Episodio 6×6: un melting pot di genialità
Ragazzi, non lasciatevi ingannare dal titolo: questa puntata è un semplice e unico capolavoro!
Sono così entusiasta che non so da che parte cominciare, perché stavolta descrivervi la trama e fare qualche commento sarebbe riduttivo… Dal punto di vista psicologico il sesto episodio di American Horror Story è eccezionale!
Ma andiamo per ordine.
Il plot è abbastanza lineare: considerato il successo del reality My Roanoke Nightmare, i produttori e il conduttore decidono di girare una seconda stagione, non più uno show horror ma una specie di Grande Fratello con gli spettri; il cast è formato dai reali protagonisti dell’avventura a Roanoke (i veri Shelby, Matt e Lee) e dagli interpreti che li hanno sostituiti nella finzione, con l’aggiunta dell’attore che ha recitato nel ruolo di Edward Mott.
L’idea prevede che tutti e sette vengano rinchiusi per tre giorni nella famigerata casa dei Miller e vengano osservati dalle telecamere per l’intera durata del soggiorno.
Il punto nevralgico della questione è che il creatore della serie non crede neppure per un momento che i loschi aneddoti raccontati da Shelby e Matt circa quel luogo siano accaduti su serio: egli è anzi convinto che si sia trattata di una gigantesca menzogna, che i due sposini siano dei bugiardi (o dei creduloni) e che Lee sia l’assassina di Mason. Perciò riempie la casa di trappole e trucchi cinematografici, con l’intento di spaventare i concorrenti al punto di indurre Lee a confessare la sua colpa, per esasperazione più che per rimorso.
Dunque il primo elemento degno di nota della puntata è la determinazione del regista, il suo crudo desiderio di giocare con la vita e le convinzioni dei personaggi dello show per ottenere ciò che vuole, ovvero sbattere in faccia al mondo intero fatti che dovrebbero restare privati.
Il secondo sta invece nell’atteggiamento di Shelby, Matt e Lee: perché onestamente, se voi aveste vissuto il terrore di Roanoke, se aveste visto la Macellaia e il resto… Accettereste di tornare in un posto del genere per girare un maledetto reality? Direi proprio di no.
E allora per quale motivo i Miller si prestano a una simile buffonata, dopo aver pianto davanti alle telecamere, aver ribadito la loro felicità per essere scampati a un pericolo fatale ed essere arrivati a tanto così da una morte raccapricciante? Le risposte possono essere solo due: o la storia che hanno raccontato era falsa sin dall’inizio e a Roanoke non c’è niente di sovrannaturale, oppure il mondo della televisione li ha condotti a un livello di ipocrisia tale che ormai sarebbero disposti a tutto pur di tornare sulla scena.
Passi la motivazione addotta da Lee, la quale dice di voler partecipare allo show per provare all’opinione pubblica la sua innocenza: una scelta forse discutibile, ma almeno plausibile.
Al contrario, le ragioni che riportano Matt e Shelby nella casa sono frivole, inconsistenti, legate a uno stupido litigio amoroso che potrebbero risolvere senza andare in tv.
Quando ho saputo che anche loro sarebbero stati coinvolti nel programma, ho pensato a un errore degli sceneggiatori di American Horror Story, a una specie di buco di trama; però poi mi sono accorta che l’assurdità della decisione dei Miller era voluta, e anzi messa in mostra per criticare il comportamento di molte persone “comuni” che alla prima occasione si ubriacano di celebrità e vendono l’anima per dieci minuti in più davanti alle telecamere.
Insomma, il vero elemento horror di questo episodio non sta tanto nel fatto che sul set comincino ben presto a succedere cose inquietanti, bensì nella spirale di freddezza, indifferenza e brutalità del mondo della televisione: un mondo dove le debolezze umane vengono sfruttate per ottenere buoni ascolti, dove l’entità divina del regista si permette di porre ostacoli dolorosi sulla strada dei suoi personaggi solo per cogliere le loro reazioni.
Procedendo con la puntata, ci sono due punti che meritano una particolare attenzione; il primo è senza dubbio l’interpretazione di Kathy Bates, la quale non soltanto è una Macellaia fantastica, ma sa recitare la parte della malata di mente così bene da ricordarci la sua performance in Misery Non Deve Morire: nel film impersonava un ruolo assai simile a quello di Agnes in American Horror Story, e i fan di quest’attrice straordinaria non possono che essersi emozionati davanti a un collegamento tanto evidente con la pellicola di Rob Reiner.
In secondo luogo, credo che il vero colpo di scena arrivi verso la fine, quando sullo schermo nero appare una scritta che ci spiega che tutti i protagonisti dello show (tranne uno, ma non si sa chi) sono morti nel corso dei tre giorni di permanenza nella casa.
Sappiamo già, perciò, che a Roanoke accadranno altre disgrazie; sappiamo che i personaggi che abbiamo appena conosciuto e che vediamo ancora vivi e vegeti sono destinati a perire in modo sicuramente non piacevole… Però non sappiamo ancora cosa avverrà di preciso.
Seriamente, vorrei continuare a descrivere la perfezione dell’episodio per pagine e pagine, parlando della regia realistica, della bravura di Sarah Paulson, Evan Peters e gli altri, dei mille risvolti psicologici che il rapporto tra finzione televisiva e verità può avere; vorrei scrivere un libro intero sulla sesta stagione di American Horror Story.
Ma preferisco lasciare che siate voi stessi ad apprezzare tutte le sfumature della puntata, anche quelle che non sono riuscita a dipingere in questa sede.
Una cosa è sicura: gli autori del telefilm hanno finalmente capito che per stupire non servono per forza kitsch e trovate di pessimo gusto. Hanno invece scoperto che basta un sottile gioco mentale per catturare lo spettatore in un loop senza fine.
Alla prossima emozione, horror addicted!
Un saluto agli amici di American Horror Story Italia !