ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Pretty Little Liars: Summer School e sulla precedente stagione della serie reboot
Dopo il primo capitolo intitolato Original Sin (di cui qui potete trovare un bilancio), il reboot di Pretty Little Liars ha fatto ritorno con un nuovo ciclo di episodi e il sottotitolo Summer School. La serie, distribuita da Max, è arrivata da noi grazie a Prime Video ed è visibile proprio sulla piattaforma di Amazon. Al centro del racconto ci sono ancora una volta le cinque liars sfuggite al massacro della prima stagione. Le ragazze stanno rimettendo ordine nelle rispettive vite dopo l’incubo trascorso, ma ecco che questo fa prontamente ritorno proprio quando il peggio sembrava alle spalle. Un vero e proprio cliché del cinema horror, direte. Ed è proprio così, perché Pretty Little Liars: Summer School proprio da qui parte per costituire la propria anima. A proposito di horror e di estate, prima di proseguire vi suggeriamo una lista di film horror da vedere con un’inquietante ambientazione estiva.
A differenza dell’originale, questo reboot dell’iconica serie di Marlene King possiede delle più spiccate venature horror. Queste sono apparse con evidenza nella prima stagione, con A raffigurato più come un serial killer da film slasher che come uno stalker nella sua versione canonica. In questo secondo capitolo l’anima horror del reboot di Pretty Little Liars emerge con ancora più forza. La volontà è quella di compiere un’operazione molto cara agli amanti del genere, e che ha segnato grandi momenti della produzione horror. In questo caso, però, non è riuscita moltissimo. Al di là dei giudizi di merito su Pretty Little Liars: Summer School, vogliamo parlare proprio di questo tentativo di decostruzione del genere horror che la serie di Max ha provato a replicare, fallendo.
L’operazione alla Scream di Pretty Little Liars: Summer School
Come detto, non c’interessa molto esprimere un giudizio complessivo sulla serie, quanto su questo particolare aspetto. Pretty Little Liars: Summer School compie (o quanto meno ci prova) quella che potremmo definire un’operazione alla Scream, provando a inscenare una decostruzione meta-narrativa del genere horror. Cosa vuol dire? Chi ha visto i celebri film su Ghostface (qui potete approfondire l’impatto del primo capitolo) avrà capito immediatamente di cosa parliamo. Per tutti gli altri: tranquilli, la spiegazione è molto semplice. Si tratta di un’operazione volta a sottolineare, nell’incedere narrativo, tutti quei meccanismi classici del genere horror, che orientano la trama e vengono prontamente compresi e anche sfruttati dai protagonisti, che a loro volta si trovano a viverli coscientemente.
Le protagoniste di Pretty Little Liars: Summer School, così come quelli di Scream, sono consapevoli di stare vivendo in un film horror e quindi si muovono con sicurezza seguendo gli schemi classici del genere. La narrazione, dunque, è piena di riflessioni meta-narrative, in cui le mosse del killer o ciò che deve avvenire viene prontamente anticipato, seguendo proprio il più classico dei copioni della narrazione del genere. La sfumatura horror del reboot di Pretty Little Liars si esplica in questo secondo capitolo seguendo principalmente questo meccanismo, che però, come detto, presenta evidenti difficoltà.
Alcuni esempi pratici di questo meccanismo
Questo meccanismo di cui abbiamo parlato è tipico di un filone dell’horror moderno di cui Scream è il suo massimo esponente. La saga creata da Wes Craven ha, per così dire, dettato le regole del gioco, e tutti quelli che sono venuti dopo vi ci sono adeguati. Pretty Little Liars: Summer School non fa eccezione. Per inquadrare meglio di cosa stiamo parlando, è bene fare degli esempi. Alcuni elementi che incarnano questo particolare spirito sono la consapevolezza delle liars di essere delle “final girl”, ovvero lo stereotipo del personaggio femminile che arriva allo scontro finale con l’assassino, sopravvivendogli il più delle volte. La Sidney Prescott di Scream, insomma. Non è un caso, inoltre, che in questa seconda stagione la “final girl” si riveli essere Tabitha, l’appassionata ed esperta di film horror.
