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Cosa ha reso veramente originale Prison Break

Prison Break
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Non c’è tempo nell’espressione di Michael Scofield.
È la malinconia che lui esprime a dare senso alle sue azioni. È quella malinconia che scandisce il ritmo di un tempo confuso, ma sempre e comunque oggettivo.
Quello di Prison Break.

Michael tesse con dedizione e raffinatezza le complesse trame di uno scenario a tratti ambiguo, devoto a leggi razionali, ma soggetto a deviazioni distanti dall’ordinario. L’abuso consapevole del contrasto tra l’apparente equilibrio del protagonista e il vorace dinamismo delle scene, permette la scoperta di un mondo narrativo diverso, nuovo.
Sembrano due dimensioni opposte, troppo differenti per potersi incontrare, ed in effetti si ritrovano a fare a pugni, a contendersi uno spazio troppo piccolo per far sì che entrambe le realtà possano coesistere.

L’equilibrio e la dinamicità.

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Prison Break è un gioco di sguardi, sfumature e lotte interne tra opposti. Come opposte sono le personalità di chi il gioco lo ha creato e continua a mantenerlo vivo.

È così che tutto ha inizio. Da una reazione a catena messa in atto da un solo pedone, inconsapevole e ignaro, che, spostandosi nel suo stretto spazio vitale, innesca l’azione di un altro pedone, che presto diventerà Re all’interno della scacchiera.

Uno di fronte all’altro.
Lincoln e Michael, pedoni su una stessa superficie, ma con colori diversi. Inizialmente sospesi e separati dal vuoto del mezzo.

Il bianco e il nero a confronto senza toccarsi, non si contaminano, non si mischiano, rimangono se stessi. Ma non per molto. Lo scontro deve necessariamente avvenire, non si può rimanere fermi, non si può morire come si è nati. Michael e Lincoln riescono a vedersi, si scontrano e si riconoscono. Dal momento in cui Michael fa la sua prima mossa diventa pian piano il creatore del gioco, passa dall’altro lato della scacchiera e gestisce i suoi pezzi.
Consapevole dell’importanza della strategia, consapevole del valore da dare a ciò che gli altri non riescono neppure a vedere.

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Prison Break ha creato un posto nel mezzo della scacchiera, quando il gioco ancora non ha inizio, quando nessuna mossa è ancora stata ipotizzata, un altrove in cui Michael vive e alimenta la propria strategia. Lontano da avversari e alleati.
Solo, con la malinconia a protezione di se stesso e gli occhi come manifesto del vuoto.

Un nulla sorprendente il suo vuoto.
Una realtà intrisa di vita e di sofferenza che si nasconde dietro un’espressione. Il suo è un nulla pieno di tutto che pochi riescono a comprendere.

Come nessun’altra Serie aveva mai fatto, Prison Break ha saputo aprire una voragine nel mezzo, intensificando la profondità che divide le pedine bianche da quelle nere. Non si può passare da una parte all’altra senza cadere in questo vuoto, non si può risalire dalla profondità del mezzo senza rimanere intrappolati nella ragnatela di Michael.

Ed è nel vuoto del mezzo che Prison Break ha luogo. Negli occhi di Michael che rende possibile le infinite combinazioni all’interno della scacchiera.

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Ogni pezzo cambia automaticamente, quasi senza accorgersene. Diventa improvvisamente protagonista e narratore della propria storia. Un attimo dopo essere stato pedone diventa Regina, poi Alfiere e poi di nuovo pedone. La regola non è mai la stessa, ma il cambiamento è certo, una delle poche certezze.

Prison Break avviene nel vuoto del mezzo, cambia ambientazioni e rimane un gioco calcolato e razionale. Ha dato importanza a qualcosa che sembrava inutile prima dello scontro. A quella zona della scacchiera che immobile e inerme diventa rifugio e campo di battaglia.

Un luogo in cui è possibile credere nell’impossibile. Un mondo infernale che esiste solo per chi lo crea quotidianamente, per chi resiste e per chi lotta. A causa di tutto e di tutti, una collaborazione tra pedine che disegna una libertà così tanto a lungo sognata.

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