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American Horror Story ci ha regalato due episodi memorabili

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Salve, appassionati dell’horror! Con il solito ritardo da telefilm addicted distratta, sono tornata con la recensione di altri due episodi di AHS. E vi assicuro che stavolta la carne sul fuoco è davvero tanta… In tutti i sensi.

Episodio 6×5: D’arte, horror e di Evan Peters

Signori, chiudete l’Internet! Nella quinta puntata della sesta stagione di American Horror Story fa il suo trionfale ritorno Evan Peters, il nostro idolo!

Scherzi a parte, è vero che questo attore straordinario compare già nei primi minuti dell’episodio, presentandoci un personaggio che ha tutta l’aria di essere una bomba. Ma andiamo con ordine.

A quanto pare per comprendere il significato dell’esperienza vissuta dai Miller è necessario conoscere la storia della casa di Roanoke, luogo attorno al quale gli eventi sembrano ruotare; ecco perché ci troviamo davanti all’ennesimo flashback che mostra uno dei precedenti proprietari dell’edificio, per l’esattezza colui che lo fece costruire: si tratta di Edward Philippe Mott, eccentrico giovanotto del diciottesimo secolo (interpretato appunto da Evan Peters) diviso tra una sociopatia dominante nel suo carattere e un profondo amore per l’arte.

Amore tuttavia anche malsano: la prima azione che gli vediamo compiere, infatti, è l’acquisto di un intero lotto di quadri a un’asta: essendo molto ricco può permettersi una spesa del genere, e con parole sbrigative congeda gli altri possibili acquirenti asserendo che comunque nessuno di loro potrebbe offrire altrettanto denaro. Ebbene, l’arte non è né prepotente né possessiva, e non si declina nell’accumulare in maniera smodata giocattoli da appendere nella nuova casa. Quella si chiama decorazione d’interni, l’arte è una cosa diversa.

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Da questo particolare iniziamo perciò già a capire che Edward ha un carattere difficile e ci darà da pensare.

In ogni caso, eccolo arrivare a Roanoke e prendere possesso dell’edificio che si è fatto edificare proprio per starsene lontano dalle altre persone; per inciso, troviamo nella presenza di numerosi schiavi neri un nuovo collegamento con Coven, stagione di American Horror Story che giocava molto sulla discriminazione razziale.

Però adesso, ragazzi, assistiamo a una scena superba: il bacio di Edward a uno dei suoi servi! E qui non ce ne importa più niente della storia, della casa e dei fantasmi, di quei due idioti dei Miller: vogliamo solo saperne di più sul rapporto tra padrone e schiavo.

Perché già l’immagine del bacio è un bel vedere (Peters è sempre stato un pezzo di figliolo, e l’altro ragazzo è un bocconcino mica male), ma se contiamo che tra di loro esiste una relazione di sottomissione e nello stesso tempo di complicità… Dai, è una figata.

E poi il servo è un pittore, dato che lo vediamo dipingere un ritratto di Edward. Poco sopra ho scritto che il comportamento di quest’ultimo nei confronti delle opere comprate non è amore; infatti il vero sentimento che egli prova per l’arte compare nel momento in cui, mentre fa sesso con il suo amico, si sente spiato dagli sguardi dei quadri appesi alle pareti: allora afferma che dovrebbe sbarazzarsi di tutti quegli oggetti (oggetti acquistati senza sacrificio, solo perché poteva permetterseli e voleva abbellire casa) e tenersi soltanto l’innamorato. E aggiunge una frase che andrebbe incorniciata, ricordata, stampata ovunque: “L’arte non giudica“.

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Ora però gli eventi ci ricordano che stiamo guardando una serie horror, e gli idilli amorosi si interrompono per lasciare spazio all’ovvio risvolto macabro della vicenda: durante la seconda notte  di permanenza nella casa Edward trova tutti i quadri deturpati e se la prende con i servi, ritenendoli responsabili dell’accaduto; decide di punirli, chiudendoli tutti in una cantina sotterranea (Delphine docet). Ciò scatena l’ira dell’amante Guinness, e quello che scopriremo essere l’ultimo incontro tra i due si conclude con un triste litigio.

Poco dopo Edward viene ucciso da Tomasyn e dal suo codazzo di spettri e bruciato sul rogo, mentre Guinness, che era rimasto solo in casa con il padrone, sarà accusato di averlo assassinato. Oh, f**ck you, American Horror Story!

Comunque, si torna ahimè al presente e a quel cretino di Matt, che sebbene sappia ormai dell’esistenza dei fantasmi e della maledizione vincolata a Roanoke, si ostina a chiamare la polizia perché ha paura della Macellaia: oddio, forse in una situazione così disperata la ragione non conta e prevale solo il desiderio di chiedere aiuto a chiunque, però… I Miller mi stanno antipatici, suvvia.

