Il dibattito è sempre aperto. Gli esperti discutono per definire i dettagli. Quel che è certo è che la Golden Age della Televisione è stato (o forse è ancora?) un periodo strepitoso. E Prison Break ne entra, di diritto, a farne parte.
La televisione, dalla sua nascita a oggi, ha attraversato numerosi cambiamenti ma pochi sono stati così influenti e innovativi come in questo periodo. Periodo che va dalla fine del XX secolo fino, circa, al 2014, caratterizzato da una crescente qualità delle produzioni. Da narrazioni più complesse e verosimili. E da personaggi che passano dall’essere senza un passato né un futuro ad avere una multidimensionalità quasi globale.
In quest’epoca, infatti, la televisione ha prodotto capolavori come I Soprano, The West Wing, Six Feet Under, The Wire, considerata (e votata) dagli addetti ai lavori come la più bella serie del XXI secolo. L’elenco è sterminato, potremmo proseguire ancora e ancora. Senza soluzione di continuità a un certo punto passeremmo dai capolavori alle grandi eccellenze. Un gradino più sotto, differenze minime. Tra queste, appunto, c’è Prison Break, con le sue curiosità, la cui trama e i suoi personaggi intensi hanno catturato l’immaginazione del pubblico di tutto il mondo. La serie è caratterizzata da due figure emblematiche il cui rapporto rappresenta, con ogni probabilità, una delle dinamiche più affascinanti di questo periodo. Stiamo parlando, naturalmente, di Michael Scofield e Alexander Mahone.
La complessità del rapporto che intercorre tra l’evaso, interpretato da Wentworth Miller (Legends of Tomorrow e The Flash), e l’agente dell’FBI, al secolo William Fichtner (Equilibrium, Black Hawk Down e Mom tra le altre cose) è una vera perla della scrittura televisiva. L’evoluzione del loro legame, ideato dalla penna di Paul Scheuring, ha lasciato il segno. Ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dalla messa in onda del primo episodio, raccontare la relazione tra Mahone e Scofield è qualcosa che fa venire la pelle d’oca.
La Golden Age televisiva. Il perché di un periodo d’oro
Per inquadrare meglio una delle parti più interessanti di Prison Break occorre spendere ancora due parole sulla Golden Age televisiva. Premettendo una cosa: che a parlarne, di Golden Age, sono gli addetti ai lavori, posteriormente, come sempre accade quando si analizzano i capolavori che hanno cambiato un’epoca.
A caratterizzarla ci sono alcuni punti fondamentali che hanno ridefinito completamente il ruolo della televisione. Intanto una qualità perennemente in crescita, anche grazie ai nascenti canali streaming. Le produzioni, infatti, hanno iniziato a utilizzare tecniche di regia e fotografia molto simili a quelle del cinema. Di conseguenza un maggiore investimento: budget decisamente più elevati (non sempre sinonimo di qualità, però. Basti pensare ai quasi 300 milioni di dollari per Citadel, made in Amazon Studios). Più soldi vuol dire potersi permettere di ingaggiare i migliori artisti in circolazione, dagli attori agli sceneggiatori, permettendo a questi ultimi maggiore libertà di espressione. Ne conseguono due cose.
La prima: una reinterpretazione dei generi che sfrutta classici temi (come la famiglia, per esempio) e li mischia con argomenti del tutto nuovi (sessualità, malattie psichiatriche, dipendenze, violenza, eccetera). La seconda: uno sviluppo più approfondito dei personaggi che diventano più complessi e realistici dando al pubblico la possibilità di identificarcisi di più e meglio. Creando, quindi, serie dal grande impatto culturale, capaci di influenzare le conversazioni pubbliche, sulle quali vengono scritte milioni di parole sui social di tutto il mondo e non solo (basti pensare alla mole di tesi universitarie scritte su Breaking Bad o, anche se in tono minore, su Gomorra).
Prison Break non un capolavoro ma una grande serie
Prison Break rientra perfettamente nei punti appena elencati. Non solo. È la dimostrazione esemplare che non sempre la gente è pronta ai cambiamenti. La FOX, per esempio, e i suoi dirigenti. Il colosso televisivo rifiutò categoricamente il progetto di Paul Scheuring quando questi lo presentò. Perché troppo fuori dai canoni, poiché trattava di personaggi scomodi con argomenti troppo scottanti. Questo nel 2003.
