In un’epoca dove sempre più trasposizioni live action di storiche opere d’animazione vengono messe in cantiere, tra film e serie tv, i casi in cui il pubblico riesce a ottenere da essi soddisfazione e appagamento sono solitamente molto rari. Eppure, c’è una piattaforma streaming che ultimamente ha dimostrato di aver trovato la giusta chiave di lettura per evitare la delusione del pubblico, ossia Netflix. Con la sua versione di Avatar – The Last Airbender, (o Avatar – La Leggenda di Aang), tratta dall’omonima serie animata di culto, sulla scia di quanto fatto con il live action di One Piece, segna un nuovo punto dalla sua, regalando un buon prodotto che, seppur non privo di difetti, ripropone con rispetto il materiale originale.
Ma in cosa ci ha convinto di Avatar? Per scoprirlo vi lasciamo la nostra recensione!
Attenzione: dopo una prima parte priva di spoiler, seguirà una sezione con alcuni spoiler che discuterà anche dei principali cambiamenti messi in atto dalla trasposizione. Siete pertanto avvisati.
“Acqua, terra, fuoco, aria. Molto tempo fa, nel mondo regnava la più completa armonia. Poi tutto cambiò, quando la nazione del fuoco decise di attaccare. Solo l’avatar, padrone di tutti e quattro gli elementi poteva fermarla. Ma quando il mondo aveva più bisogno di lui, scomparve.”
Avatar – The Last Airbender segue le avventure di Aang, l’ultimo dominatore dell’aria, e dei suoi amici mentre cercano di fermare la Nazione del Fuoco e riportare l’equilibrio nel mondo diviso tra quattro nazioni, ognuna basata su un elemento. Il protagonista, un ragazzino allegro ma anche molto saggio, è infatti l’Avatar, il prescelto che porta in sé la conoscenza e lo spirito dei suoi predecessori, in grado di dominare tutti e quattro gli elementi.
Accompagnato da Katara e Sokka, due fratelli della Tribù dell’Acqua del Sud, dopo un sonno lungo cento anni che l’ha salvato dallo sterminio del suo popolo, ma che lo ha anche tenuto lontano da un mondo in Guerra, che senza il suo aiuto è finito nello sfacelo, Aang si impegna nel suo viaggio per imparare ad usare il dominio degli elementi e interrompere così il malvagio dominio del Signore del Fuoco Ozai, scoprendo il vero significato dell’equilibrio e della responsabilità che ha nei confronti dei mondo.
Una serie dalla complessa genesi
In Italia potrà non essere nota a livello mainstream come vorremmo, ma in America la serie animata di Avatar, scritta e prodotta da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko è un cult che ha fatto l’infanzia di milioni di ragazzi cresciuti nei primi anni Duemila (e che ha prodotto anche una grande serie sequel). Gli ingredienti per ottenere ottimo riscontro e popolarità c’erano tutti: un’ambientazione suggestiva e con una mitologia tutta sua, una storia appassionante e ricca di conflitto e azione, ma anche di tanta profondità, personaggi indimenticabili e una sana dose di umorismo volta a stemprare la tensione.
Inutile dire che alla notizia che Netflix avrebbe prodotto una trasposizione in live action della stessa, tra i fan si è subito scatenato il panico: quel forte hype insidiato dalla paura di rimanere fortemente delusi. Come biasimare tale atteggiamento? La ferita del terribile film di M. Night Shyamalan, poco fedele, confuso e lontano dalle atmosfere originali, bruciava ancora. Quando si venne a sapere poi che i due creatori della serie animata avevano deciso di scostarsi dal progetto di Netflix per divergenze creative, lo sconforto non aveva fatto altro che prendere il sopravvento. Fortunatamente, grazie a materiali promozionali e trailer sempre più incoraggianti, la speranza è pian piano tornata a fiorire, ma non nascondiamo che ci siamo accinti alla visione della serie di Netflix in maniera piuttosto cauta.