Dato che in questa serie i poliziotti sono buoni solo a stare in mezzo ai piedi, ovviamente non corrono in soccorso dei poveretti, che devono arrangiarsi. Tomasyn minaccia di farli a fettine e loro cercano di scappare senza essere visti dagli spettri radunati davanti alla casa, ma la casa stessa sembra prendere vita per impedire ai due eroi e alla piccola Flora di fuggire; raggiunta la cantina, il fantasma di Edward si palesa e offre di aiutarli a uscire (conducendoli attraverso uno dei tunnel che soltanto lui conosce, avendoli fatti costruire di persona).

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Durante la tragitto scopriamo il motivo che ha ispirato in un tizio così egoista la voglia di salvare Matt e Shelby: egli stesso ammette che, se la Macellaia riuscisse a mietere altre vittime, esse diverrebbero a loro volta abitanti della casa e lui non potrebbe sopportarlo, dato che la solitudine da sempre agognata è l’unico conforto che gli resta nella sua perpetua esistenza/non esistenza.

In effetti Edward non sta salvando i Miller, li sta semplicemente accompagnando fuori, dove potrebbero ancora morire; a tale proposito lo sentiamo pronunciare un’altra frase fondamentale: “I vivi si aggrappano alla vita più di ogni altra cosa. Ma il trofeo disprezzato è quello di morire in pace“.

Questa specie di sentenza ha un duplice significato: se considerata in relazione a Matt e Shelby potrebbe voler dire che l’importante non è sopravvivere, bensì non essere uccisi dalla Macellaia, perché morire nei boschi per fame o freddo porterebbe comunque un decesso naturale, mentre essere ammazzati da lei li condannerebbe a trascorrere l’eternità sotto forma di fantasmi imprigionati nella casa.

Oppure, se crediamo che Edward si riferisca se stesso, le sue parole rappresenterebbero la volontà di restare solo, trascorrendo appunto il tempo della morte in pace.

Shelby, Matt e Flora si perdono nella foresta di notte, finché non scorgono una casetta illuminata; siccome Hansel e Gretel non ci hanno insegnato un tubo, decidono di provare a entrare: ed ecco che si ritrovano niente meno che nella dimora dei Polk, dove incontrano anche un redivivo Elias (lo sapevo!), raccattato dai bifolchi e in qualche modo salvato da morte certa dalla Madre, la vecchia Polk.

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Si scopre perciò che la famiglia gode di un accordo con la Macellaia: lei permette ai bifolchi di restare sulla propria terra e in cambio loro la aiutano a ricevere un tributo di sangue fresco ogni anno… Benissimo, ora però mi viene da domandarmi perché diavolo i Polk abbiano cercato di impedire a Shelby e Matt di acquistare la casa all’inizio della stagione: era anche nel loro interesse fare in modo che degli estranei andassero a vivere a Roanoke, così Tomasyn li avrebbe uccisi prendendosi la sua parte di sangue e il patto sarebbe stato rispettato. Vabbè.

Insomma, i Polk riportano i Miller dalla Macellaia, e questa gincana sarebbe piuttosto inutile se non fosse per la magistrale interpretazione della vecchia: ella incarna la figura della Madre guerriera, la donna ormai priva di qualsivoglia dolcezza o femminilità che diventa profonda e silenziosa quando entra in gioco l’amore per i figli. È sempre nei dettagli che American Horror Story fa il salto di qualità.

Nel finale della puntata accadono due cose che capovolgono la situazione: il figlio della Macellaia si ribella e getta sua madre nel fuoco, e si tratta di un deus ex machina abbastanza ingenuo (sebbene la figura di quest’uomo sia molto affascinante nel proprio desiderio di contrastare la malvagità del genitore); e poi, e questo invece è un colpo da maestro, Lee compare in scena dentro un’auto e allontana i famigliari dagli spettri… Sapevo che quella donna avrebbe salvato capra e cavoli in qualche modo!

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Adesso American Horror Story ci fa una sorpresa inaspettata: già, perché a giudicare dalle frasi di sollievo di Shelby e Matt (quelli “veri“, non gli attori) si direbbe che la loro avventura a Roanoke sia conclusa. Quindi nei prossimi episodi conosceremo nuovi personaggi, e una storia ancora diversa, proprio come se si trattasse di varie puntate di un reality sulle persone che hanno vissuto esperienze paranormali?

Per scoprirlo, basta voltare pagina!

… “Strofiniamoci i capezzoli

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