L’anno dopo, però, cambiò radicalmente idea perché la concorrenza aveva ottenuto grandiosi successi con Lost e 24. Così, il 29 agosto del 2005, Michael Scofield compie la rapina in banca per venire arrestato, condannato e incarcerato nella prigione dove si trova il fratello. E il resto è storia. Storia di un successo strepitoso, con citazioni meravigliose. I dati d’ascolto della FOX non erano così alti dal lontano 1998 con la messa in onda di Melrose Place e Ally McBeal. Un successo così inaspettato che alle previste prime 13 puntate ne vennero aggiunte altre 9 per soddisfare i bisogni di un pubblico in fase di crescita.
La seconda stagione esordisce un anno dopo, il 21 agosto del 2006. La prima puntata ottiene oltre 9 milioni di spettatori. E vede l’entrata in scena di Alexander Mahone, uno tra i più interessanti personaggi che abbiano calcato la scena televisiva, interpretato da uno splendido William Fichtner, di cui non si parla mai abbastanza.
Due personaggi d’autore
Il legame tra Michael Scofield e Alexander Mahone è una di quelle cose che rimangono dentro agli spettatori. Il loro rapporto, però, inizialmente sembra quasi sfiorare il nonsense. L’impressione che si prova è che qualcosa, nella stanza degli sceneggiatori, sia andata storta. In realtà è perché non siamo abituati. Non lo siamo noi, oggi. Ancora. Figuratevi come potessero esserlo vent’anni fa gli spettatori.
Tra i due personaggi c’è subito una connessione. Senza preamboli, senza preparazione. Inspiegabilmente dato che sono agli antipodi. Il primo è un è un ingegnere strutturale capace di mettere in atto un audace piano per liberare il fratello ingiustamente condannato a morte. Il secondo è un ex militare divenuto agente speciale dell’FBI con una carriera all’interno del Bureau quanto meno sorprendente. Il primo un evaso. Il secondo quello che gli darà la caccia. Tra Michael Scofield e Alexander Mahone c’è subito feeling
Il fatto che si trovino agli opposti nella scala della vita sembra rappresentare il più classico dei cliché. Siamo forse di fronte all’ennesimo buono che commette un crimine per ripararne uno più grande dovendo poi darsi alla fuga dal cattivo? Sembrerebbe.
L’inizio di una grande storia
Fin dalla conferenza stampa la tensione è palpabile. Una tensione naturale, poiché ci troviamo di fronte a un nuovo personaggio del quale non sappiamo ancora nulla. Di Scofield conosciamo già molto. Che è un genio, a modo suo, che è capace di convincere gli altri a fare cose che non vorrebbero. Dell’agente dell’FBI, invece, ancora niente. Nonostante il confronto a distanza con Mahone costretto alle solite frasi di circostanza si intuisce subito che una nuova, potente sottotrama si è inserita con forza. Non abbiamo idea di chi sia questo nuovo attore all’interno di Prison Break, di cosa sia capace, considerando gli avversari finora scesi in campo. Non sappiamo nemmeno se sia di parte o se giochi nella partita come libero battitore.
Vediamo però un uomo con delle capacità fuori dal comune, in grado di comprendere le mosse di Scofield. Non solo: di prevederle! In una fase della storia in cui tra i due il rapporto è puramente antagonista scopriamo che Mahone è un avversario formidabile e che Scofield è costretto a battersi per la riuscita della fuga e per tenere a bada un avversario in grado di comprenderlo in maniera quasi inquietante.
Questa dinamica iniziale getta le basi per un legame che si evolverà in maniera del tutto inaspettata nel corso della serie. Soprattutto grazie al personaggio di Mahone caratterizzato da una complessità che va oltre il semplice dualismo buono vs cattivo.
Prison Break va oltre gli standard finora conosciuti
Con il passare degli episodi la relazione tra il personaggio interpretato da Wentworth Miller e quello interpretato da William Fichtner inizia a mostrare segni di una certosina laboriosità. Contemporaneamente al gioco del gatto e del topo in sottofondo gli autori hanno creato una trama scacchistica che va oltre la semplice rivalità. Mentre l’agente dell’FBI cerca di catturare il fuggitivo notiamo che comincia a sviluppare un certo rispetto verso di lui. Ne riconosce l’ingegno, l’intelligenza, ne apprezza la capacità di improvvisazione. Di contro Scofield cercando di conoscere il suo nemico ne scopre l’oscuro passato, ne percepisce la psicologia, empatizza con lui scoprendo che di fronte a sé ha qualcuno arrivato a punto tale da non avere più nulla da perdere.
Il passato di Mahone, accennato attraverso alcune scene in cui si trova in difficoltà emotiva e mentale, è caratterizzato da problemi di natura traumatica esacerbati da una dipendenza farmaci. E ci rivela che si tratti di un uomo che non è solo un cacciatore ma anche vittima delle sue circostanze.
