Attenzione: questo articolo contiene spoiler su American Horror Story 9×05!
Guardare 1984 è un po’ come fare un giro sulle montagne russe: momenti epici e ricchi di suspense (come quelli presenti in True Killer, di cui trovate la recensione qui) si alternano senza criterio a episodi malcongegnati e dispersivi in cui la trama si sviluppa in fretta e furia e il susseguirsi degli eventi non sembra condurre in nessuna direzione. Purtroppo American Horror Story 9×05 appartiene proprio a questa seconda categoria.
Il principale difetto dell’intera serie è sempre stato l’incapacità di sviluppare le vicende in modo conciso e lineare, accostando al filone principale una serie di “sub-storie” gestite in modo confuso e superficiale. Se fino a questo momento, seppur in modo un po’ tirato, AHS: 1984 era riuscita a mantenere una certa continuità narrativa, Red Dawn risulta invece essere l’errore più grosso commesso in questa nona stagione.
In American Horror Story 9×05 capita di tutto, ma al contempo non succede nulla.
Con ciò intendo dire che, nonostante la puntata sia in realtà ricca di avvenimenti folli e uccisioni sanguinolente, una volta giunti al termine ci si trova di fronte a un totale, desolante buco nero. Red Dawn cerca di chiudere in modo grezzo e fin troppo rapido questa prima metà della stagione, per dare spazio a quello che ci si augura sia un seguito maggiormente curato.
Innanzitutto, un flashback ci riporta al 1980, raccontandoci lo straziante momento in cui Donna Chambers scopre le manie omicide del padre, trasformandosi così in una sorta di paladina dei serial killer, intenzionata a salvarli dal male che si è insediato in loro. Torniamo dunque al presente, dove un neo-resuscitato Night Stalker fa aprire gli occhi a Donna sul suo innato lato oscuro, distruggendo tutte le certezze della psicologa sulle origini della malvagità umana.
La parte centrale dell’episodio suona ridondante, addirittura noiosa, e si potrebbe riassumere come una sequenza di inseguimenti da un capanno all’altro nel cuore della notte, accompagnato dalla solita dose di violenza inaudita. Insomma, nulla di cui stupirsi. Margaret, che ha ormai riscoperto il gusto per il sangue, convince Chet a seguirla sulla barca per cercare aiuto dall’altra parte del lago, così da isolarlo e ucciderlo. Donna Chambers torna da Xavier e Montana, confessando la sua parte di colpa per il ritorno di Mr. Jingles e scatenando così l’ira di Xavier, colto da un’improvvisa furia omicida.
Brooke, intanto, si imbatte in quello che scoprirà essere il fantasma di Ray e, mentre i due si nascondono insieme dai pericoli del campeggio, decidono di concedersi qualche momento di intimità. A questo punto della storia la loro breve fuga dalla realtà non commuove ed è anche poco giustificata rispetto alla caratterizzazione dei personaggi. Un tentativo un po’ ridicolo e tardivo per umanizzarli, almeno fino a quando Brooke non scopre la testa del cadavere di Ray nel frigorifero, dando il via all’ennesima fuga.
Anche le vere intenzioni di Montana infine emergono, e alle prime luci dell’alba cerca di compiere la sua vendetta nei confronti di Brooke, la quale tuttavia riesce a prevalere e ad accoltellare l’altra, sotto gli occhi terrorizzati di una comitiva di bambini appena giunta con lo scuolabus. All’arrivo della polizia, Brooke viene accusata del nuovo massacro da Margaret, che per la seconda volta riesce ad attribuire ad altri i propri crimini.
Direzione: Los Angeles 166
Gli ex capigruppo, sotto forma di fantasmi, ormai vagano intrappolati a Camp Redwood, una sorta di eterno purgatorio per coloro che vi perdono la vita. L’episodio si chiude spostando la visuale su Ramirez e Mr. Jingles, letteralmente rinati, in viaggio su una volante della polizia rubata, liberi per la prima volta di fare ciò che davvero vogliono. Una scena ambientata in piena luce del giorno, che vuole contagiare lo spettatore con l’allegria e la macabra gioia di cui sono permeati i due serial killer.
Un cartello stradale ci svela il luogo in cui è diretta la strana coppia: il resto della stagione si svolgerà dunque a Los Angeles, modificando le carte in tavola. C’è da aspettarsi sicuramente un ritorno della cara Margaret Boothe, mentre ci si chiede quale ruolo possano ormai avere i ragazzi, relegati al campeggio per sempre. Di sicuro un cambio d’aria non può che far bene a questa stagione, che si è ormai impantanata nel terreno fangoso di Camp Redwood.
American Horror Story 9×05, insomma, non ci è piaciuta. L’impressione che dà per tutto il tempo è quella di dover troncare frettolosamente la storia raccontata fino a questo punto, così da passare agli episodi rimanenti di 1984. Non c’è stato il tempo di comprendere o affezionarsi ai personaggi, né sono state poste delle basi solide che dessero un senso reale alle azioni e alle reazioni di ciascuno di loro.
Se nel primo episodio (che trovate recensito in questo articolo) si sperava in un climax ascendente tipico dei film slasher, che alimentasse paura e sorpresa nello spettatore, fino ad ora la stagione potrebbe essere rappresentata invece con un elettrocardiogramma frastagliato. Speriamo solo che nelle prossime puntate la linea sul monitor non si appiattisca definitivamente.