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Ma, secondo voi, perché la Rai dovrebbe fare delle fiction diverse?

fiction rai
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“In Italia una fiction diversa, oggi, non solo non è possibile, ma non è neanche augurabile. Non la vuole nessuno una fiction diversa”.

Correva l’anno 2010. Boris era ormai al tramonto della sua prima era, e Diego Lopez si avventurava in una considerazione caustica a proposito di chi siamo e di dove vogliamo andare. La puntata la ricordate un po’ tutti: il dirigente, incalzato da René, svelava l’inganno di Medical Dimension, una fiction di qualità che in realtà era una trappola per favorire il ritorno delle solite produzioni scadenti. Non entriamo nel dettaglio (per farlo, abbiamo proposto un approfondimento qualche tempo fa), ma ci fermiamo a una considerazione: sono passati quattordici anni da quella puntata, eppure è ancora (in parte) valida. E i Lopez che oggi pianificano i palinsesti delle fiction Rai lo sanno benissimo.

Non ci credete? Facciamo un salto nel tempo e arriviamo ai nostri giorni.

17 ottobre, 2024: va in onda la prima puntata dell’ennesima stagione di Don Matteo. Risultato? 4.930.000 spettatori, pari al 27.8% di share. Serata dominata, anche se le programmazioni del giovedì sono piuttosto intasate di titoli forti: Canale 5 contrapponeva, per esempio, una seguitissima fiction turca (Endless Love, per essere precisi). Serata dominata con medie che superano gli share abituali della rete ammiraglia nell’ultimo periodo, consolidando il successo di una fiction Rai che sopravvive a tutto. Sopravvive a venticinque anni di storia, a quattordici stagioni e persino all’addio del suo protagonista carismatico. Don Matteo, l’emblema delle fiction Rai, è un prodotto fuori dal tempo. Alieno alle logiche della serialità alle quali siamo abituati. Nonostante ciò, vince. Vince e trionfa.

E allora, a questo punto, vale la pena farsi una domanda: ma perché le fiction Rai dovrebbero cambiare, come molti chiedono a gran voce da almeno quindici anni?

Già, perché dovrebbero? Partiamo da un presupposto: chi lo domanda, ha delle ragioni per farlo. Una, su tutte: la Rai è un’azienda pubblica, e chiunque paga il canone è in qualche modo un suo azionista. Di conseguenza, l’obiettivo di un’azienda del genere deve essere sempre quello di accontentare i propri azionisti. Lo fa? Chi si lamenta, non ne è convinto: le fiction Rai rispondono spesso a dinamiche che sono figlie di un modello ormai in via di superamento, e non appagano in gran parte dei casi le necessità di alcuni target di pubblico. Pubblico che si è allontanato dalla tv lineare (anche) per questo motivo, e che vede nelle fiction le ennesime riedizioni della famigerata Occhi del Cuore di Boris.

Ma è vero, tutto ciò? Sarebbe sbagliato essere tanto drastici con le definizioni. Perché le fiction Rai non sono più quelle del 2010, e alle tante Occhi del Cuore ancora presenti in palinsesto si affiancano altrettante Medical Dimension (e non diteci che Doc non lo è).

Le fiction Rai sperimentano poco ma hanno portato avanti nel tempo, pur con notevole lentezza, un percorso di svecchiamento e di innovazione che include diversi titoli. Blanca, per dire, è la “solita fiction”? La recente Kostas lo è? E cosa dire de Il Clandestino, titolo recente che ha cercato di offrire una voce diversa all’atavica vocazione generalista delle fiction Rai? Valgono queste considerazioni, fermandoci a Raiuno.

Se poi si allarga il fronte, il discorso diventa ancora più intrigante. Raidue propone da tempo delle produzioni audaci e competitive anche per catturare i target più giovani (Coliandro, Il Cacciatore, Rocco Schiavone), arrivando addirittura a sbancare tra i teen grazie al successo notevole di Mare Fuori. Insomma, le fiction Rai hanno saputo mantenere porzioni importanti sul mercato grazie a una diversificazione significativa. Una diversificazione che sfugge spesso ai critici duri e puri, ma tutto ciò sembra non bastare mai.

Non ai tanti chi la tv non la guardano nemmeno, anche se vorrebbero (legittimamente, ripetiamo) farlo. Non a chi non le guarda e le valuta solo attraverso i soliti pregiudizi, anche quando il prodotto è in realtà d’ottimo livello. Ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: Don Matteo non è un caso isolato, bensì la punta dell’iceberg.

Le fiction Rai, oggi, funzionano ancora.

