La memoria è importante, soprattutto quando quello che hai tra i ricordi ti è oramai scappato dalle mani. Dimenticare è facile, difficile, necessario. Ricordare è un verbo che ti annienta e ti fa sopravvivere, la tua medicina e il tuo veleno. Spesso la tua memoria è la tua peggior nemica, soprattutto quando tutto quello che ricordi fa luce su tutto quello che hai perso. Ma a volte sono proprio i nemici a sorprenderci nei nostri momenti più difficili. A volte è quella sequenza di ricordi a salvarti dal baratro in cui sei finito a causa di tutto quello che non vuoi ricordare. Il paradosso della memoria a volte sta proprio in questo: è l’unica che ti aiuta, ma anche è l’unica che ti ricorda perché quel dolore spinga così forte. Possiamo combatterla quanto vogliamo, ma lei rimane lì inerme nonostante tutto. E’ forte. Più forte di noi. E’ lo scacco matto alla nostra vulnerabilità, l’ingrediente principale di Aftersun, il nuovo film che racconta il cinema attraverso un diario di bordo così semplice da rispecchiarci tutti, ma anche così coinvolgente da colpire brutalmente uno a uno ognuno di noi.
Non c’è scampo da Aftersun. Una volta che lo hai visto il tuo stomaco si contorcerà, mentre la tua mente viaggerà tra i meandri della malinconia, ricordandoti che c’è una cosa da cui non potremo mai sfuggire: la memoria.
Aftersun è la spirale in cui ognuno di noi viene risucchiato, il labirinto da cui non crediamo di poterci tirar fuori. A farci da guida in questo percorso troviamo Sophie e suo padre, un uomo dagli occhi tristi che soltanto guardare fa male. Il suo sguardo spento si accende solo di fronte alla sua innocente figlia di undici anni, una ragazzina dall’intelligenza emotiva straordinaria che, sotto sotto, viene invidiata bonariamente dal proprio padre. Lei ha una vita di fronte per fare tutto da capo, per sbagliare e ripartire da zero. Lui no. Lui si sente sotterrato dalla sua malinconia, dal suo aver sbagliato i passi a ogni movimento compiuto. I due, in vacanza in un resort della Turchia, vivranno un viaggio che – fin dal primo istante – ci viene raccontato come un ricordo, come qualcosa che c’è stato e poi è svanito. Karaoke, feste in piscina, cene di fronte a spettacoli di cabaret: la loro è una vacanza che non lascia spazio a sorprese e che, con naturalezza, racconta il loro rapporto.
Sono i silenzi a dominare Aftersun, i loro sguardi persi nel vuoto di una Turchia che non li rappresenta. Il colore così acceso di quel blu non è lo stesso che rivediamo nei loro così opachi e tristi volti. L’esordiente regista Charlotte Wells non lo dice direttamente, ma qualcosa fa presagire che la vacanza raccontata nella pellicola sarà il loro ultimo punto di contatto. Dopo quei giorni trascorsi insieme apparentemente non ce ne saranno altri. Non ci è dato capire che fine il padre abbia fatto, ma lo sguardo malinconico della Sophie adulta fa intuire il peggio. I due si sono persi, non possiamo sapere quando e come, ma sappiamo dove. L’aeroporto da cui Sophie parte a quanto pare è l’ultimo posto che li ha visti insieme, l’ultimo posto in cui Sophie ha potuto strizzare l’occhio per l’ultima volta a suo padre.
Aftersun non forza mai il loro rapporto lasciandolo libero di poter vivere anche attraverso il tipico silenzio di un padre e di una figlia che non sa come parlargli. Lei, a volte così annoiata, non fa niente per cercare di rendere la loro vacanza più divertente, mentre lui – così spento dentro – cerca di essere, almeno per l’ultima volta, il ricordo che potrà aiutare Sophie quando tutto questo sarà passato. Quando lui, oramai, sarà passato.
La memoria, come spiega Aftersun, è qualcosa che ci appartiene e che come tale non potrà mai esserci sottratta. E’ lei, negli anni successivi, a salvare Sophie, a ricordarle che cosa significasse davvero quell’ultimo viaggio. Quando si vive un momento spesso si fatica a capirne il significato o il valore, ma è proprio la memoria ad aiutarci a restituirglielo. Questo mezzo, così potente e naturale, è così presto diventato lo strumento attraverso il quale abbiamo scavato insieme alla protagonista dentro un viaggio in Turchia che, sotto sotto, in realtà nascondeva il definitivo saluto a cui nessuno l’aveva preparata.
Aftersun è un film che fa male, un film da cui ti aspetti qualcosa che alla fine non arriva mai. Pensi che a un certo punto le carte veranno scombinate da un evento, ma questo non ci viene mai mostrato. Ciò che sappiamo è inferiore a ciò che sanno i due protagonisti dell’attimo dopo il viaggio, perché il brutto, Aftersun, ce lo risparmia, facendoci male comunque. La sofferenza di Calum è evidente, la si intravede nel suo sguardo, ma anche nella delicatezza con cui cerca di rendere Sophie libera. E’ consapevole che quel fardello di sofferenza che porta dentro di sé sarà presto un giorno condiviso anche da lei. Lo capisce, forse per la prima volta, durante il loro viaggio. <<Le sue ossa non funzionano, e si sente come se stesse affondando.>> Sono queste le parole con cui Sophie descrive la fine di una piacevole giornata, quando oramai la serenità fa spazio alla quiete della stanchezza. In quel momento, così apparentemente insignificante in quel momento, Sophie e Calum sono le stesse persone.
Una volta arrivate al suo orecchio queste parole, Calum lo capisce: la sofferenza non risparmia nessuno, neanche sua figlia. Ora non lo sa, ma presto smetterà di vedere il mondo a colori e, invece di vedere il blu della Turchia, comincerà a vedere il bianco e il nero. La Sophie adulta che vediamo in alcuni frammenti e durante il finale del film presenta lo stesso sguardo del padre, esattamente come lui – silenziosamente e senza fargliene mai accorgere – aveva predetto. Guardando i vecchi filmini della vacanza, Sophie sembra star cercando di aiutarsi attraverso l’utilizzo della memoria, vedendo in quei frammenti ciò che le è stato portato via.
L’esordiente regista ha parlato della pellicola come di un film ispirato a eventi realmente accaduti, ma basta un secondo per capire che i ricordi di cui la regista racconta sono in realtà memorie che ognuno di noi possiede. Tutti abbiamo vissuto quel momento apparentemente insignificante che poi voleva dire tutto, e tutti abbiamo visto qualcuno per l’ultima volta senza sapere che fosse tale. Aftersun è per questo un film che ti fa male lì dove la ferita era oramai già aperta da tempo, ma di cui scopri l’esistenza soltanto quando questa comincia a ricucirsi. E un’ode al cinema che ricorda, riassembla e – sotto sotto – te lo conferma: finché te ne ricorderai tutto rimarrà vivo, ancora accanto a te. In qualche angolo di te.
E allora ciao, Papà.