Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 1×04 e la 1×05 di American Gods
Sapevamo fin dall’inizio che ci saremmo avventurati in una storia folle ed affascinante, ma non fino a questo punto. I primi cinque episodi di American Gods ci hanno regalato un’esperienza sensoriale senza precedenti, capace di dare una forma visiva e auditiva ai deliri geniali di Neil Gaiman. Alla centralità della forma, tuttavia, non si contrappone affatto la sterilità della sostanza, magicamente articolata e semplice allo stesso tempo. Le ultime due puntate, per esempio, ci hanno dato un’occasione per scoprire meglio una storia che ci ha dato finalmente i primi riferimenti concreti, mostrandoci più volti della stessa medaglia.
Esiste infatti un filo conduttore che unisce la 1×04 e la 1×05, in apparenza lontanissime e separate brutalmente dal un cliffhanger dal sapore malinconico del déjà vu: il concetto di manipolazione. Da qualunque punto di vista si osservino gli ultimi passaggi del primo crocevia di stagione, il divino si appiattisce fino a diventare umano e la quotidianità si eleva verso l’ignoto, grazie ad una soluzione di continuità che confonde abilmente l’amore e l’adorazione, la vita e la morte, le celebrità e le divinità, chi crede in qualcosa e chi rischia di perdere persino se stesso. Tutti gli elementi in gioco manipolano qualcun altro, rischiando di rendere vana qualunque distinzione.
Spieghiamoci meglio e partiamo da Laura e Shadow, protagonisti di una storia d’amore dai mille volti. Sinceri, e per questo ancora più difficili da comprendere. Il lungo flashback che ha coperto interamente la 1×04 di American Gods ci ha proposto un quadro completo (assente nel romanzo di Gaiman). Come in ogni rapporto sentimentale, l’indispensabilità reciproca si è rivelata essere un’arma a doppio taglio. Lei, totalmente allo sbando, ha trovato in lui una luce fioca accesa fino in fondo dal paradosso ambiguo delle tenebre. Solo con la morte ha capito chi fosse e cosa significasse davvero lui per lei. Un riferimento, manipolato per una vita per mera frustrazione. Un passatempo, divenuto amore per necessità e culminato con il peggiore dei contrappassi, esposto ampiamente a più riprese ancor prima di essere mostrato.
Laura, incatenata dalla vita, ha trovato nella morte la libertà. E nella morte il vero amore, sfiorato per troppo tempo. Il destino, tuttavia, sa essere beffardo almeno quanto il volere di un manipolo di dei in guerra tra loro, e le ha offerto un’occasione unica e irripetibile: alleggerire il suo cuore, scampato fortunosamente (in ogni senso possibile) al giudizio divino, rimandato a data da destinarsi. La condannata alla vita è l’unica speranza di Shadow, manipolato dagli eventi (capaci di farlo arrestare due volte per dei reati voluti da altri) come sarebbe ognuno di noi in una partita dama giocata a occhi bendati, e Shadow è a sua volta l’ultima fiche in mano della sua amata, abbandonata da un mondo nel quale non aveva mai creduto.
Da Laura e Shadow ai vecchi e i nuovi dei il passo è breve, almeno quanto quello che separa l’amore dall’odio. Lo dimostra il primo incrocio diretto tra Mr. Wednesday (ormai avete capito chi è, vero?) e Mr. World, accompagnato sontuosamente da un’indimenticabile Marilyn, mai tanto simile a David Bowie. I Media (se volete dare un nome all’immensa Gillian Anderson) ci dominano in modo subdolo, senza aver la necessità di un rituale chiaro, sottinteso in ognuna delle nostre azioni. Il divino, un tempo frutto di scelte dettate dalla paura del buio, si è vestito con una nuova luce, intrigante al punto da dominare silenziosamente la nostra quotidianità. Alle divinità si sono sostituite le celebrità, più vicine a noi e allo stesso tempo abbastanza vicine ai vecchi salvatori da aver necessità di assorbirle in un unico, nuovo Olimpo.
La manipolazione di massa riguarda chiunque, incluso il nostalgico Wednesday, accecato in parte da un’onnipotenza associabile sempre più alla mera illusione, mestamente umana. Siamo tutti dalla stessa parte, e l’odio ha lo stesso volto dell‘amore. Quello che proviamo nei confronti dei nuovi dei, più vicini a noi e per questo ancora più pericolosi. Come avrebbe potuto dire il celebre cantautore inglese menzionato poco fa, le stelle non ci aspettano più in cielo. Vivono intorno a noi, ci manipolano e ci costringono inconsapevolmente ad amarli a prescindere dalle conseguenze. Come farebbe una donna pericolosa, troppo bella per essere abbandonata. Quasi fosse un déjà vu continuo, nel quale viviamo in bilico tra l’amore e l’adorazione. Annullando idealmente la morte, e di conseguenza la vita. Superando ogni confine immaginabile, un po’ come American Gods. Il meglio deve ancora venire, ma questa serie tv si è già trasformata in un culto imprescindibile.
Antonio Casu
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