Funzionano in gran parte dei casi, e quando vanno male si attestano pressoché sempre sulle medie minime delle reti ospitanti. Funzionano, e nel rapporto tra costi e benefici mostrano ancora una forza dirompente. Soprattutto se tengono fede alla “vetusta” vocazione ultra-generalista, vituperata da chi vorrebbe una Rai più vicina alla BBC o addirittura alla HBO. Ben vengano le innovazioni, ma chiunque sperimenta è ancora distante dalla Don Matteo di turno. Sfiorare i cinque milioni di spettatori, oggi, è quasi un miracolo televisivo.

Non è un caso, allora, che il mondo dello streaming, dopo una fase in cui sembrava poter spazzare via le logiche della tv lineare con una rivoluzione totale, stia in qualche modo “tornando al futuro” con un adattamento del sistema più vicino alla vecchia tv che a una tv davvero nuova. E non è manco un caso che l’attuale regina delle serie tv italiane di Netflix sia, per fare un altro esempio, Eleonora Andreatta, ex direttrice di Rai Fiction.

Brennero
Brennero

Nonostante ciò, c’è un’altra cosa da dire: il modello che oggi funziona non funzionerà più domani.

Le fiction Rai, soprattutto quelle che vanno in onda su Raiuno, centrano gli obiettivi di rete su target che superano i 45-50 anni. Logica vuole, però, che i trenta-quarantenni di oggi siano i cinquantenni di domani, ed è fondamentale arrivare preparati all’appuntamento col futuro. Un futuro che deve essere già presente, con una pianificazione attenta della transizione (necessaria) dall’attuale modello di serialità generalista a quello che sarà competitivo tra alcuni anni anche sul canale principe.

Cosa significa, tutto ciò? Don Matteo, oggi, è tutto ciò che serve a Raiuno, ma tra qualche anno saranno le Rocco Schiavone della situazione a dover avere una voce dominante. In tal senso, la transizione sembra essere ancora piuttosto lenta ed episodica. Mare Fuori, pur essendosi macchiata nel tempo coi soliti “vizi” delle fiction evocate da Diego Lopez, è un modello vincente che la Rai ha saputo valorizzare solo grazie alla spinta esterna di Netflix: questo è un problema. Un Professore, invece, è una tra le poche fiction di Raiuno che sono state capaci di catturare un pubblico più giovane: qui i meriti sono tutti della nostra azienda pubblica, ma al momento è un’eccezione (o quasi).

Parallelamente, l’ottimo percorso editoriale di RaiPlay, foriera di una programmazione interessante che pochi ancora conoscono, deve essere sostenuto e finanziato attraverso i numeroni ancora raccolti dalle tante Don Matteo che stizziscono un certo pubblico (ma portano con sé risultati e budget).

E cosa dire, delle produzioni internazionali?

Le produzioni d’autore che gli amanti della tv di qualità chiamano a gran voce e vorrebbero sulla nostra televisione generalista? Beh, i risultati incoraggiano. L’Amica Geniale, co-prodotta con la HBO, ha garantito standard autoriali altissimi e numeri notevoli. Lo stesso potremmo dire a proposito di Esterno Notte, capolavoro di Marco Bellocchio che ha trovato una sacrosanta consacrazione sul primo canale. Perché è vero: le “solite fiction” sono indispensabili, ma la citazione di Boris con cui abbiamo aperto il pezzo racconta una realtà abbastanza diversa dalla nostra, in cui il pubblico di massa sa premiare anche la tv d’autore.

Insomma, i modelli coesistono e devono continuare a farlo con forza crescente. Attraverso gli investimenti e la visione, sapendo che una Don Matteo non sarà quello che è per sempre.

Una Don Matteo non escluderebbe, per esempio, l’acquisizione dei diritti di Prisma. Il teen drama italiana, cancellato da Prime Video, rappresenterebbe un ottimo esempio per garantire lo spunto per una transizione solida, magari da valorizzare sul primo o il secondo canale dopo un solido passaggio su RaiPlay. Perché non dare un’occasione a una serie tv ben fatta, alla ricerca di una casa ospitante che meriterebbe? Ecco, serve equilibrio nelle valutazioni. Nelle valutazioni e nelle strategie: alla miopia dei critici convinti che le fiction Rai siano sempre e comunque uguali a loro stesse (e anche quando lo sono, sono indispensabili), non deve corrispondere una miopia da parte dei dirigenti che gestiscono e gestiranno la Rai. Adagiarsi sugli allori, d’altronde, sarà sempre il primo passo per il fallimento.

Vogliamo crederci? Fino a prova contraria, avrà sempre ragione la Rai.

Antonio Casu