ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sul film A Complete Unknown
Un altro biopic musicale tra i film più attesi dell’anno? Ebbene sì. Dopo i vari Freddie Mercury, Elvis Presley e via dicendo, stavolta è il turno di Bob Dylan, interpretato sontuosamente da un Timothée Chalamet la cui performance non ha nulla da invidiare a quelle da Oscar di Rami Malek e Austin Butler. A Complete Unknown è però un biopic molto particolare, perché ha un focus molto preciso sia a livello temporale che concettuale. Al centro della storia ci sono, infatti, i primissimi anni della carriera del cantautore. Dall’affermazione sulla scena folk fino alla cosiddetta svolta elettrica. La narrazione si condensa, in sostanza, in appena quattro anni, decisivi, però, per inquadrare uno dei più grandi e allo stesso tempo controversi artisti dell’intero Novecento.
Come ben sappiamo, A Complete Unknown ha ottenuto parecchi consensi, facendo anche incetta di nomination agli Oscar. È veramente uno dei migliori film di questa stagione cinematografica? Tecnicamente è ineccepibile. Tuttavia, si avverte un po’ la mancanza di trasporto, specialmente se facciamo il paragone (di norma mai giusto, ma in questo caso abbastanza fisiologico) con alcuni recentissimi esponenti del genere come Bohemian Rhapdosy ed Elvis. A Complete Unknown è probabilmente meno appassionante, ma non per questo inferiore. Siamo, sicuramente, di fronte a uno dei migliori film di questa stagione cinematografica, per rispondere alla domanda di poco fa. Nonostante un pizzico di freddezza.
Le ragioni del biopic: il cuore di A Complete Unknown
Come detto, A Complete Unknown è un biopic un po’ sui generis. Non segue, infatti, pedissequamente la vita del protagonista scelto, ma si concentra su un passaggio estremamente preciso. Una scelta vincente, in fin dei conti, perché evita dispersioni e aiuta ad arrivare al cuore del concetto che s’intende veicolare. Il cuore, appunto, del film sta proprio nel suo finale. Nella celebre esibizione al Newport Folk Festival del 1965 che dà vita alla svolta elettrica di Bob Dylan. Un momento di cruciale importanza per l’intera storia della musica, a cui si arriva, nel film, progressivamente e con una cura che sarebbe stata impossibile allargando i connotati temporali del racconto.
Questo finale è un trionfo non solo perché svela il nucleo concettuale dell’intero racconto, ma pure perché segna il primissimo avvicinamento tra Dylan e lo spettatore. Si percepisce, finalmente, la sofferenza del cantante, intrappolato in una scena musicale che non sente più sua. Dilaniato dall’esigenza di esplorare nuove frontiere artistiche. Di liberarsi del peso della contingenza. Oppresso dalla colpa di allontanare quella critica sociale che ha segnato profondamente i suoi primi anni di carriera, ma che ora mal si sposa con la sua debordante vocazione artistica. Insomma, per la prima volta vediamo il vero Bob Dylan e lo ammiriamo per la forza dimostrata su quel palco, davanti a una folla cieca e inferocita. Non è più, parafrasando il titolo, un complete unknown ai nostri occhi.
Questa rivelazione viene resa possibile soprattutto da un sapiente lavoro di costruzione e interpretazione del personaggio. Timothée Chalamet è bravissimo nel rendere il suo Bob Dylan costantemente indecifrabile. Quasi avulso dal contesto in cui si trova. Quel giovane cantautore ci appare, per lunga parte del film, una sorta di corpo estraneo. Non lo capiamo, ma perché forse nemmeno lui vuole farsi capire. O addirittura nemmeno lui si capisce. Poi nel finale tutto diventa chiaro. Lo capiamo, finalmente. Lui si capisce, e lo dimostra con orgoglio. E così viene confezionato un incredibile lavoro sul personaggio, sicuramente la componente migliore di A Complete Unknown.
