Attenzione: L’articolo può contenere spoiler su Ragnarok.
Nel corso delle decadi, la mitologia norrena è stata protagonista di svariate rappresentazioni mediali: in qualità di scrigno creativo ricco di opportunità e richiami, ha assunto forme varie ed eterogenee nel mondo della narrativa. Non solo il più noto e recente rimando all’Universo Marvel, sono molte le serie tv (e non solo) più o meno recenti che hanno attinto alle antiche leggende nordiche. Basti pensare, a esempio, a Vikings o ad American Gods che, a modo loro, hanno approfondito alcuni aspetti chiave di una dimensione talmente vasta d’esser un inesauribile e affascinante universo che ben si cala nelle narrative letterarie, cinematografiche e televisive da molti anni. Infatti, la mitologia ha spesso e volentieri individuato un terreno florido nel settore dell’intrattenimento: le avventure epiche, le figure irraggiungibili, le creature fantastiche, gli elementi del folklore, sono tutti tratti individuabili in qualsivoglia tipo di racconto per tutte le età. Proprio a fronte di un contesto così vibrante di opportunità narrative e di grandi pilastri che continuano a dominare l’immaginario e il genere di riferimento, non tutti i racconti che assumono a fulcro gli epocali drammi e personaggi della mitologia nordica riescono a evolversi a dovere e a guadagnare il giusto spazio. A tal proposito, è interessante osservare il viaggio narrativo di Ragnarok, serie tv originale Netflix di produzione norvegese e danese.
Dal 24 agosto è stata resa disponibile a livello internazionale la terza e ultima stagione di Ragnarok, capitolo conclusivo di un lungo viaggio tra la mitologia norrena e teen drama.
Con il peso della continua associazione al MCU e delle aspettative solitamente rivolte verso un titolo che si assume la briga di rappresentare, in chiave contemporanea, le leggendarie vicende del Nord Europa, la storia di Ragnarok ha avuto un percorso altalenante, che è comunque riuscito a giungere sino a una conclusione (traguardo da non dare per scontato, soprattutto per un titolo europeo, di dimensioni modeste, all’interno di una piattaforma spietata come Netflix).
La prima stagione.
Il primo capitolo di Ragnarok ha abbracciato prevalentemente una narrativa più affine al teen drama, sfruttando le più comuni dinamiche adolescenziali e accademiche moderne per presentare i personaggi e il plot. Ambientato ai giorni d’oggi nella fittizia cittadina norvegese Edda, lo show pone al centro l’impacciato giovane Magne Seier (David Stakston), tornato nella città natale dopo tanti anni assieme alla madre Turid e al fratello minore Laurits, a seguito della morte del padre. Il protagonista è un adolescente schivo, non particolarmente estroverso, ma con un forte senso di giustizia. Con le piaghe del cambiamento climatico e dell’inquinamento che sembrano aver raggiunto persino l’apparentemente paradisiaca Norvegia, Magne inizia a indagare sul misterioso e controverso operato della potente industria locale, governata dalla possente famiglia Yutul. I membri dell’oscura famiglia, Vidar, Ran, Saxa e Fjord, si rivelano esser, in realtà, quattro Jötnar, esseri soprannaturali identificati solitamente come Giganti, storici oppositori nella mitologia norrena. Nello scontro tra forze centenarie, Magne scopre poco a poco il suo ruolo, divenendo una chiara reincarnazione del Dio Thor, divinità nordica del tuono, destinato a fronteggiare i minacciosi Giganti proprio nel Ragnarok (l’equivalente dell’apocalisse norrena, lo scontro finale).
Con delle premesse simili, Ragnarok sembra essere un teen drama fantastico dalla possibile portata epocale. Ciò nonostante, la prima stagione rimane ancorata a dinamiche introduttive e prevalentemente adolescenziali, che non consentono alla storia di abbracciare sin da subito la sua aspirazione leggendaria, limitandosi a fornire indizi che sembrano esser destinati a successivi sviluppi. Ad ogni modo, i promettenti inizi di Ragnarok sono sufficienti per attendere, con la giusta dose di interesse, il secondo capitolo della battaglia di Magne.
La seconda stagione.
Nella seconda produzione emerge con prepotenza quello che, probabilmente, è stato l’ostacolo più grande per lo show: il numero limitato di episodi a disposizione. Nel suo complesso, Ragnarok ha articolato la sua narrazione in tre stagioni da sei episodi ciascuna. Proprio per questo, il tempo a disposizione non è sufficiente per una serie tv, creata da Adam Pricem che si propone di raccontare sul piccolo schermo un moderno scontro tra Dei e Giganti, soprattutto dopo un’introduzione così reiterata.
