Il pubblico di Zerocalcare è molto vasto, non si limita alla cerchia generazionale dell’autore, anzi, quest’ultimo è stato in grado di sfruttare il posizionamento su una piattaforma come Netflix per coinvolgere nella propria narrazione anche le nuove generazioni. Si tratta di un risultato tutt’altro che scontato, perché nonostante Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo siano due serie animate che sfruttano una comicità sempreverde, le tematiche affrontate all’interno delle serie sono molto profonde, e vanno a toccare problematiche che trovano radici in altre epoche, oltre che interessi non banali da rivolgere a un pubblico giovane. Zerocalcare è riuscito, nelle sue prime due serie animate, a dialogare con adulti, coetanei, giovani e giovanissimi, senza far sentire nessuno “non all’altezza” di tale conversazione. Oggi vogliamo provare ad analizzare il modo in cui Zerocalcare si rivolge al suo pubblico, e cioè senza presupporre conoscenze pregresse di alcun tipo, per poi concentrarci su quello che, secondo noi, è il uno dei messaggi di fondo delle sue opere, che prescinde da qualsiasi senso di appartenenza sociale o generazionale.
Zero è per tutti
Una delle carte vincenti che ha permesso a Zerocalcare di arrivare a così tante persone, è la semplicità con cui si presenta, fin dai tempi di Strappare lungo i bordi, al proprio pubblico. L’autore è ben consapevole che la maggior parte degli spettatori potrebbe non aver mai letto nemmeno uno dei suoi fumetti, ma questo non lo obbliga a ricorrere a inutili onori di casa didascalici: Zero è uno di noi, uno di tutti quelli che vogliono stare ad ascoltarlo. E’ come se, fin ai primi secondi di visione, firmasse un patto con lo spettatore, un patto in cui, in cambio di “fiducia”, questi mette a disposizione di chi guarda la propria intimità, la propria quotidianità. Un eroe del quotidiano, dunque, perfettamente riconoscibile per qualsiasi generazione. Non importano i dati anagrafici, vengono messi da parte, perché ciò che conta non è rivedersi nei riferimenti storici di ciò che l’autore racconta, quanto più nei dettagli del quotidiano. Siamo tutti Zero, Sarah e Secco, senza dover necessariamente appartenere a una generazione, quella di chi è nato negli anni Ottanta, come lui. Già, perché il background di Zerocalcare è quello degli anni dell’hardcore punk, anni in cui lo stesso autore (insieme a Secco) abbraccia la filosofia dello straight edge; la sua bravura sta proprio nel riuscire a mettere insieme pezzi del puzzle di quell’epoca, tra centri sociali vissuti da vicino, vicende politiche di stampo nazionale (G8 di Genova) o internazionale (vedi la quesitone curda), il tutto mescolato con una miriade di riferimenti alla cultura popolare attuale. Ad ogni modo, non serve aver vissuto crisi politiche o sociali di alcun tipo per un semplice motivo: la storia di Cesare, come quella di Alice in Strappare lungo i bordi, è quella che tutti quanti potremmo aver vissuto da vicino, se non addirittura in prima persona, o semplicemente quella storia di cui abbiamo sentito parlare durante la nostra adolescenza, nelle realtà più variegate, e che ci ha colpito nel profondo.
Al di là dell’attivismo politico e sociale, Zerocalcare parla di depressione e di ansia sociale, di sentirsi inadeguati nei confronti di un mondo che cambia talmente velocemente da farci sentire messi da parte, lasciati indietro. E’ qui che Zero ha vinto, nel momento in cui è riuscito a mettere la propria esperienza personale a disposizione della comunità, senza dover offrire soluzioni certe, quanto più rivolgendosi a uno spettatore sconosciuto con tono fraterno, raccontandogli una storia comune che gli permetta di sentirsi un po’ meno inadeguato. E’ per questo che Zerocalcare è per tutti, per i quarantenni, per i trentenni e per i ventenni, come per gli adolescenti di oggi. Siamo tutti Sarah, che dopo anni di studi e umili fatiche non riesce ancora a sentirsi nel posto giusto, non riesce ad essere sicura di aver scelto la strada adatta a lei; siamo tutti Secco, che scomoda addirittura Churchill in persona per rivendicare il proprio coraggio e quello di tutti coloro che, come lui, non hanno mai rinunciato ai propri ideali, nonostante il destino gli abbia voltato le spalle; e siamo tutti Zero, che nel suo piccolo, nonostante così piccolo, ciò che fa, non sia per niente, continua a sentirsi quasi in colpa, in difetto nei confronti di un contesto sociale, quello in cui è nato, per cui sembra non poter fare più di così. Per tutti questi motivi, non c’è bisogno di aver vissuto da vicino le contestazioni del G8 di Genova, né tantomeno gli anni dei tumulti estremisti, perché il significato intrinseco dell’opera di Zerocalcare prescinde dallo spettro politico, che sarebbe limitante e sminuente.
