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Quando ti lasci alle spalle un capolavoro come Prison Break è difficile accettare che questo possa in qualche modo tornare sotto “nuove vesti”. Se una storia finisce lascia un vuoto particolare dentro ognuno di noi, ma a volte va bene così. Il cerchio si era chiuso, i casini si erano rimessi a posto, i protagonisti erano “finalmente liberi“.

L’annuncio del ritorno di questo colosso dopo anni di chiacchiere e speculazioni ha spiazzato più o meno tutti i fan. L’approdo di Prison Break anche su Netflix poco tempo fa non ha fatto altro che incrementare il pubblico in attesa e pian piano siamo arrivati al fatidico 4 aprile 2017. Quindi..eccoci qui.

Il “siamo liberi ora, siamo liberi” della videocassetta registrata di Michael apre quasi ironicamente la puntata che, tutto dimostra, tranne che quei versi erano reali.

Tutti i personaggi ci vengono presentati, anzi ripresentati, in situazioni scomode. Li vediamo quasi incastrati in modalità che non appartengono a nessuno di loro.

Primo fra tutti Lincoln, ancora inseguito e ancora indebitato. Ancora, come si affretta a suggerire T-Bag, “imbronciato e ansimante“. Nessuna notizia del figlio, della ragazza, un breve accenno a Panama come una parentesi passata da guardare con sola e pura nostalgia. L’incontro con Sara, moglie di un marito che stona lo spartito dei nostri ricordi e madre di un figlio che indossa orgoglioso una maglietta con su scritto “Scofield”. T-Bag fuori di prigione, C-Note alla ricerca della purezza e Sucre in costante viaggio (anche lui senza accenno alla famiglia).

La sensazione che si ha quasi immediatamente è che senza Michael quella piccola tela cucita a fatica si sia lentamente disfatta e spezzata. Il buono che c’è in Lincoln, la lealtà che c’è nei membri di quell’ex combriccola di evasi, l’amore nascosto e sotterrato in 7 anni in una tomba tornano allo scoperto solo quando T-Bag porta alla luce una foto di Michael. E’ lui la chiave di tutto. 

Da qui, immediatamente, le parole che aprono questa puntata di Prison Break.

La libertà ha un prezzo. Sono morto sette anni fa. Ho lasciato un fratello, una moglie, un figlio, ma i morti parlano. Se ascolti, sono lì con te. Provano a contattarti cercando di dirti qualcosa perchè non tutte le morti sono uguali. Alcune sono vere, alcune sono una storia. La domanda è: credi alla storia? L’uomo che è morto era chi credevi che fosse? I morti parlano. Se ascolti. 

E Michael ha parlato. Non sappiamo ancora bene come, ma sappiamo a chi. Ha parlato a T-Bag tramite una foto e un intervento di chirurgia protesica finanziato a nome di Outis dal Dr. Whitcombe. Ha parlato a Lincoln tramite T-Bag e di conseguenza ha parlato con C-Note, Sucre, Sara, suo figlio.

‘Sembra che il destino abbia fatto in modo di ricongiungerci ancora una volta’

Quel destino però sembra avere un nome. Non è una casualità che proprio Outis abbia finanziato il dottore per la protesi di T-Bag. L’ipotesi potrebbe essere che Michael, incapace di contattare Lincoln o Sara per spostamenti e sistemazioni sconosciute della loro vita, abbia scelto la strada più semplice cioè quella di Fox River. Questo pensiero potrebbe essere sostenuto anche dalla convinzione che un contatto prigione (Ogygia) – prigione (Fox River) sia più realizzabile di un contatto prigione – persona che vive dall’altro capo del mondo.

Questa prima puntata di Prison Break, quasi puramente di presentazione per ciò che ci aspetterà, ruota intorno a continui riferimenti religiosi.

Con la vostra mano conoscerete la gloria della vostra progenie e il nostro mondo sarà reso giusto in eterno‘, che non è altro che la frase utilizzata da Micheal per indicare la prigione Ogygia, ha un che di biblico oltre che un accennato riferimento (forse) alla mano di T-Bag e alla ‘gloria della progenie’ indicante il piccolo Mike e la giustizia del suo mondo.