Il secondo capitolo esplora maggiormente la scoperta dei poteri e degli alleati di Magne. Il protagonista non è solo, entra in contatto con altri esseri umani con una celata natura divina (soprattutto, Iman, Tyr e Wotan), rielaborando ancora di più i miti della mitologia scandinava e riducendo la parte più adolescenziale e formativa del racconto. Gli scontri aumentano, lasciando meno spazio ai teenager protagonisti (se non per le relazioni sentimentali e amicali che si instaurano tra loro, come in qualsivoglia teen drama che si rispetti). La seconda stagione è, per la maggiore, una grande transizione che prepara alla tanto attesa battaglia tra Dei e Giganti, perdendosi però in risoluzioni narrative non sempre accattivanti e chiare e nell’introduzione di molti personaggi lasciati privi di rilevanti sviluppi. Consapevole del proprio destino, Ragnarok conclude una seconda stagione non brillante come la prima con un chiaro rimando a una necessaria e imminente conclusione.
La terza stagione.
La storia, iniziata nel 2020, è giunta recentemente al termine col terzo capitolo che si è dotato di un finale divisivo. L’evoluzione di Ragnarok non è mai stata troppi brillante, ma comunque in grado di proporre un buon intrattenimento e una rielaborazione moderna, teen e intrigante della fascinosa mitologia scandinava, tant’è che siamo giunti, assieme al suo tormentato protagonista, sino alla sua conclusione delle vicende. Il viaggio dell’eroe di Magne si chiude dopo una terza stagione di forte perdizione per il personaggio, accecato dal potere e dal desiderio di chiudere il prima possibile gli imminenti scontri.
Durante tutta la stagione, la tensione è palpabile, in particolare attraverso il ritrovato martello Mjöllnir, che sembra dare a Magne la sicurezza e il potere di cui tanto aveva bisogno per affrontare definitivamente i Giganti e prendere in mano la situazione. Ciò nonostante, l’atmosfera tesa che pervade tutto il capitolo non riesce a trovare una dimensione capace di convincere all’unanimità. Seppur la storia ambisca a un’epicità rinnovata, entrando finalmente nel vivo della mitologia norrena in rielaborazione teen, Ragnarok assume una svolta molto più terrena e simbolica di quel che ci si aspettava. Dando origine a uno dei finali più anticlimatici degli ultimi anni, la serie tv abbraccia un happy ending collettivo, che non ci permette di gustare a pieno lo scontro per cui abbiamo atteso diciotto episodi. La decisione di concedere a (quasi) tutti i personaggi un lieto fine, riservando l’epocale battaglia alla fantasia, lascia un innegabile retrogusto amaro, vanificando tutto il travaglio delle stagioni in nome di una metaforica pace tra le due millenarie fazioni.
In conclusione.
Nel caos dei giochi di potere, dei drammi familiari e della tensione di una tregua che sembra destinata a venire meno, Ragnarok impiega tre stagioni per preparaci allo scontro (che non avverrà mai veramente), frastagliando il racconto di dinamiche teen e formative. Soprattutto queste ultime, accompagnano costantemente la sottotrama della storia, passando per i miti e le leggende norrene. Nella nobile ambizione da coming-of-age, la serie tv si interroga implicitamente sulla morale dei protagonisti, esplorando i loro limiti e il fato. Proprio in virtù di reincarnazioni contemporanee, gli anti-eroi possono ripercorrere i passi dei loro antenati, oppure intraprendere percorsi differenti attraverso scelte autonome e diverse. Nei sei ultimi episodi, la direzione narrativa si esplicita sempre di più, fino a un epilogo di serie in cui il cambio di rotta è chiaro. Abbandonando le soprannaturali aspettative, alimentate per ben tre stagioni, Ragnarok tradisce la fiducia degli spettatori in nome della fratellanza, dell’alleanza e della pace. Nell’eterna contrapposizione tra guerra e pace, la serie tv esplora le conseguenze di uno scontro moderno che, sul finale, non ha vita, ma è solo rappresentato nell’immaginazione più remota delle conseguenze fatali, che non lascerebbero scampo a nessuno, se non alla desolazione e al dolore.
Complessivamente, Ragnarok è una serie tv che non è mai stata in grado di osare fino in fondo. Pur fondendo in modo intrigante e brillante i generi narrativi di riferimento, lo show non ha sfruttato al massimo le premesse epocali alla base della sua storia. Consapevole probabilmente dei propri limiti, il prodotto di Adam Price cerca una sua forma in un contesto audiovisivo e narrativo dominato da altri giganti con cui non è possibile competere. In conclusione, in generale, Ragnarok è un prodotto europeo interessante, con elementi accattivanti, ma che ha subito i suoi stessi limiti troppo a lungo per raggiungere una dimensione ultima pienamente soddisfacente.