Ivar Iversen, un giovane meccanico salito a bordo dell’Alabama a Reykjavik, sarebbe morto nell’affondamento del Titanic nel 1912 se non si fosse offerto come volontario per una delle imprese più folli per gli esploratori del suo tempo. La storia raccontata in Against the Ice, film presentato in anteprima alla Berlinale e disponibile su Netflix a partire dal 2 marzo, è una storia vera ed è tratta dal libro di uno dei suoi reali protagonisti: Ejnar Mikkelsen, esploratore danese che nel 1909 si lanciò in una disperata avventura tra i ghiacci per difendere il dominio della Danimarca sulla Groenlandia. La regia è di Peter Flinth, ma tra i produttori c’è Baltasar Kormákur, il regista e sceneggiatore islandese che nel 2015 ha diretto un film di argomento simile, Everest, che fu un grande successo per il genere d’avventura.
Anche Against the Ice è ambientato in una natura ostile, solo che stavolta non si tratta di una montagna da scalare (almeno non metaforicamente), ma di un’enorme distesa di ghiaccio da attraversare per portare a termine una missione con risvolti politici e diplomatici anche piuttosto importanti. Siamo agli inizi del Novecento, in un’epoca in cui gli strumenti di osservazione del mondo non erano sviluppati come quelli di qualche decennio dopo e, per stabilire quali fossero i confini di una terra poco conosciuta, non bastava aprire Google Maps o attingere a immagini satellitari, ma bisognava recarvisi fisicamente per stabilirlo con l’osservazione diretta. A quei tempi, la Groenlandia era una terra misteriosa e per larga parte inesplorata, ma gli americani si erano messi in testa di poterne annettere una parte perché – sostenevano – esisteva un canale che separava in due la regione. Le spedizioni finanziate dal governo danese avevano il compito di dimostrare la falsità delle pretese degli Stati Uniti.
Against the Ice è dunque un’avventura tra i ghiacci con uno scopo politico: provare che la Groenlandia era un’isola.
A essere incaricato della missione era stato l’esploratore Ludvig Mylius-Erichsen, che però in mezzo al ghiaccio ci era morto insieme alla sua squadra. Solo che il suo compito l’aveva portato a termine, anche se nessuno poteva saperlo: Mylius-Erichsen si era spinto fino ai confini di quella terra inesplorata e aveva scoperto che non esisteva nessun canale e che la Groenlandia era a tutti gli effetti un’isola. Le prove non era riuscito a portarle in patria, ma ne aveva lasciato traccia in un cumulo di pietre proprio nel cuore di quei ghiacci. È qui che fa la sua comparsa Nikolaj Coster-Waldau nei panni di Ejnar Mikkelsen (ma anche sceneggiatore e produttore del film), il capitano dell’Alabama che vuole portare a termine la missione del suo predecessore. Mikkelsen è un uomo taciturno e solitario, alla sua quarta esplorazione nell’Artico. Un capitano con la pipa in bocca sul boccaporto, coraggioso e audace, disposto a farsi largo nel gelo anche da solo pur di portare a termine la missione.
A lui però si unisce l’altro protagonista di Against the Ice: Ivar Iversen, un meccanico senza alcuna esperienza in esplorazioni.
Joe Cole (Gangs of London, ma anche John Shelby in Peaky Blinders) è un partner perfettamente all’altezza di Nikolaj Coster-Waldau e un film come questo, incentrato quasi esclusivamente sull’avventura dei due uomini, richiede interpreti credibili per poter funzionare. Nel cast ci sono anche Heida Reed e Charles Dance, che dopo Game of Thrones ritrova ancora una volta il “figlio” Jaime Lannister. Ma quasi tutta l’ora e quaranta di pellicola si focalizza su Mikkelsen e Iversen e la loro lotta per la sopravvivenza. I due, un capitano esperto e un giovane meccanico mai stato in Groenlandia, riescono a trovare gli appunti di Mylius-Erichsen e quindi la prova che la Groenlandia non è divisa da nessun canale come sostenevano invece gli americani. Il viaggio però non finisce lì, perché per i due non sarà semplice tornare alla nave come promesso. Delle due slitte, delle provviste e del branco di cani con cui erano partiti, non restano che loro due soli. Ma tornati all’Alabama, il capitano e Iversen scoprono che i compagni che avrebbero dovuto aspettarli sono andati via, lasciando solo una baracca e cibo per un anno.
La seconda parte di Against the Ice, dopo il viaggio in mezzo al ghiaccio, è incentrata sui mesi di sopravvivenza in attesa di qualcuno che torni a prendere i due superstiti.
Un’attesa bianca, glaciale, scolpita nelle nevi di un paesaggio immobile e inalterabile. Se durante l’esplorazione il focus era sullo scontro tra l’uomo e la natura (con l’immancabile lotta con l’orso, i sacrifici e le perdite subite durante il tragitto), in questa seconda parte Against the Ice diventa invece una lotta contro se stessi, contro i fantasmi e le paranoie che si impossessano della psiche di uomini rimasti soli troppo a lungo. Qui il film assume anche i toni del thriller tra i ghiacci, in cui l’aspetto psicologico diventa preminente, i disagi e gli squilibri di una mente messa a dura prova si fanno materiali, corporei, e penetrano nello schermo con le fattezze di Heida Reed. 865 sono i giorni che Mikkelsen e Iversen passano in totale in Groenlandia: tre notti di Natale e più di quanto ognuno di loro avrebbe mai immaginato alla partenza.
Against the Ice non aggiunge molto rispetto ai film dello stesso genere, in cui la lotta per la sopravvivenza è sempre il nodo focale attorno a cui ruota tutto. Ma è un lavoro ben fatto, con una scenografia che lascia penetrare il freddo oltre lo schermo. Le scene sono state girate tutte tra Islanda e Groenlandia e Nikolaj Coster-Waldau ha raccontato di essersi persino infortunato mentre girava la scena della lotta con l’orso. Il paesaggio rischia in questi casi di essere il vero protagonista, ma è il viaggio il grande mistero da esplorare: viaggio che non è solo quello ai confini della terra, contro le temperature glaciali e la sopravvivenza fisica, ma anche quello più angusto e claustrofobico all’interno delle pareti della mente.