La tomba vuota è un chiaro richiamo alla resurrezione in un nuovo corpo, inteso come nuovo nome Kaniel Outis.

Sara parlando del piccolo Michael dice: ‘è come se pensasse di essere nato da un Dio, un Dio che non ha mai conosciuto, che non è qui, che non lo sarà mai‘. Il bambino, che già ci viene presentato come degno erede del padre in quanto a genialità e deduzione, porta lo stesso nome di quel Dio. E’ la prova vivente e tangibile di una discendenza che non può essere cancellata (la scritta sulla maglietta, gli origami nel pozzetto).

A New York C-Note viene presentato sotto vesti di ‘purificazione’. Cerca ‘la guerra interiore, la battaglia spirituale per risanare l’anima. Trovare e servire Dio‘. Cosa succede mentre sta compiendo quel percorso? Arriva Lincoln che gli propone la ricerca e il servizio per Michael.

Come ultimo appunto citiamo che il nome scelto da Michael, o impostogli da qualcuno, Kaniel significa ‘il Signore mi sostiene’Outis, invece, come già detto, vuol dire ‘nessuno’. Cercando di combinare le due parti si giungerebbe alla conclusione che ‘il Signore non sostiene nessuno’ oppure che ‘nessuno sostiene il Signore’.

Il violento e burrascoso arrivo a Sana’A nello Yemen è la prova che stavamo aspettando. E’ la certezza per il complotto già individuato a New York dal trio Lincoln, C-Note e Sayed.

Le foto ritoccate, gli attacchi ripetuti alla vecchia e nuova famiglia di Michael trovano conferma nella trappola del taxi e nel salvataggio di Sheba. La consegna del passaporto a Omar è invece il passaggio finale verso l’accettazione del sacrificio da compiere.

“Mi ero ripromesso di non mettere più piede in una prigione. / Purché se ne possa uscire”

E’ evidente però, come ci era già stato fatto capire dal trailer della nuova stagione di Prison Break, che la vera fuga non sarà quella dalla prigione di Ogygia. Sarà bensì la più grande evasione mai compiuta, quella da un Paese ad un passo dal crollo totale.

-Com’era mio padre? Quello vero? 

-Michael Scofield era come una tempesta. Era bello e ti intimidiva, misterioso. E compariva nella tua vita come un fulmine a ciel sereno. Poi spariva, altrettanto velocemente.

-Ma le tempeste possono tornare, non è vero?

-La domanda è: se dovesse tornare sarà la stessa tempesta o sarà cambiata?

Se la domanda è se le tempeste possono tornare, la risposta è nella moschea Aksa visibile sullo sfondo della foto provante la sua autenticità. E’ nella tomba vuota e nei messaggi che solo un Michael avrebbe potuto mandare.
Se invece la domanda è se la tempesta sarà la stessa, la risposta allora è data proprio dalle immagini finali della puntata.
Dapprima vediamo un carcere. Una prigione che ci ricorda tanto Sona. Un luogo controllato a suon di manacce, torture e inganni. Poi la fede che si spezza ‘il mio nome non è Michael e non so proprio chi sei’. Kaniel Outis non significa nulla se non terrorista dell’ISIL e costante minaccia al Governo.
Più di Lincoln però noi siamo in grado di gaurdare oltre quelle sbarre, oltre quello sguardo severo e serio. I nuovi tatoo con l’occhio sulla mano potrebbero significare qualunque cosa, esattamente come l’inquadratura della civetta in uno dei primi minuti.

Non ci è dato per ora sapere esattamente a che cosa si riferiscano.

Qualcuno li sta osservando quindi lui non può parlare? E’ un avviso come per dire: vi stanno tenendo d’occhio? O hanno un significato più profondo che ci verrà spiegato con l’avanzare delle puntate?

L’unica cosa certa è che la sequenza successiva non mente. Dietro le sbarre, dopo aver distolto lo sguardo Michael non si può nascondere. Così rivela, con una semplice chiusura di palpebre, che Scofield non è morto.

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