Ridere e saper sorridere
In questo lavoro assolutamente non scontato, un ruolo chiave lo gioca il tipo di comicità, che abbiamo definito “sempreverde”, tipica di Zerocalcare. Già, perché laddove il racconto viene “appesantito” dalla politicizzazione e dalla denuncia sociale delle condizioni di vita nei sobborghi romani, dietro l’angolo è sempre pronta una battuta vincente; che si tratti di un riferimento alla cultura attuale, nei confronti della quale lo stesso Zerocalcare si presenta spesso come una specie di boomer, dunque senza mai sottovalutarla, o che si tratti di un intervento pungente della sua coscienza (l’armadillo), l’autore riesce sempre a smorzare la drammaticità degli eventi narrati al momento giusto e, soprattutto, senza mai snaturarsi o apparire, in qualche modo, inadeguato. Si tratta di un aspetto vincente delle serie di Zerocalcare, un aspetto che abbiamo potuto notare maggiormente nella sua seconda opera per Netflix: Questo mondo non mi renderà cattivo è, in primis, la storia di Cesare, un amico di vecchia data del protagonista, che torna a Rebibbia dopo anni di misteriosa assenza. Cesare, che ha avuto diversi problemi in passato, tra droga e criminalità, torna in quartiere con la volontà di ripartire da capo, senza riuscire però a trovare terreno fertile, e finendo per immischiarsi in loschi giri politici di estrema destra. La storia di Cesare è davvero drammatica, oltre che tremendamente attuale; non è raro, tra i giovani di tutte le generazioni, conoscere vicende simili alla sua, cosa che fa immediatamente entrare lo spettatore in simbiosi con il suo personaggio e con l’intero tessuto narrativo.
Io quel momento me lo ricordo, perché a noi ce capita di ride un sacco, però non sorridiamo quasi mai. Questa sensazione delle facce morbide, distese, co’ ‘sto sorriso, è strana; è proprio diversa da come sta la faccia nostra di solito: o tutta accartocciata perché stiamo a ride sguaiatamente, così non sentimo i mostri nostri che ce strillano dentro, oppure tutta in tensione perché ce rode er cu** e siamo a tanto così da fa’ er botto. Invece tranquilli e sereni praticamente non ce stamo mai.
Eccola, la scena. E’ tra queste parole che si nasconde il significato intrinseco della missione narrativa di Zerocalcare: non c’è critica sociale che tenga, nessuna esibizione della drammaticità; Zero parla a tutti quanti con un discorso sulla vita, più che sulla giovinezza. Si possono avere i più disparati ideali politici, lui stesso è il primo a mettersi in discussione nonostante l’evidenza di una situazione critica, ma il messaggio di fondo è un altro, ed è rivolto a chiunque: in un mondo frenetico che spesso si dimentica di noi, siamo noi stessi i primi a dimenticarci delle cose più importanti, dandole stupidamente per scontate o banali; delle volte l’uomo è talmente ottuso da non rendersi conto nemmeno di non essere in grado di sorridere, di aver assunto una posizione di immobilità e passività nei confronti dell’esistenza, la stessa contro cui sbattiamo la testa ogni giorno, correndoci contro, immersi nella vastità dei pensieri che ci tormentano, quando invece la soluzione, a volte, potrebbe essere semplicemente quella di correre nel suo stesso verso.