettoria non s’incrocia mai con quella del killer, e invece considerando i demoni del suo passato avrebbe dovuto, e alla fine arriva la conclusione del suo percorso, senza che abbia lasciato un’impronta decisa sul resto della trama.
Lo sceriffo Beasley poteva essere un personaggio molto interessante, sia come “carnefice” delle liars, che come vittima del killer. La sua dimensione rimane però legata al dramma familiare, abbastanza sterile e inutile ai fini della trama complessiva, e tutto il potenziale che il personaggio racchiudeva è andato sprecato.
Il problema del bambino
Dopo aver affrontato la linea narrativa che non funziona, passiamo alle due tematiche. Entrambe riportano alla gravidanza di Imogen, un elemento che poteva essere molto intrigante, ma che è finito per diventare più che altro un ostacolo all’azione. In linea teorica sarebbe stato anche interessante vedere tutte le problematiche connesse alla maternità di una giovane ragazza madre, alle prese con la decisione se tenere o meno il bambino, ma alla lunga questa gravidanza è diventata solo un intoppo narrativo, perché vedere Imogen che pugnala un killer dal fisico imponente mentre le si rompono le acque è una scena che travalica anche la concezione stessa di trash. La riflessione intorno a questo bambino c’è, ma rimane abbastanza sopita sullo sfondo. La gravidanza finisce per essere invece solo una scelta che si ritorce contro la credibilità narrativa.
L’altra linea tematica che, purtroppo, non funziona è quella dello stupro, legata al bambino di Imogen che è stato concepito proprio a seguito della violenza. Il tema è di per sé importantissimo e avrebbe meritato una maggiore attenzione, invece è sempre stato sacrificato in nome della principale trama horror. Assistiamo alla risoluzione del mistero dello stupratore solo come una vicenda secondaria, tanto che proprio nel momento della rivelazione irrompe il killer.
In generale, la tematica dello stupro ne esce un po’ ridimensionata proprio dalle azioni di A. Questo viene istigato a perseguitare le madri delle liars, colpevoli di aver ignorato Angela dopo la violenza subita, ma lo stupratore, lo sceriffo Beasley, non viene mai minimamente preso di mira da A o da chi ne muove i fili. Una scelta che finisce per far passare la violenza subita come un trauma secondario, inferiore all’essere ignorata dalle amiche. Non un bel messaggio da diffondere.
Lo scioglimento finale
Infine, cosa proprio non funziona in questa prima stagione di Pretty Little Liars: Original Sin è lo scioglimento finale. La trama nei 10 episodi della serie presente su Prime Video è stata costruita in maniera molto sapiente, al netto delle problematiche elencate sopra. La linea principale, comunque, regge molto bene e il mistero di A e del passato di Angela risulta molto coinvolgente. La rivelazione finale, però, brucia buona parte delle ottime premesse costruite.
Avviene tutto in modo troppo frenetico e soprattutto spunta fuori la figura del preside come grande architetto di tutta la trama un po’ a caso, senza troppa coerenza. La risoluzione appare estremamente semplicistica, l’escamotage di responsabilizzare un personaggio completamente estraneo a ogni vicenda libera dal rischio di incorrere in qualsiasi incongruenza narrativa, però restituisce anche un senso di frustrazione perché effettivamente manca un po’ di logica nelle azioni di un uomo che ha sempre ignorato la figlia e perseguita le sue amiche colpevoli di averla ignorata.
Insomma, tirando le fila del discorso, questo reboot di Pretty Little Liars è un prodotto probabilmente migliore di quanto preventivato. Ha diversi lati positivi, su tutti, come detto, la declinazione horror della trama, ma anche la connotazione delle protagoniste e la costruzione del mistero. Diverse cose, però, non funzionano, su tutte purtroppo lo scioglimento finale che per forza di cose vanifica parzialmente il buon lavoro fatto. La serie, comunque, tornerà con una seconda stagione, dove ci sarà l’occasione per correggere il tiro su alcune componenti, provando a mantenere quanto di buono mostrato in questo primo capitolo di Original Sin.