Al netto di queste considerazioni iniziali, dopo la visione degli otto episodi che vanno a comporre la sua prima stagione, siamo quindi davvero contenti di poter dire che Avatar – La Leggenda di Aang è sicuramente un prodotto che promuoviamo.
Trattasi infatti di una serie che, seppur non priva di difetti, riesce nel suo intento, regalandoci una visione godibile e ben orchestrata. Impossibile non iniziare con una apprezzamento al comparto tecnico della serie: grazie a buonissime scenografie, costumi ben realizzati e grazie a effetti visivi di discreto livello per gli standard seriali (eccezion fatta per alcune scene isolate, che stonano particolarmente) riesce a catturare l’attenzione dello spettatore fin dal primo episodio, catapultandolo in un mondo ricco tanto di bellezza quanto di pericolo.
Dalla resa dei domini sui vari elementi, fino alla realizzazione delle fantastiche creature che popolano il suo mondo, la serie ci fa respirare atmosfere suggestive, aspetto che rende più facile addentrarsi nella storia e accettare le peculiarità della sua ambientazione.
La narrazione, d’altra parte risulta tutto sommato ben strutturata e l’approfondimento di tematiche dalla portata universale come l’amicizia, la responsabilità e la ricerca di redenzione conferiscono alla serie una profondità emotiva che intriga, ma che risulta anche meno leggera di quanto avremmo creduto. Avatar, infatti, nonostante non abbandoni del tutto la componente umoristica che caratterizzava la serie animata, risulta un prodotto piuttosto maturo che, seppur non in maniera troppo esplicita, non esita a mostrare le violenze della guerra e le sofferenze patite dalle sue vittime per farci mettere nei loro panni. I colori cupi della fotografia, in contrasto con i variopinti abiti della serie, ben rappresentano questo cambio, che porta la storia ad allontanarsi da alcune dinamiche sì infantili, ma capaci di essere apprezzate da un pubblico adulto come si verificava nel cartone.
Nonostante questa maggiore serietà, la serie scorre tutto sommato piuttosto bene, proponendo episodi dal carattere verticale, incorniciati a loro volta da una trama orizzontale. Essa infatti prosegue per tutta la stagione mostrandoci il classico viaggio dell’eroe, che evolve nella presa coscienza di sé e del proprio ruolo. Ma Aang non è il solo a seguire il proprio cammino: oltre ai due co-protagonisti Katara e Sokka, emergono sicuramente i personaggi di Zuko e di Iroh, esplorati nel dettaglio non solo grazie a quanto raccontato nel presente, ma anche grazie a flashback che giustificano la loro missione.
A essere penalizzati risultano forse i personaggi secondari a cui, per forza di cose, viene dedicato minor spazio.
Pur potendo contare generalmente su un buon ritmo, la serie perde infatti un po’ del proprio mordente nella sua fase centrale, dovendo condensare tante storyline che nella serie animata occupavano puntate separate, in episodi a sé stante, con cambi di ambientazione e di eventi a servizio della trama. Seppur a tratti non del tutto fedele, ci rendiamo infatti conto di come tali cambiamenti siano stati obbligatori vista la durata della stagione. Essendo composta di soli otto episodi essa, ha dovuto condensare tanto materiale in poco minutaggio, dato che, anche in vista del futuro, non poteva concedersi troppi tagli.
La serie serie scorre dunque bene, nonostante una parte centrale non del tutto esaltante, soprattutto per quando riguarda il quarto e il quinto episodio. Quest’ultimo, infatti, dedicato al mondo degli spiriti, risulta a tratti confusionario e non del tutto incisivo. Nonostante ciò, Avatar si riprende infatti sul finale, regalandoci un arco narrativo emozionante e dal carattere epico che chiude la stagione nel migliore dei modi e che ci mostra anche delle perle dal punto di vista della fotografia e della messa in scena.
