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American Crime Story 2×08 – Che le colpe dei padri ricadano sui figli

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Questo episodio di American Crime Story è intitolato in originale Creator/Destroyer ed è stato inspiegabilmente tradotto in italiano Ricordi d’infanzia. Il titolo originale è molto più esplicativo di tutto ciò che è contenuto in questa ottava puntata, perché sono i genitori di Gianni e Andrew che, rispettivamente, li creano e li distruggono.

Un plauso al regista, Matt Bomer, che, tra immagini velate, chiaroscuri e montaggi ad hoc riesce a rendere questo episodio di American Crime Story particolarmente suggestivo.

Su due diversi piani spazio-temporali, ormai tema ricorrente, ripercorriamo le orme d’infanzia dei due protagonisti: Gianni in Calabria nel 1957 e Andrew a San Diego nel 1980.

La Calabria che si intravede in questi primi minuti è patinata e poco aderente alla vera realtà sanguigna e terrena della vera Calabria di quell’epoca (è evidente che nessuno, tra gli sceneggiatori di American Crime Story, sia mai stato in Calabria, né negli anni ’50, né ora). Scelta strana anche di non fare parlare gli attori in italiano, con ovvi sottotitoli in inglese: avrebbe reso l’atmosfera un po’ più realistica.

Ma, fondamentalmente, poco importa, perché il vero senso di questo flashback così glamour è la presenza della mamma di Gianni che gli insegna a diventare l’uomo che sarà.

“Il successo arriva solo con il duro lavoro, molte ore, molte settimane e molti anni e non è mai facile, ma va bene così: è questo che lo rende speciale”, insegna giustamente la signora Versace. Ci vuole tanto studio, tenacia e dedizione, dato l’ambiente chiuso, pieno di pregiudizi in cui il piccolo Gianni viveva.

Versione opposta per l’infanzia di Cunanan, dominata dalla esplosiva (e, fin da subito, inquietante) presenza del padre Modesto. Andrew è solo un bambino innocente, che tiene stretto il proprio peluche. Fin a subito si capisce che c’è qualcosa di morboso nel rapporto tra il padre e il piccolo principe Andrew.

“Voglio che tu ti ricordi che sei speciale. È quando ti senti speciale, che arriva il successo” e, mentre i tre fratelli di Andrew dormono l’uno sull’altro in un’unica camera e la madre prega disperatamente da sola, Andrew ha una camera da letto grande come una piazza d’armi.

E il padre gli tiene compagnia, ogni sera, leggendogli libri sulle buone maniere e sui comportamenti giusti da tenere in società.

Modesto, in giardino, issa la bandiera a stelle e strisce, perché insegue il sogno americano e anche il bambino innocente inizia a credere in quel sogno: che tutto sia possibile, che basti parlare bene, inserirsi e il successo diventa a portata di mano.

In un inquietante parallelismo, padre e figlio si preparano allo specchio, indossando completi eleganti molto simili, quasi Andrew aspiri a diventare un mini-Modesto.

Modesto divora i candidati concorrenti con la propria parlantina, si vende, è convincente, mentre Andrew, che ancora tanta strada ha da fare, decide di voler essere speciale, perché è proprio quello che desidera suo padre.

Modesto è un personaggio ingombrante, violento, aggressivo, che maltratta e terrorizza la moglie (ora è tutto molto più chiaro, rispetto alla puntata precedente), hanno tutti paura di lui, tranne Andrew, che lo guarda con ammirazione, che vuole renderlo felice, compiacerlo. E viene ricambiato da un amore incondizionato dal padre, un amore che va oltre ai limiti del giusto, perché troppo amore può uccidere, può rovinare, può distruggere una vita intera. Anzi, ben più di una sola vita.

L’amore di Modesto non è solo eccessivo e dannoso, è proprio malato e il bambino che teneva in mano il peluche non c’è più, su quell’abat-jour spenta per nascondere un atto indicibile, la luce si riaccende su Andrew adulto.

Cosa fa Modesto nella vita?

Racconta favole e non basta sapersi vendere bene, perché è poco più di un imbonitore,  a cui spesso viene riagganciata la cornetta in faccia e finisce a truffare anziane. Facilmente scoperto, la bolla che si è costruito intorno scoppia fragorosamente e Pete, perché così si fa chiamare, perde tutto, tutti.

Con l’FBI alle spalle, fugge, sparendo nel nulla, non prima di aver spezzato nuovamente il cuore e l’innocenza del figlio. Scappa infatti rubando ad Andrew quella macchina che gli aveva regalato quando non aveva neppure l’età per guidare.

Padre e figlio si ritrovano a Manila, dove Andrew è andato a cercarlo, speranzoso in un piano B.

Invece Modesto vive in una baracca, è un uomo finito e decide di terminare anche tutte le speranze di Andrew, con un discorso che da solo dovrebbe valere a Jon Jon Briones l’Emmy come miglior attore non protagonista: “Debole, come tua madre”. Riesce a farlo passare dalla parte del torto, quasi la colpa fosse sua, accusandolo di non essere abbastanza uomo, di non aver coraggio o carattere.

E vince, distruggendolo: “Tu non sai cosa sia un uomo” gli sputa in faccia, con disprezzo.

Chi amava veramente Modesto Cunanan? La moglie? Ovviamente no. Il proprio lavoro? No. I figli? No, neppure il principino Andrew che ha morbosamente viziato.

Modesto Cunanan ha amato davvero solo se stesso.

Vi ricorda qualcuno?

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