La recensione contiene spoiler su All or Nothing: Arsenal. Evitate la lettura se non avete visto il documentario.
Il calcio è cuore, è passione, è sacrificio. È tutto o niente: non puoi sperare di essere tra i grandi e nell’Europa che conta se non dai il 100%. Questo è lo spirito che sembra spingere la squadra dei Gunners protagonista della docuserie Amazon Prime Video. La piattaforma mette a segno un’altra rete arricchendo la sezione sportiva di All or Nothing e, dopo essere entrata in spogliatoi di squadre NFL, del Manchester, del Tottenham e della Juventus, questa volta bussa alle porte dell’Emirates Stadium di Londra.
All or Nothing: Arsenal
Con questo documentario gli appassionati del pallone vengono catapultati dietro le quinte di uno dei club più importanti del mondo, il terzo in Premier League per titoli conquistati: quello dell’Arsenal. La serie è incentrata su una stagione cruciale per il club, quella del 2020/2021, che parte molto in salita: una carrellata di sconfitte iniziali non fanno ben sperare i tifosi dei Gunners impegnati a riconquistare la vetta della classifica e il posto nell’Europa che conta. La docuserie targata 72 Films ha come produttori esecutivi Clare Cameron, John Douglas e Mark Raphael e si avvale della voce del premio Oscar Daniel Kaluuya, grande tifoso dell’Arsenal, come narratore. Questo ruolo è parallelo a quello ricoperto da Tom Hardy in All or Nothing: Tottenham.
La serie inizia, come abbiamo già detto, mostrando i Gunners in rincorsa, in un momento in cui i tifosi sono sfiduciati nei confronti dell’intero pacchetto: proprietà della famiglia Kroenke e gestione della formazione di Mikel Arteta. Nel corso dei primissimi episodi, però, assistiamo a un cambio di rotta: la dirigenza costruisce una squadra giovane (pensate che il giocatore più in avanti con l’età ha 28 anni) puntando sulla forza di alcuni singoli che ricominceranno a far sognare gli appassionati e salveranno la panchina dello spagnolo. I guai, però, non sono finiti e già nel terzo episodio assistiamo a quella che sarà una situazione complicata da gestire: l’esclusione per un provvedimento disciplinare del capitano Pierre-Emerick Aubameyang dall’undici titolare del tecnico. Risolta la questione, la formazione avrà comunque un rendimento altalenante, dovuto anche ai molti infortuni, tanto da perdere posizioni in classifica e chiudere al quinto posto.
Segreti di spogliatoio
Interessante è vedere la gestione della questione Aubameyang, appunto. Il capitano, infatti, tornato tardi da un permesso chiesto ad Arteta, non si presenta in allenamento. Il mister, che tiene nota di tutti i suoi comportamenti scorretti, decide che questa è la goccia che fa traboccare il vaso: il giocatore è costretto ad allenarsi da solo, gli viene revocata la fascia da capitano ed è da inserire nel mercato in uscita. La serie ci permette di seguire gli step che portano a queste decisioni, alle riunioni interne e alla preparazione che Arteta ”subisce” prima di presentarsi in conferenza stampa. E, anche se sappiamo che ciò avviene in ogni società che giochi ad alto livello, particolare è la dinamica che porta alla cessione del giocatore al Barcellona: per un tifoso è emozionante vedere le trattative che i due club conducono, in un braccio di ferro molto serrato, per fare i propri interessi. Auba sarà venduto in extremis al Barcellona e il contratto depositato proprio sul filo del fuorigioco: a un minuto dalla chiusura del calciomercato.
Mikel Arteta come Ted Lasso
È davvero affascinante poter entrare negli spogliatoi, scoprire i tecnicismi che sono alla base della preparazione di una formazione, capire quanta pressione psicologica ci sia sui giocatori, sul mister e sulla dirigenza in generale. È suggestivo poter essere coinvolti nei discorsi pre partita, sentire Arteta che racconta esperienze personali, che disegna cuore e cervello su una lavagnetta per spiegare ai suoi che solo con l’utilizzo di entrambi si può raggiungere il successo, a prescindere dagli avversari. Per gli amanti del calcio vedere il mister che adotta tecniche anche poco convenzionali, come quella di far tenere i giocatori per mano a occhi chiusi nei minuti che precedono il calcio d’inizio della partita contro il Leicester, è soddisfacente. Per Arteta, infatti, i giocatori non sono numeri, è lo stesso allenatore ed ex giocatore, a dichiararlo nei momenti che il documentario gli riserva: per il coach è importante conoscerli, per far sì che si fidino di lui, che si crei una connessione emotiva e mentale che li spinga a confidarsi anche su eventuali problemi o pensieri privati. Guardare Arteta così coinvolto, giovane e rivoluzionario, fa nascere spontaneo il paragone con uno degli allenatori più amati prodotti da Apple +, Ted Lasso. Mikel, infatti, ripete più volte al suo gruppo di giocare per divertirsi e per stare bene. Sempre a proposito dello spagnolo, c’è un altro momento saliente da ricordare, quello in cui sfodera l’ennesima carta vincente: il coinvolgimento del fotografo della squadra. L’allenatore, prima del North London derby contro il Tottenham, chiama Stuart MacFarlane in modo che sia lui a parlare ai giocatori in qualità di tifoso, ma anche di addetto ai lavori. L’uomo, infatti, li osserva da anni, è un testimone silenzioso di tutti quei campioni che si sono avvicendati negli spogliatoi, per questo, secondo Mikel, è la persona più adatta a caricarli prima di uno scontro importante. Nonostante i momenti no, l’aria che si respira dietro le quinte della squadra sembra tutt’altro che di disfatta: il gruppo è coeso e il rispetto per il lavoro meticoloso di Arteta non viene messo in discussione da nessuno, nemmeno da Aubameyang che si diverte a prendere in giro il mister, davanti ai compagni, dopo una partita importante.