Di buon livello risultano poi le performance attoriali, nonostante alcune di esse siano a tratti un po’ troppo caricate, un retaggio della serie animata che poteva sicuramente permettersi di più sotto questo punto di vista. A fianco di attori esordienti, il pubblico potrà riconoscere volti noti che fa sempre piacere rivedere: fra tutti Daniel Dae Kim, il Jin di Lost, nei panni del Signore del Fuoco Ozai, Ken Leung (Lost, The Night Shift, Industry) e Danny Pudi, l’Abed di Community. Fantastica risulta poi la scelta dell’interprete dell’amatissimo Iroh, Paul Sun-Hyung Lee, capace di risultare istantaneamente simpatico ma anche molto profondo.
Ma, dopo questa visione panoramica di Avatar, spostiamoci ora negli oscuri territori degli spoiler, per poter parlare con un po’ più di precisione quelli che sono alcuni dei suoi risvolti narrativi.
Lo abbiamo detto, il live action di Avatar non è una copia-carbone della serie animata: ci sono tagli ed espansioni nella trama, ci sono anticipazioni di eventi e personaggi oltre che parecchi cambiamenti, da alcuni più palesi, ad altri più sottili.
Tra le sorprese in positivo troviamo l’incipit della 1×01, ambientato cento anni prima dell’inizio effettivo della trama, che ci mostra con dovizia di particolari lo sterminio dei monaci del Tempio dell’Aria del Sud: una scena impattante che rende molto bene l’idea della tragedia e dell’effettiva portata del potere della Nazione del Fuoco. Molto graditi risultano inoltre il focus sul personaggio di Azula, introdotta sin dai primi episodi, e il suo rapporto con il padre. Interessante è anche l’idea di aver accorpato tante diverse storyline che nella serie animata occupavano più episodi in un’unica puntata: è il caso delle puntate ambientate nella città di Omashu, in cui conosciamo per la prima volta i personaggi di Jet, Bumi, Teo e Sai o quella ambientata nel Mondo degli Spiriti.
Cambiamenti
Variazioni rispetto al cartone e che potrebbero infastidire i puristi sono poi le interazioni che Aang ha con gli Avatar del passato: Kyoshi riesce addirittura a manifestarsi tramite il ragazzino durante l’attacco della Nazione del Fuoco alla propria Isola (mentre avrebbe dovuto farlo Roku in una diversa occasione) e si anticipa l’introduzione di Kuruk.
Abbiamo altri grossi cambiamenti poi in relazione alla caratterizzazione di alcuni personaggi: se alcuni risultano interessanti, come nel caso di Zhao, che viene maggiormente sfaccettato in quanto militare che partendo dal basso, cerca di scalare i ranghi e ottenere sempre più potere, altri fanno in parte storcere il naso. Anche se abbiamo finito per amarlo grazie al suo coraggio e al suo buon cuore, avremmo sicuramente preferito che alcuni lati più taglienti del personaggio di Sokka non venissero alterati: la misoginia che caratterizzava il personaggio del cartone e che viene completamente rimossa dal live action di Avatar era un tratto fondamentale della sua evoluzione. La sua convinzione secondo cui le donne non avrebbero dovuto combattere e il suo relativo cambiamento in positivo dovuto al suo incontro con forti figure femminili rendeva infatti la sua evoluzione ancora più sentito e marcato.
Insomma, tra fedeltà e libertà creative, il live action di Avatar: The Last Airbender offre una buona reinterpretazione del materiale originale. Pur non essendo immune da difetti, la serie si distingue per la sua produzione di qualità, gli effetti visivi impressionanti e la narrazione coinvolgente: un adattamento rispettoso e ben realizzato che soddisferà i nuovi spettatori e che potrebbe essere apprezzato anche dai fan aperti al cambiamento. Una visione consigliata a chiunque in attesa di scoprire se Netflix rinnoverà la serie per una seconda stagione!