“La corrente fa paura perché non sai dove ti porta, ma almeno sai che non stai affondando” Zerocalcare in Questo mondo non mi renderà cattivo.
Questo mondo non mi renderà cattivo ci graffia il cuore e ci lascia un leggero prurito, un fastidio, come quello che rimane dopo essersi grattati. La nuova serie di Zerocalcare affronta molti temi ma in questa sede si vuole parlare di come il fumettista romano picchi la nostra coscienza e il nostro Io attraverso un’arma tragicamente universale: il tempo.
Non si ha certezza di cosa si può fare nella vita fino a quando non lo si fa, oppure fino al momento in cui ci si rende conto che non lo si farà mai. La definitività e la nettezza del momento in cui si acquisisce tale consapevolezza è devastante perché totalmente in contrasto con la lunghezza dell’attesa, con la quantità di anni in cui si attende che la potenza diventi atto. Ma non sempre è così, anzi.
Sarah è, nell’universo di Zerocalcare, quel personaggio a cui è stato detto “che poteva fare tutto, e adesso invece so quella che non sta a fa niente“. Sarah è il faro di Zero, ed è il perno di questa riflessione compiuta nella serie. Cosa significa “non avere più tempo“? E soprattutto perché viviamo in un mondo in cui si ha sempre la percezione di rincorrere qualcosa e mai la certezza di averla raggiunta?
Non sono domande facili quelle che Questo mondo non mi renderà cattivo ci spinge a porci. Nella generazione dei cosiddetti “millennials” – cioè i nati dal 1980 al 2000 – sembra che la fretta di arrivare da qualche parte sia il filo rosso che unisce trasversalmente persone con storie completamente diverse. Storie, appunto. Ognuno ha la sua e diventa difficile capire chi abbia il “titolo” per giudicare quella degli altri. Questo è un grande tema che Zerocalcare affronta nel suo rapporto con Cesare nella seconda metà della serie, ma in realtà si origina già prima, nel suo dialogo con Sarah. Zero, infatti, seppur in buona fede la giudica, ma ingenuamente non ha idea del mondo che la ragazza ha dentro di sé, della sua storia e di quel maledetto palo a cui è rimasta legata. Spesso, infatti, nel nostro Paese gli intenti nobili sono i più difficili da realizzare: questo paradosso lo si coglie nella storia di Sarah, prima ragazza e poi donna che ha un solo sogno, “insegnà ai regazzini“, e si vede negli anni invecchiare, costretta a sbattere contro la gommosa faccia del nepotismo, della raccomandazione e della burocrazia italiana.
L’illusorio motto di non lasciare indietro nessuno resta nell’iperuranio delle idee nobili ma si scioglie davanti alla realtà delle cose, in cui se qualcuno ha l’occasione di andare avanti lo fa, anche da solo.
Zero aveva già parlato di questa dinamica prima del monologo di Sarah, però in una prospettiva opposta, cioè di quello che ce l’ha fatta ed è andato avanti da solo:
“La soluzione è solo collettiva, o svortano tutti o non svolta nessuno, e invece alla fine te svorti ma comunque non ti puoi godè un cazzo perché intorno c’hai le macerie. E che cazzo di sciacallo sta bene nelle macerie?“
La solitudine di chi ce la fa e quella di chi resta indietro: tutti si sentono soli. La verità, però, potrebbe risiedere altrove. La sensazione di solitudine può provenire dalla condizione familiare (come per esempio chi una famiglia non ce l’ha, come Secco), dalle aspettative dei genitori che fanno sentire solo un figlio o una figlia che semplicemente non vuole diventare ciò che loro avevano sognato, dalla convinzione di non essere abbastanza bravi. Ma quell’abbastanza si parametra sulle auto-imposizioni che ognuno di noi crea: non essere abbastanza bravi per qualcosa non vuol dire non essere abbastanza bravi in assoluto, non è il fallimento relativo a giudicare il tutto. La fretta, il non tempo, le aspettative spingono Sarah a mettere da parte gli ideali per non rischiare di “perdere il treno”: Zero non riesce a capirla, almeno all’inizio, ed è per questo che quando va via dopo lo scontro con l’amica si sente svuotato. Come se non sapesse cosa dire o fare. Perché anche Zero è solo, nell’essere andato avanti senza gli amici con cui era partito. E allora torna la “grande assente di questo secolo“, la capacità di capire quando si ha il “titolo” per parlare a qualcuno di certe cose e quando no.
Questo mondo non mi renderà cattivo ha già nel titolo molto – se non tutto – di quello che vuole comunicare e lasciare. Non ci renderà cattivi il vedere gli altri che vanno avanti e noi che rimaniamo indietro perché non esiste il tempo oggettivo, ma esiste il nostro tempo. Non ci renderà cattivi scoprire che i nostri genitori volevano diventassimo qualcuno che non siamo, perché noi siamo ciò che saremo in grado di essere, e non ciò che altri progettano, persino se questi altri sono le persone che ci amano di più al mondo. Non ci renderà cattivi, infine, l’invidia verso ciò che i nostri amici riescono a diventare, perché il percorso di ognuno è la realizzazione di quella persona, non l’affermazione a scapito di un’altra. Zero, Sarah e Secco, in questo senso, vincono “contro il mondo”: non diventano cattivi nonostante, forse, avrebbero più di una ragione per lasciarsi sconfiggere.
“Come se fosse na cometa no? Che ha attraversato la vita nostra, ti eri abituato a vederla e poi però sparisce dietro l’orizzonte. Poi rimane na scia la vedi per un po’ e poi manco più quella. E la vita continua come se non fosse mai esistita, cioè la nostra di vita. E che nessuno pensa mai alla vita della cometa, a che gli succede dopo che è passata“.
Leggi anche: Zerocalcare – Biografia di un polpo alla gola