Questo articolo non esisterebbe se negli scorsi giorni non avessi avuto un’esperienza personale, di vita quotidiana, che ha evocato il mio armadillo personale. Questo articolo non esisterebbe, probabilmente, se Questo mondo non mi renderà cattivo fosse uscita anche solo un mese fa. Questo articolo, pertanto, serve prima di tutto a me come promemoria, perché è soltanto attraverso le due cose combinate – ovvero l’esperienza personale di cui sopra e la visione della serie – che ho capito veramente cosa abbia voluto comunicarci Zerocalcare.
Veniamo al sodo. Resto a piedi con la macchina, senza benzina, in un tratto in cui non ci sono benzinai nei paraggi. Prendo la tanica e mi appresto a cominciare la mia odissea a piedi, sotto il caldo torrido di questi giorni. Senza alcuna speranza provo a chiedere un passaggio alle auto che transitavano e, strano a dirlo, almeno dal mio punto di vista, al primo colpo becco la persona giusta. Un uomo sulla quarantina accosta e mi fa entrare, senza esitazione.
Quella che doveva essere un’odissea si è rivelato un imprevisto di 15-20 minuti, poiché l’uomo non solo mi ha accompagnato al distributore più vicino, ma ha anche aspettato che riempissi la tanica per riaccompagnarmi alla mia auto. Ho provato a protestare, in fondo avevo già recato disturbo a sufficienza, ma lui spegne le mie rimostranze con un: “Tranquillo, avresti fatto lo stesso per me“.
È stata soprattutto quest’ultima frase a colpirmi. Perché io non sono assolutamente sicuro sia così. Vengo da un posto in cui 8 volte su 10 un’auto in panne è veramente solo un’auto in panne, ma dove quei due casi in cui l’auto in panne è una tecnica per fregarti ti condizionano più del dovuto. E allora per stare tranquillo e azzerare i rischi passi oltre e lasci l’automobilista lì alle prese con la sua auto in panne, poco importa se sia un uomo, una donna, anziano o anziana. Il gesto di Peppe può sembrare molto comune, di fatto rendendo questo aneddoto abbastanza insignificante. Eppure quante volte nella vita decidiamo di passare oltre? Non ho potuto fare a meno di interrogarmi su questo.
Io, quel caldo lunedì di fine giugno, ho incontrato il mio armadillo. Anzi, per la precisione ho riscoperto il mio faro morale, la mia “Sarah”.
Avevo un’ora abbondante di macchina in solitaria davanti a me e, quasi in automatico, il pensiero è andato proprio al personaggio simbolo di Questo mondo non mi renderà cattivo. Più precisamente a una scena con lei protagonista, ma non quella diventata più virale, ovvero il monologo sul fallimento. Pensavo a una scena alla quale inizialmente non avevo dato troppo peso, etichettandola come una di quelle che avremmo ritrovato in quei reel motivazionali su Instagram con River Flows in You in sottofondo.
Si tratta del momento in cui Zero ci spiega in che modo Sarah sia il suo faro morale, suggerendogli come comportarsi di fronte alla richiesta dell’amico Cesare di “prestargli” 300 euro, nonostante il sospetto di stargli finanziando una o più dosi di eroina. Di come, sostanzialmente, di fronte a un dilemma morale simile a quello dell’automobilista in panne, si possa risolverlo facendo indubitabilmente la cosa giusta.
“È ovvio che quando aiuti qualcuno ti esponi. E te la rischi pure, è una scommessa. Però è una scommessa che pure se la perdi, stai nella squadra dei buoni, di quelli che hanno giocato bene. Mettiamo pure che lui alla fine te voleva solo crepà tre piotte, è lui lo stronzo. Te hai fatto la cosa giusta. […]. Io so che ci stanno tre cose che ti fanno essere una persona giusta con gli altri: aiutà chi te lo chiede senza sta troppo a questionà, andare sempre al passo del più lento e non lasciare indietro nessuno. Se li segui tutti e tre magari te becchi qualche sola, ma almeno quando crepi non finisci nello stesso girone di Margaret Thatcher”.
E insomma il fine ultimo di Questo mondo non mi renderà cattivo sta tutto qua. In questo elogio alla semplicità.
“Semplice” perché vien naturale pensarla alla stregua di Sarah ed è il motivo per cui le sue parole non ci colpiscono così tanto a primo impatto. Tuttavia tendiamo a dimenticare che viviamo in un mondo in cui la normalità è un lusso e questo rende ancora più immediato “passare nella squadra dei cattivi”. Non giriamoci attorno e non prendiamoci in giro con della retorica spiccia (potrei averne fatta già io abbastanza in più punti di questo articolo), non stiamo parlando di “fare la differenza”, se con “fare la differenza” intendiamo cambiare concretamente il mondo. Ci diciamo che questo avvenga con la somma di piccoli gesti di vita quotidiana, ma non è così. Servono invece grandi gesti, portati avanti da chi sta più in alto di noi e, talvolta, nemmeno disinteressati.
Il piccolo gesto, però, ti permette di tranciare un solco tra il bene e il male e andare a unirti alla resistenza, insieme cioè a quelli che fanno di tutto per non passare al lato oscuro perché l’unico bene superiore è quello disinteressato, quello regolato delle leggi dell’empatia. Zero ce lo ripete in ogni sua opera, che sia libro, fumetto, cartone animato o articolo di giornale. Prende posizioni anche scomode su temi controversi. Getta luce sulla situazione delle carceri italiane, sull’omicidio di Ugo Russo, in un certo senso riducendo la complessità che spetta a chi di dovere e fa appello agli istinti più primordiali: noi che seguiamo queste vicende dall’esterno non dobbiamo perdere di vista la nostra umanità.
L’avevamo già detto a proposito di un altro aspetto: Zerocalcare sembra venire dal futuro anche per il modo in cui concepisce la sua critica sociale.. Questo mondo non mi renderà cattivo è un insieme di personaggi che si trovano in situazioni scomode, in cui possiamo al tempo stesso ritrovarci o provare disprezzo. O magari provare disprezzo proprio perché vi ci ritroviamo. Il nostro compito non è scegliere di parteggiare per uno o per l’altro, in base alla nostra concezione di vita ma, anzi, fare uno sforzo superiore e tornare indietro fino a diventare super partes: accoglierli tutti, cogliere di loro il buono e provare a coltivarlo. Non siamo in lotta tra di noi, come chiarisce l’ultimo episodio, siamo in trincea per non farci risucchiare dal male. E possiamo farlo solo provando a fare nostre le battaglie degli altri, salvando anche loro oltre che noi stessi. In attesa che i mammasantissima arrivino a cambiare il mondo per davvero.