Ryan Murphy è un genio. Ed è anche incomprensibile. Ha idee geniali, che poi rovina per il gusto dello choc gratuito, lo abbiamo visto mille volte in American Horror Story e perfino in Glee. Ma, sin dalla prima stagione di American Crime Story, ha messo subito in chiaro che in questo franchise intende fare le cose per bene. E la prima puntata de L’assassinio di Gianni Versace è sorprendente per tantissimi motivi.
Bella e azzeccata la scelta del tema musicale lirico, l’Adagio con cui si apre questa stagione, e che infonde quel senso di aulicità, di ordine e di rigore proprio dell’arte greca, da cui inevitabilmente Versace ha tratto ispirazione nelle sue creazioni. Bello anche come essa si alterni con i pezzi del periodo.
La storia si dipana fin da subito chiarissima: non ci sono fronzoli strambi, è tutto molto lineare, un mezzo miracolo, parlando di Ryan Murphy. La vittima, troppo buona per questo mondo e “strappata dal male a venire” (spero cogliate il riferimento a Spoon River) viene interpretata da Èdgar Ramirez, che rende un omaggio calzante e vivido allo stilista ucciso, cogliendone il lato dolce, sognatore e legato alla famiglia .
Ama ed è riamato, è gentile con la servitù, perfino col maestro di tennis del fidanzato, molto più giovane e affascinante (un Ricky Martin completamente fuori dal personaggio che di solito interpreta, quindi, per me, è già un grande chapeau). In agguato, in un alternarsi di scene che contrappongono la serenità di una giornata qualunque alla discesa all’inferno di uno psicopatico con la faccia d’angelo, c’è un assassino feroce, insensato, privo di scrupoli, con i suoi problemi irrisolti, le sue turbe, la sua ansia di eccellere.
D’altronde erano gli anni ’90: tutti cercavano di apparire, di trovarsi un posto al sole.
Andrew Cunanan era un serial killer pluriomicida, eppure, in American Crime Story riesce a essere affascinante e tormentato. Per qualche minuto, tifi per lui, perché un uomo così distrutto deve avere qualche lato positivo. Qualcosa deve averlo reso così e, infatti, si scopre un passato oscuro, fatto di abbandoni, sacrifici e rinunce. E un’infinita sequela di bugie.
Il personaggio interpretato da Darren Criss nasconde benissimo tutti i propri lati negativi: è affascinante, è bello, è affabile, ha carisma, tanto che riesce ad accalappiare anche il famoso stilista al top del successo. E ha quella faccia da bravo ragazzo che ti spinge a dargli fiducia, a credere a tutta la sua lunga lista di bugie. Una grandissima interpretazione, come d’altronde avevo già sottolineato in questo articolo
Ma la star che, bene o male, tutti attendevano, e che, diciamolo, è il vero nome di punta di American Crime Story, è un’altra.
Donatella scende da un aereo privato con una parrucca improbabile. Non è cattiva, perché dimostra qualche controllatissima emozione alla notizia del fratello morto, ma è più un atto dovuto, piuttosto che una vera manifestazione di sentimenti. Perché Donatella è glaciale. Liquida senza tanti complimenti il buon Ricky Martin, che interpreta Antonio D’Amico, compagno di Gianni per 15 anni.
Dopo la morte del fidanzato non sarà più autorizzato a parlare di lui, senza prima avere il beneplacito della famiglia Versace. Scusate se è poco. Il cadavere del fratello è ancora caldo (scusate per l’immagine troppo vivida) e lei raduna il consiglio di amministrazione per decidere le sorti dell’azienda. Azioni sì o azioni no? Non importa molto, perché la parruccona detta legge e dice quello che si deve fare.
Freddissma e distaccata, tiene le redini della “famiglia”, allontanando a male parole la vera famiglia di Gianni: il compagno di una vita che viene accusato di colpe che non ha. Lo doveva proteggere? E come avrebbe mai potuto proteggerlo da un evento imprevedibile come il gesto omicida di Andrew Cunanan? Non sorprende che questa trasposizione televisiva non sia piaciuta alla famiglia Versace: Donatella, per ora, non ne esce benissimo.
In ogni caso l’interpretazione di Penelope Cruz, volutamente sopra le righe e ingessata, risulta convincentissima. È evidente la cura dettagliatissima nel riprendere mimica facciale e tono di voce della stilista. Ma veniamo a Ricky Martin.
Sono una ragazza degli anni ’90, quindi “un dos tres un pasito bailante Maria” l’ho cantato credendoci, anche perché Ricky Martin, all’epoca non solo cantava bene, ma era anche un gnocco atomico (lo è ancora adesso). Anni dopo, scoprimmo che non era alla nostra portata. Mondo brutto. Ricky se la cava, ma non riesce a lasciarsi alle spalle il passato da Menudo: l’ho adorato mentre si ripuliva dal sangue del suo grande amore, ma l’ho trovato anche un po’ troppo costruito. Recita e si vede. Tuttavia, spero che la faida con Donatella mi dia qualche soddisfazione in più.
Nel complesso il primo episodio è assolutamente promosso. Ryan Murphy riprende tutti gli elementi che hanno reso grande la prima stagione di American Crime Story, dalle tematiche a sfondo sociale (la questione degli omosessuali) alla negligenza dei poliziotti (i volantini con il volto di Cunanan non distribuiti e che forse potevano aiutare a prevenire l’omicidio Versace). Menzione speciale per costumi e scenografie: Casa Casuarina e l’opulenza di Versace sono rese alla perfezione. Non resta che vedere come procederà nelle prossime puntate.