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L’influenza decisiva della mitologia greca in Prison Break

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla quinta stagione di Prison Break

Se è vero che un nome sia capace talvolta di definire chi siamo, Odisseo ne è uno dei massimi esempi. Ulisse, come narra la carta d’identità, era “odiato dai nemici”, “invidiato per il primato della sua mente”. Lui, come Michael Scofield, protagonista indiscusso di una riedizione sui generis dell’Odissea omerica. Chi ha già visto la quinta stagione di Prison Break ha già capito dove vogliamo andare a parare, ma probabilmente anche tutti gli altri hanno un’idea precisa dell’influenza decisiva della mitologia greca in una delle serie tv monumento degli ultimi quindici anni.

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Gli indizi non sono mancati fin dall’inizio: a prescindere dal parallelismo evidente tra Ulisse e Michael, associabili per più motivi, viene in mente da subito il diciassettesimo episodio della prima stagione, J-Cat. In quella circostanza, Michael, alla ricerca di una soluzione d’emergenza per mettere in atto il piano d’evasione da Fox River, finse di avere un crollo mentale con il solo intento di essere trasferito nel reparto psichiatrico del carcere, studiare un via di fuga alternativa, incontrare Haywire e ricostruire una porzione persa del tatuaggio. Lui, come Odisseo, poco convinto dalla prospettiva di unirsi alla spedizione destinata alla guerra di Troia al punto da fingersi impazzito, salvo poi esser costretto a gettare la maschera.

L’esempio maggiormente esplicitato, però, ci porta alla quarta stagione di Prison Break e alla resa dei conti finale con la famigerata Compagnia. Sono passati sette anni, ma il nome Scylla riecheggia ancora nelle nostre teste. Senza avventurarci in spiegazioni più approfondite, Scylla è il vaso di Pandora dell’organizzazione guidata dal generale Krantz, un sofisticato marchingegno formato da sei parti. Sei, come le teste del mostro mitologico dal quale prende il nome, affrontato da Odisseo nel corso del viaggio travagliato per tornare a casa. Il riferimento alla letteratura greca, tutto meno che un omaggio isolato, non è altro che un preambolo della quinta stagione, costruita interamente sulla falsariga di una delle opere più importanti di tutti i tempi.

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È sufficiente ricostruire la trama per ritrovare tutti i riferimenti, più o meno in vista. Nel revival di Prison Break, infatti, si scopre che Michael Scofield non era morto per regalare la libertà a sua moglie. Si era imbattuto invece in una scheggia impazzita della CIA, un agente che si fa chiamare Poseidon (il Dio del mare è il peggiore degli squali). Il folle dalle manie d’onnipotenza lo ricatta per costringerlo a lavorare per lui, senza condizioni. Michael, solo e creduto morto da tutti, vive una personale odissea che lo tiene lontano da casa per sette anni e gli toglie tutto, inclusa l’identità. L’eroe che salvò la vita a suo fratello non esiste più, lasciando spazio solo a Kaniel Outis (Outis, in greco, significa Nessuno), imprigionato nel carcere yemenita di Ogygia, un posto decisamente meno paradisiaco dell’isola omonima nella quale sostò Ulisse prima di affrontare il difficile viaggio verso l’amata Penelope.

Così come Odisseo, anche Michael è determinato nell’affrontare ogni intemperia pur di riabbracciare Sara, ora sposata con Poseidon. Tra Kaniel e la libertà, riacquistata in minima parte dopo aver lasciato il carcere, si frappone persino l’ISIL, prima rappresentata dal leader Abu Ramal, e poi da un militante con un solo occhio (vi ricorda qualcuno?) che perseguita Kaniel per ucciderlo fino ad esser annullato e reso cieco dal nostro Nessuno, capace di farlo fuori “con l’ingegno e non con la forza. Le tappe dell’odissea di Michael si susseguono vorticosamente e lo portano a Phaecia, una goccia nel deserto nella quale i nostri protagonisti trovano ospitalità prima di affrontare il mare. Un po’ come successe a Ulisse con gli omonimi feaci, un popolo che visse in un locus amoenus in condizioni di felicità e prosperità.

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Anche il viaggio in mare che porta Kaniel a Creta e Marsiglia è un richiamo indiretto all’opera omerica. Nell’Odissea, infatti, il mare è un simbolo di incertezza ed un ostacolo costante, rappresentato alla perfezione dalla furia di Poseidone che si riflette nelle azioni di Jacob Anton Ness, sostenuto inconsapevolmente dai SEALs americani. Il piano, per fortuna, non va a buon fine e Michael riesce finalmente a tornare a Ithaca (città in cui vivono Sara e suo figlio), superare le ultime avversità e tessere con la sua famiglia la tela di una vita normale da uomo libero.

Forse non sapremo mai come andrà il resto della vita del nostro protagonista, lasciandoci con un capitolo sospeso come nel destino sconosciuto di Odisseo, del quale non conosciamo l’origine della morte. Eroica, oppure, semplicemente, legata alla vecchiaia. In fondo, però, non è importante: non è stata una resurrezione a rendere immortale Michael Scofield, la cui leggenda è tale a prescindere dalla sua odissea. Sono le azioni che questa serie tv narrerà ai posteri a lasciare spazio per ogni ipotesi, quasi fosse un poema. Ognuno ha la sua, e questa è la bellezza di ogni grande storia: nel momento in cui viene scritta e letta da qualcuno, non appartiene più al suo autore. Come il nome dai mille volti di chi la vive in prima persona.

Antonio Casu 

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