Everyday, we choose fear over freedom. Fear has value. Fear will release them. – Kai Anderson (Evan Peters). American Horror Story: Cult.
È così che Kai Anderson (Evan Peters), uno dei protagonisti principali della nuova e ultima stagione di American Horror Story, mette in luce una prima sfumatura della sua personalità.
American Horror Story: Cult parte dalle elezioni del presidente Trump in America, mostrando una realtà alternativa e preoccupante al tempo stesso. Le conseguenze dovute alla elezione del nuovo presidente sono decisamente forzate, rendendo la visione di ogni episodio disturbante, a tratti pesante.
La nuova creatura di Ryan Murphy evidenzia un effettivo cambiamento nei personaggi e nella trama stessa. Si passa da improvvise introspezioni sui protagonisti sino a imprevedibili colpi di scena che introducono nuove personalità. Così il flusso degli avvenimenti viene interrotto, rendendo la visione del programma confusionaria.
American Horror Story: Cult non è stata molto apprezzata dagli spettatori, che si aspettavano un approfondimento sul tema horror dello show.
Evan Peters è qui affiancato dalla straordinaria Sarah Paulson, nuovamente al lavoro per l’ennesimo ruolo da protagonista. Stavolta interpreta Ally Mayfar–Richards, una giovane donna gay che deve far fronte alle sue più profonde paure per salvaguardare la propria famiglia.
Questa stagione vuole presentarsi come la denuncia verso il nuovo regime dell’America, il cui obiettivo sarebbe quello di cambiare le vite di ogni uomo e donna della Nazione a stelle e strisce (se in meglio o in peggio, rimane una mera interpretazione dello spettatore).
Nello show nessuno viene salvato. La giustizia e la libertà rimangono un’illusione, lasciando spazio alle paure più banali e profonde che disturbano la quotidianità di ognuno di noi.
Ryan Murphy dimostra quanto l’uomo sia malleabile e quanto il suo libero arbitrio riesca a essere manipolato. La politica assume le sembianze di una dittatura il cui unico scopo è la gestione del potere.
Durante l’evoluzione della settima stagione, i personaggi attraversano una trasformazione così veloce da apparire irreale.
Un esempio è rappresentato dal personaggio di Sarah Paulson. Nonostante lo straordinario talento recitativo, l’attrice non riesce a dare quel “quid” ad Ally, donna all’improvviso forte e indomabile, chissà grazie a quale metamorfosi mancata sulle scene.
Uno dopo l’altro i personaggi sono eliminati, seguendo il malefico e disturbato piano di Kai (Evan Peters) che si rivela fallimentare. Anch’egli subisce un’evoluzione, dovuta forse al rapporto di fiducia instaurato con le donne di cui decide di circondarsi, nonostante la misoginia e la violenza psicologica (e fisica) di cui la sua setta si fa portavoce.
Ed è proprio Ally, l’ingenua e indifesa donna dalle mille fobie del pilot, che nel finale di stagione riesce a sollevarsi come una guerriera.
Da sopravvissuta a una setta di psicopatici pronti a uno sterminio di massa, a protagonista furba, scaltra, a tratti manipolatrice. Pur di salvare ciò che resta della sua famiglia distrutta, diventa l’eroina che tutti hanno atteso.
È tutto un susseguirsi di colpi di scena, ma così viene a mancare il collante che dovrebbe tenere insieme il corso degli eventi, cominciati con la vittoria di Trump alle elezioni. Il tema politico è ripreso alla fine, quando Ally riesce a superare le sue paure e a incastrare Kai, prevedendo ogni sua mossa.
L’impavida protagonista elabora un piano affinché Kai sia eliminato in diretta nazionale, guadagnando il titolo di senatrice e prendendo il posto di leader. Riesce così a smontare quel che un tempo era il piano oscuro dell’antagonista di questa stagione.
La paura diventa uno strumento di controllo, viene sfruttata come mezzo per la liberazione dell’uomo, fomentando illogiche fobie e mettendo i cittadini gli uni contro gli altri. La settima stagione di American Horror Story mostra tutto ciò che può esserci di sbagliato in una società.
Descrive come il terrore verso il diverso riesca ad accecare persino il più ragionevole degli uomini. Racconta un mondo in cui il termine “femminismo” è mal interpretato, e in cui la difesa della propria terra e delle proprie tradizioni viene sfruttata per giustificare un odio represso verso il nuovo, verso la libertà di essere sé stessi e verso la semplice emancipazione da una società ancora legata ai cardini del medioevo.
American Horror Story: Cult non ha avuto il successo che i suoi creatori si aspettavano, ma è riuscita a mostrarci (forse non nel modo migliore) di cosa gli uomini siano capaci pur di arrivare al potere, facendo leva sull’ignoranza e sull’ingenuità delle persone, che vedono nei loro leader dei Messia.
È bene ricordare che in ogni società può esistere un Kai Anderson, ed è nostro dovere evitare che personaggi nati dalla fantasia possano divenire realtà, rendendo la vita più complicata di quel che già è, facendo passi indietro verso il passato, ignorando le bellezze che il futuro può riservarci.