Questa dinamica della “final girl”, più volte sottolineata nel corso del racconto, è l’esempio più calzante di questo meccanismo di decostruzione. Ma ce ne sono altri. Il sito “Spooky Spaghetti”, ad esempio, contenitore a sua volta di leggende e credenze che alimentano il genere horror. Poi c’è il legame che intercorre tra il vecchio e il nuovo killer, con la madre di Chip, vittima di Archie, che interpreta Bloody Rose, madre dell’assassino di suo figlio. Tutti questi sono stereotipi enormi del cinema horror, specialmente dello slasher, e sono tutti passaggi su cui le protagoniste riflettono. Qui sta l’attuazione di questo meccanismo di decostruzione: vengono riconosciuti, passo dopo passo, gli stereotipi che caratterizzano il racconto.
Cosa è mancato, dunque, a Pretty Little Liars: Summer School per compiere questa operazione?
Come detto in apertura, però, Pretty Little Liars: Summer School ha fallito quest’operazione di decostruzione. In che modo? A ben guardare, manca un elemento fondamentale di questo meccanismo, per cui dobbiamo rivolgerci ancora una volta a Scream. Il primo film su Ghostface, così come tutti quelli che sono venuti dopo, posseggono un effetto parodistico unico, che avvalora ancora di più questa decostruzione del genere horror. Il più grande pregio di Scream sta nel suo essere spontaneamente parodia di se stesso, senza perdere credibilità. Mettendo a nudo i meccanismi del genere horror, il film di Craven li ridicolizza, ma comunque questi non risultano meno credibili. Scream raggiunge un equilibrio unico tra decostruzione, parodia e credibilità narrativa. È chiaro che raggiungere il risultato della saga di Ghostface è quasi impossibile, ma in Pretty Little Liars: Summer School la situazione è troppo precaria.
Nella serie distribuita in Italia da Prime Video, manca totalmente l’elemento parodistico, fondamentale per compiere un’operazione del genere. Inoltre, in Pretty Little Liars: Summer School , si crea un effetto contrario a quello che vediamo in Scream, con la decostruzione che rende troppo fittizio il racconto, annullando la credibilità narrativa. Insomma, qui l’analisi di questi stereotipi procede senza quella capacità di renderli comunque efficaci. La narrazione ne risente, privata anche di quell’effetto-parodia che, come detto, ha rappresentato un po’ il segreto del successo di Scream. Il risultato finale è un semplice elenco di passaggi che sottolineano la costruzione per stereotipi, senza però quel magnifico effetto visibile in Scream e in altre narrazioni in cui questa decostruzione meta-narrativa è portata avanti con efficacia.
La buona volontà non basta
È anche, sinceramente, apprezzabile il tentativo compiuto da Pretty Little Liars: Summer School. Tramite questa cifra più spiccatamente horror, il reboot sta cercando di distinguersi dall’originale, e quest’intento è, tutto sommato, riuscito per la prima stagione, ma decisamente meno nella seconda. Il meccanismo che la serie ha cercato di innescare è fallito e ha inficiato l’intera narrazione. La trama, lo sviluppo dei personaggi, la minaccia del nuovo killer: ogni elemento è stato adombrato da questa decostruzione a metà. Mancano quell’effetto parodistico e quell’approccio metanarrativo che invece brillano in Scream, il grande metro di paragone in questo caso. Senza, il racconto si fa piatto e didascalico, imperniato semplicemente sugli stilemi del cinema horror, che vengono solo presentati e non decostruiti.
Scommessa persa, dunque, per Pretty Little Liars: Summer School. Il tentativo è apprezzabile, come dicevamo, ma la buona volontà, come abbiamo titolato in questo paragrafo, non basta. Il futuro è nebuloso per la serie e oggi siamo in attesa di conoscere se ci sarà o meno una nuova stagione. Qualora arrivi il rinnovo, è necessario un cambio di passo, perché con questo metodo il reboot di Pretty Little Liars non sta decisamente funzionando.