Non solo calcio
Il documentario tocca anche il tema del razzismo, nonostante non vi si soffermi, raccontando a grandi linee la storia di Bukayo Saka, la giovane promessa dell’Arsenal che a Euro 2020 ha sbagliato il rigore proprio contro gli Azzurri. Il ragazzo, insieme ad alcuni compagni, dopo l’errore è stato preso di mira e insultato sui social. Di lui parla anche la guest star di All or Nothing: Arsenal, l’ex giocatore Thierry Henry che, intervistato, descrive il giovane come un eroe per aver avuto il coraggio di accollarsi la responsabilità dell’ultima chance. In ogni caso, dopo questo breve excursus, la questione su cui la serie batte molto riguarda il cambiamento di vita che giocatori giovanissimi devono subire pur di reggere la pressione derivante dal ruolo di alto profilo che ricoprono. I ragazzi discutono intorno al tavolo da pranzo su come non possano fare più quelle che lo stesso Saka definisce ”cose normali”. Tant’è che l’attaccante racconta ai compagni Smith Rowe e Folarin Balogun di essere stato fermato fuori dal supermercato Waitrose: ”Fratello, avevo il cappuccio, la maschera. Non so cos’altro posso fare” ma poi aggiunge che conosce il prezzo da pagare per realizzare il suo sogno.
Altro argomento importante è quello che riguarda la salute mentale. A parlarne è Kieran Tierney, arrivato all’Arsenal dal Chelsea nel 2019. Il difensore rivela di essersi sentito molto solo una volta arrivato a Londra, perché lontano dagli affetti, ma di non aver mai pensato al suicidio, a differenza di alcuni amici che hanno, invece, deciso di togliersi la vita: ”Due o tre di loro si sono suicidati, hanno perso la vita. Sei con queste persone e non sai niente perché non ne hanno parlato. Sento una certa responsabilità nel cercare di aiutare il più possibile perché so come ci si sente”. Sempre sul filone degli affetti, viene raccontata la storia del giovane portiere Aaron Ramsdale. Il 24enne che prende il posto di Leno come titolare della formazione, confida di aver raggiunto il suo obiettivo grazie al sostegno della famiglia: i suoi genitori cercano di essere sempre presenti sulle tribune degli stadi in cui gioca per trasmettergli sicurezza e affetto.
Noi consigliamo All or Nothing: Arsenal
Per quanto il format sia standard e il prodotto potrebbe sembrare un altro dei tanti oggetti di merchandising della squadra, è adatto ai tifosi e non solo a loro. È pensato per coloro a cui non bastano 90 minuti, per coloro che vogliono capire quali dinamiche spingano uno spogliatoio a compattarsi e come si svolgano le trattative di mercato al cardiopalma. Per coloro che vogliono tutto. Per noi All or Nothing: Arsenal è emozionante e coinvolgente al punto giusto, nonostante alcuni la ritengano un prodotto confezionato ad hoc per tenere buono lo zoccolo duro dei tifosi in contestazione con la società: il documentario, infatti, mostra Kroenke Jr., il figlio del controverso proprietario dell’Arsenal, mentre è intento a spiegare quanto sia difficile occuparsi della direzione di una squadra così importante. Inoltre, per altri, è chiaro che i discorsi di incoraggiamento di Arteta siano stati gonfiati per coinvolgere emotivamente gli spettatori che altrimenti si sarebbero potuti stancare prima della serie. La spiegazione starebbe nel fatto che All or Nothing: Arsenal mostra una formazione che ha chiuso comunque al quinto posto in Premier, di conseguenza non ha creato della tensione negli spettatori presentando una situazione di retrocessione o panchina traballante. Ma noi abbiamo apprezzato gli incoraggiamenti del tecnico spagnolo, da appassionati abbiamo amato il momento in cui ha caricato i suoi uomini e crediamo anche che in trance agonistica molti discorsi, per quanto preparati, siano stati comunque spontanei. Chi ama il calcio, ama queste piccole cose. Il tifoso riscopre il lato più bello dello sport, quello corale, quello in cui lo spogliatoio è compatto e scende in campo combattendo fino all’ultimo secondo per rendere orgogliosi mister e tifosi.