Sono passati ormai più di 15 anni da quando Prison Break è comparsa per la prima volta in televisione, eppure ancora oggi la serie continua ad attirare nuove generazioni di fan. Se è vero che la ragione per cui gli spettatori vengono risucchiati senza scampo nel vortice della narrazione è la trama, che rende del tutto impossibile staccarsi dallo schermo anche solo per pochi minuti, ciò che ha permesso alla serie di distinguersi da concorrenti quasi altrettanto avvincenti (qui ve ne indichiamo alcune) è stata la caratterizzazione dei personaggi.
La brillante scrittura ci ha infatti fatto affezionare a personaggi per cui mai avremmo potuto simpatizzare, primo su tutti il pedofilo omicida T-Bag, ma soprattutto è riuscita a far traboccare di umanità un racconto nel quale i protagonisti vengono spesso deumanizzati dalle circostanze.
E se c’è un personaggio che più di chiunque altro ha decretato il successo di Prison Break, consacrandone a tutti gli effetti l’accesso all’Olimpo delle migliori serie tv della storia della televisione, quello è il suo protagonista assoluto Michael Scofield, magistralmente interpretato da Wentworth Miller.
Ci siamo innamorati di Michael Scofield nell’istante in cui l’abbiamo visto, non soltanto per la bellezza mozzafiato del suo interprete, ma perché dal primo momento ci siamo accorti di quanto fosse diverso da qualsiasi altro personaggio avessimo mai incontrato.
Michael è criptico e geniale, ce ne accorgiamo subito, nulla sembra potergli sfuggire. Senza che ci sia chiaro come o perché lo vediamo prepararsi a compiere una crimine, lui che di criminale sembra avere poco. Lo vediamo agire con una precisione maniacale, sappiamo che ha tutto sotto controllo, non riusciamo a fare a meno di essere profondamente affascinati da lui, di cercare di comprendere la sua mente. Eppure, già inebriati da Michael Scofield, ancora non sapevamo che il suo personaggio ci avrebbe rubato il cuore per tutt’altra ragione.
Scopriamo presto che Michael soffre di una condizione nota come basso livello di inibizione latente, che comporta che la sua mente riceva un numero di stimoli dall’esterno molto superiore rispetto alla media delle persone. Combinata con un quoziente intellettivo basso avrebbe potuto portare il nostro eroe sulla strada della pazzia, ma questo non è il caso di Michael.
Infatti, le conseguenze della condizione che lo affliggono sono ben diverse: l’estrema intelligenza di Michael e la sua autostima pressoché inesistente fanno sì che sviluppi un atteggiamento altamente empatico, che gli impedisce di tollerare la sofferenza altrui.
Ecco allora che comprendiamo perché il nostro personaggio è così diverso da chiunque lo abbia preceduto, così lontano da quelli che sono venuti dopo. È perché è pronto a sacrificare qualsiasi parte di sé pur di alleviare il dolore altrui, è pronto a mettere tutto se stesso e tutta la sua intelligenza al servizio di un bene universalmente superiore, anche quando sa che non ne trarrà alcun vantaggio personale.
Questo è tanto più vero quando Michael si trova a dover gestire la sofferenza di chi ama, soprattutto quando riguarda il fratello Lincoln o l’amata Sara. Qualora il protagonista di Prison Break possa contribuire ad alleviare i tormenti e le ingiustizie che dilagano nel mondo, non riesce a tirarsi indietro, non può fare a meno di sentire come suoi gli affanni degli altri e quindi cerca di agire, fa di tutto per sistemare la situazione anche quando i costi personali sono altissimi, anche quando nessun altro al posto suo sarebbe disposto a fare lo stesso.
Lo spirito di sacrificio di Michael, la sua profonda empatia, l’incapacità di tollerare il dolore degli altri lo rendono un uomo profondamente tormentato, incline a un’infelicità esistenziale che in fondo non riesce mai a scalzare. Quello che sarebbe potuto risultare un personaggio banale e moraleggiante, il protagonista intrinsecamente buono che lotta contro i cattivi di cui Prison Break pullula, emerge invece come uno dei più riusciti della storia della televisione, un uomo che seppur devastato dal buio che lo circonda sceglie costantemente la luce.
Nonostante sia costretto a scelte impossibili, Michael le affronta tutte e sempre mettendosi in discussione, sempre anteponendo le necessità degli altri alle sue. Fa della sua intelligenza l’arma che gli permette di alleviare la sofferenza degli altri, si aggrappa ai dettagli per non perdere la testa, cerca continuamente di avere tutto sotto controllo anche quando tutto questo è per lui tanto doloroso da diventare insopportabile. Eppure l’alternativa, il voltarsi dall’altra parte davanti all’ingiustizia e all’infelicità degli altri, non è contemplata nella mente del protagonista di Prison Break.
Michael non può fuggire dal dolore e allora aiuta chi gli sta vicino a farlo, costantemente. Il ritratto che ne esce non è però quello di un eroe senza macchia, bensì quello di un uomo che è incapace di non soffrire, la cui empatia straordinaria non è che una condanna al dolore e al sacrificio.
Molti dei personaggi che sono seguiti a Michael Scofield hanno preso, forse involontariamente, ispirazione da lui. Pensiamo per esempio a Thomas Shelby (Peaky Blinders), altrettanto tormentato dai suoi demoni e vittima di un’intelligenza che si rivela spesso più un peso che un’arma, oppure a Jax Teller (Sons of Anarchy). Tuttavia nessuno di loro, per quanto amato dal pubblico, per quanto ben costruito, per quanto profondamente realistico, è mai più stato come il protagonista di Prison Break. Perché Michael Scofield, a differenza degli altri, è complesso ed è tormentato, ma non è un antieroe.
Michael Scofield è il più umano degli eroi, il più tormentato dei buoni, talmente consumato nella sua ricerca del bene da essere ancora oggi inarrivabile.