L’altra faccia della medaglia: la lontananza di Bob Dylan
C’è da segnalare, però, come affermato in apertura, una certa freddezza del racconto. Bob Dylan ci rimane lontano per quasi tutto il film. Una scelta funzionale in vista dell’epilogo, sicuramente, ma che al contempo smorza l’aspetto più emotivo del racconto. Non si crea mai quella connessione che ci si aspetta da un film del genere. Vediamo sprazzi di vita di Bob, ma non ci sentiamo mai coinvolti. Le emozioni affiorano più sul versante artistico. Nel vedere quel ragazzo con la chitarra e l’armonica conquistare frotte di ammiratori estasiati. Sul lato intimo, però, c’è un po’ poca empatia.
Questo è, almeno secondo chi scrive, il lato un po’ più ostico del film. Non possiamo parlare di problema o difetto, anche perché questa freddezza ci sembra una scelta ponderata. È, semplicemente, un danno collaterale, calcolato e accettato. Questa lontananza del protagonista, come abbiamo visto, non frena sicuramente la compiutezza del film. Incide più che altro sul coinvolgimento dello spettatore, tenuto costantemente a debita distanza. Una scelta, apprezzabile o meno, coerente però col resto dell’impianto narrativo.
Timothée Chalamet guida un cast strepitoso
È francamente impossibile non parlare della straordinaria prova di Timothée Chalamet. A Complete Unknown rappresentava per lui un enorme banco di prova. Superato alla grandissima. Possiamo parlare di definitiva consacrazione? Sì, ma in realtà non ce n’era nemmeno bisogna. Che Chalamet sia uno dei migliori attori della sua generazione è ormai un fatto conclamato (qui avevamo elencato, tempo fa, le sue 5 migliori interpretazioni, sicuramente ora bisognerà aggiornare la lista). Questo suo Bob Dylan ci ha fornito solo una prova ulteriore del suo immenso talento.
Non c’è solo Timothée Chalamet, però, in A Complete Unknown. Al suo fianco il resto del cast è altrettanto eccezionale. A partire da Edward Norton, che nei panni del cantante folk Pete Seeger ha ottenuto una meritatissima nomination agli Oscar (e potrebbe pure vincere). Inferiori le possibilità di vittoria di Monica Barbaro (anche lei candidata), ma comunque estremamente notevole la sua interpretazione di Joan Baez. Plauso anche a Elle Fanning, termometro emotivo di Bob Dylan con la sua Sylvie. Insomma, quello di A Complete Unknown è un cast eccezionale, che certifica l’altissimo livello del film.
A Complete Unknown è un grande film tra la Storia e la storia
L’ultima cosa che vogliamo sottolineare è la capacità di A Complete Unknown di saper oscillare tra la Storia, quella con la S maiuscola, e la storia personale, quella di Bob Dylan e della musica folk. Sullo sfondo compaiono puntualmente i grandi fatti di quell’epoca: la crisi dei missili a Cuba, le lotte per i diritti degli afroamericani, la morte di Kennedy. In primo piano, però, rimangono sempre i tormenti di Bob. I suoi legami sempre più tenui con la scena folk e la sua esigenza di esplorare nuove frontiere artistiche. C’è anche una certa insofferenza sul fronte sentimentale, ma questo è forse l’aspetto meno interessante del racconto. Il tutto, comunque, rimane sempre in armonico equilibrio.
Ciò che esce fuori da questo quadro è il racconto di un genio impossibile da contenere. A Complete Unknown è un film equilibrato, che sa dove vuole andare a parare e ci arriva con sicurezza. Sacrificando pure, come abbiamo visto, qualcosa lungo il percorso. Quello di James Mangold è un ottimo film, non c’è che dire. Candidato con grandissimo merito agli Oscar, pure se forse non lo metteremmo tra i favoriti (The Brutalist sembra viaggiare a vele spedite, ma occhio pure a Emilia Perez). Comunque siamo di fronte a un altro riuscito biopic musical (qui ne trovate altri di grandissimo livello) e, finché i risultati sono questi, ben venga che s’insista su questa strada.