Nell’episodio in cui Scofield si finge agente FBI e interroga l’ex moglie di Mahone riesce a scoprire che il suo avversario è divorato da qualcosa di oscuro che può usare contro lui. Al tempo stesso intuisce quanto sia profondo il legame che li unisce poiché entrambi sono costretti a lottare contro demoni più grandi di loro.
Estremi che si incontrano
La perfidia degli sceneggiatori è tanta, lo sappiamo. In Prison Break si traduce con il mettere a confronto, dal vivo finalmente, Mahone e Scofield. I due, dopo il solito scambio di occhiate in cagnesco, però, hanno un bel problema da risolvere. Essendo estramamente intelligenti arrivano in fretta al fatto che per poterne venire fuori saranno costretti a dover collaborare. Di necessità virtù, dice il proverbio e i due lo prenderanno alla lettera. Sospendendo, così, la loro lotta e facendo emergere un forma di compresione e reciproco rispetto. Seppur con esperienze diverse alle spalle e con intenti finali estremi i due sono in grado di accantonare la rivalità temporaneamente concentrandosi in un qui e ora emblematico e rappresentativo di un cameratismo inaspettato.
Di fronte poi a un nemico comune Alexander e Michael imprimono al loro rapporto una ulteriore accelerazione che subisce, inevitabilmente, la metamorfosi definitiva. I ruoli con i quali lo spettatore era abituato a vederli cambiano. Si livellano rendendoli parigrado e intercambiabili.
La nuova situazione, questa alleanza basata sul bisogno e sulla capacità di comprendere che solo dell’altro ci si può fidare, non è priva di tensioni. Non può esserlo considerato quanto successo precedentemente, quanto di background ognuno porta con sé. Ma anziché crearsi fratture insaldabili la dinamica tra loro si arricchisce di sfumature. I due sono meno concentrati su loro stessi e cominciano riconoscere nell’altro motivazioni più nobili di quanto avessero inizialmente supposto.
L’evoluzione infinita
La collaborazione favorisce anche la redenzione di Mahone la quale non può passare che attraverso una richiesta di assoluzione, più o meno implicita, nei confronti di Scofield. L’ormai ex agente FBI, immedesimato in panni nuovi, riconosce che la sua vita è piena di scelte sbagliate. L’ammissione di gravi colpe è il primo passo per una rinascita che Alexander, in qualche modo, vuole condividere con Michael. Questa situazione rende il personaggio interpretato da William Fichtner ancora più complesso e profondamente umano dando allo spettatore un motivo in più per amarlo.
Con la modifica della loro relazione personale e l’avanzare della trama gli sceneggiatori fanno raggiungere ai due personaggi il momento catartico nella quinta e ultima stagione. Dopo che le avventure li hanno separati e allontanati, Mahone e Scofield si ritrovano di nuovo faccia a faccia, con la necessità di chiudere la loro storia perché tutte le cose belle, prima o poi finiscono. Di fronte ai risultati delle scelte passate i due personaggi sanno che possono contare l’uno sull’altro. Nonostante la loro vita si sia trasformata completamente quello che hanno passato insieme è troppo forte per essere compreso da qualcun altro. Affrontare la realtà è un peso che li unisce e ne sigilla la relazione.
Del conflitto iniziale non resta che un’eco lontana. In un momento di forte introspezione (così forte che alcuni critici hanno ipotizzato una relazione omosessuale platonica) Alexander e Michael riflettono sulle perdite subite rendendosi conto che le vittorie ottenute non sono per nulla schiaccianti e somigliano, semmai, a quelle di Pirro, re dell’Epiro.
Un’eredità senza fine
All’interno di Prison Break il rapporto tra Michael Scofield e Alexander Mahone non è soltanto una delle dinamiche più affascinanti della serie ma rappresenta una sorta di microcosmo a se stante, una sorta di spin off interno. La loro trasformazione, i vari passaggi, le dinamiche verso il mondo esterno sono elementi che hanno caratterizzato e arricchito non poco la fantasia degli sceneggiatori di quegli anni. La complessità e la profondità di questa relazione ha regalato al pubblico una delle coppie più belle che la televisione abbia mai prodotto. Una coppia memorabile e significativa ancora oggi a distanza di quasi vent’anni.
Prison Break ha saputo ridefinire il concetto di eroe e di villain mostrando che le linee tra bene e male non sono così nette. I due protagonisti, attraverso la condivisione delle loro avventure, hanno lasciato un insegnamento che risuona oggi come ieri. E risuonerà ancora nel pubblico futuro: in mondo di antagonismi, la comprensione e l’empatia possono portare a legami inaspettati e profondi.
Un’eredità profonda che solo una grande serie poteva regalarci.