Crime Investigation ha mandato in onda agli inizi di gennaio il controverso e scioccante documentario R Kelly: vittime di una popstar.
Diciamolo fin da subito: non è una visione gradevole.
E diciamo anche, fin da subito, che R. Kelly ha sempre respinto tutte le accuse.
“Una parte di me pensava che fosse colpa mia se mi trattava così”.
“Ero una vittima”.
“L’ho subita e sono andata avanti”.
“Non voglio che succeda ad altri”.
Il documentario dà volto e voce alle vittime della popstar che raccontano di come R. Kelly sia un predatore sessuale attratto da ragazzine molto giovani. Troppo giovani.
Ma chi è R. Kelly?
Nasce a Chicago nel 1967 da famiglia povera ed è un bambino timidissimo, tutto concentrato sulla musica che impara da autodidatta. Ha difficoltà di apprendimento ed è vittima dei bulli a scuola. Viene molestato da una familiare dai 7 ai 13 anni e, secondo lui, questo ha risvegliato i suoi ormoni molto prima di quanto dovessero.
Negli anni ’90 diventa famosissimo, non solo come cantante – è suo il successone I Believe I Can Fly che è la colonna sonora di Space Jam – ma anche come produttore e songwriter. C’è la sua penna dietro a You Are Not Alone di Michael Jackson ed è stato il talent scout di Aaliyah, conosciuta quando lei aveva 12 anni e lui 25.
Non a caso l’album di debutto di Aaliyah, cantante dal talento sconfinato morta prematuramente a 22 anni, viene scritto da R. Kelly e si intitola Age Ain’t Nothing but a Number. La canzone che dà il titolo all’album parla di una ragazzina che convince un uomo adulto a intraprendere una relazione.
Vincitore di Grammy, affascinante, ricco e famoso, sicuramente dotato di fiuto per gli affari e sensibilità artistica, R. Kelly è comunque sempre stato (lo era anche 20 anni fa) avvolto da un alone di mistero.
C’era qualcosa, in lui, che disturbava.
Gli piacevano le ragazze del liceo: poteva influenzarle di più, erano più impressionabili.
Le reclutava infatti direttamente a 14 anni e le portava in sala d’incisione, come coriste, aspiranti cantanti, parte della sua crew. C’era chi diceva che il 27enne cantante avesse addirittura sposato illegalmente Aaliyah quando aveva solo 15 anni, falsificando i documenti di nozze. Perché per molti R. Kelly era un predatore sessuale che aveva già aggredito diverse donne. Fu anche pescato con delle immagini pedopornografiche e questo la disse molto lunga su di lui.
R Kelly: vittime di una popstar lascia parlare moltissime donne, tutte giovani, tutte di colore che affermano di aver subito violenze di ogni tipo dal cantante.
Sull’onda del movimento #MeToo, via via, queste donne hanno trovato il coraggio di parlare e raccontare ciò che in molti già sapevano, temevano o avevano fatto finta di non vedere: R. Kelly è un mostro. Questo segreto di Pulcinella era rimasto nascosto per decenni solo perché il cantante era potente e famoso: gli è stato concesso di rovinare la vita a decine di donne, con totale carta bianca.
Solo lo scorso anno Spotify ha deciso di cancellare dalla propria piattaforma la sua musica perché:
Non censuriamo i nostri contenuti a causa del comportamento di un artista, ma vogliamo che le nostre decisioni autoriali – in sostanza, ciò che decidiamo di programmare – riflettano i nostri valori.
Subito dopo anche Apple Music e Pandora hanno preso la stessa decisione.
Il documentario R Kelly: vittime di una popstar riesce a dare voce a chi per anni è stato messo a tacere, ha dato un volto, un nome, delle emozioni a donne che hanno dovuto subire violenze fisiche e psicologiche fin dalla primissima adolescenza. R. Kelly non era solo un uomo adulto (e quindi aveva una maturità e un’esperienza significative rispetto a delle adolescenti), ma era anche ricco, potente e violento.
Qualcosa si è mosso, perché anche nell’industria musicale l’artista ha smesso di godere dei privilegi illimitati.
John Legend e Chance the Rapper compaiono in R Kelly: vittime di una popstar e molti altri artisti come Celine Dion e Lady Gaga hanno dichiarato di essersi pentiti di aver lavorato con lui, togliendo le relative collaborazioni dai loro cataloghi musicali.
Il titolo in inglese di questo documentario è Surviving R. Kelly e ritengo che sia molto più efficace della versione italiana, perché tutte queste donne, diversissime tra loro ma accomunate da un tragico passato, sono delle vere sopravvissute. Per anni nessuno ha creduto loro, hanno dovuto incassare e tacere, mentre ora hanno finalmente trovato la voce per denunciare, per raccontare, per togliere il velo di ipocrisia e omertà che proteggeva R. Kelly.