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Avevamo bisogno di Young Royals?

Young Royals
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Durante un’afosa giornata d’estate, poco dopo aver completato la seconda dose di vaccino cercavo una distrazione dal mio braccio indolenzito, ma immunizzato. Così, mentre mi godevo un po’ di meritato relax sul divano, mi è venuta voglia di guardare una serie fino ad addormentarmi. Perciò ho acceso la tv e Netflix mi ha piazzato davanti agli occhi questo nuovo titolo: Young Royals.

Avevo da poco visto The Windsors, una divertente parodia della famiglia reale britannica e – francamente – la copertina di questa nuova serie sembrava ricordarmi una delle scene di questa comedy. Ma, non appena ho cliccato sul tasto ‘riproduci’ mi sono resa conto che non solo Young Royals non mi avrebbe fatto ridere, ma che si prendeva anche parecchio sul serio.

Young Royals

Ovviamente, una volta cominciata, non avevo nessuna voglia di alzare di nuovo il mio braccio indolenzito e puntare il telecomando verso la tv per cambiare serie e l’altro era immerso in un’oleosa busta di patatine rustiche, così l’ho guardata. Com’era prevedibile che accadesse, sono una persona molto debole e mi sono lasciata trascinare dall’ennesimo teen drama senza arte né parte con una fotografia quantomeno buona e con personaggi che indossano divise simili a quelle della Pretty Land School of Arts, la scuola de Il mondo di Patty.

Adesso. La prima domanda che mi sono posta quando – dopo una full immersion di sei ore – sono tornata in superficie, meravigliandomi di non essere morta di noia e soprattutto di essere vigile, sveglia e mediamente lucida, è stata: per quale assurdo motivo questa serie si chiama Young Royals? Il titolo significa letteralmente ‘giovani reali’, plurale, ma allora dove sono tutti questi giovani rampolli col sangue blu? Io ne ho visto uno e mezzo, dato che il principe ereditario Eric, bello come un principe Disney, l’hanno fatto crepare in trenta secondi e poi più nulla. Mi aspettavo – come minimo – una scuola piena di principi, principesse e qualunque altro titolo venga dopo, titoli che stando alle mie approfondite conoscenze acquisite e maturate guardando Bridgerton (qui come cambierà la serie senza il Duca) dovrebbero essere: re, principe, duca, marchese, conte, visconte e barone provenienti da tutta Europa. Dunque, dov’è tutto questo?

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Ci sono i figli delle famiglie aristocratiche, è vero, ma li conosciamo in un’occasione, realizziamo di averli visti qua e là nel corso della serie e fine. Tutto qui. Per questo mi sento un po’ presa in giro. L’unico altro che potremmo considerare membro della famiglia reale è un lontano cugino caduto in disgrazia, August, antipatico e intollerabile come quel compagno di classe delle medie che subito dopo la fine della scuola hai bloccato su tutti i social perché insopportabile, uno di quelli che sapevi con la stessa certezza con cui sai che al lunedì succede il martedì, che sarebbe diventato un cretino spocchioso che avresti volentieri preso a schiaffi, perciò elimini ogni tentazione che ti induca a percorrere quella strada e a macchiarti la coscienza così come la fedina penale.

C’è stata solo una cosa che mi è piaciuta di questo personaggio e l’hanno trattata come fosse la più insignificante del mondo: ha chiaramente un problema col suo corpo da cui forse derivano tutte le insicurezze che cerca di nascondere col comportamento da stronzo patologico che lo trasformerebbe – in età adulta – in maschio tossico che puzza di narcisismo a cinquecento chilometri di distanza. Aprire un dialogo sulla dismorfofobia con protagonista un ragazzo sarebbe stato davvero interessante, nuovo. La rappresentazione di questi disturbi – di solito – è affidata a personaggi femminili, chissà perché… ma la realtà è che è un fenomeno decisamente radicato – soprattutto nei giovani di oggi – indipendentemente dal sesso. C’è chi da la colpa alle immagini e agli stereotipi di corpi che vediamo online e che determinano in qualche modo un modello da seguire, un modello di bellezza dal quale ogni deviazione può essere considerato sbagliato a prescindere del dialogo sulla body positivity che – in età adolescenziale – si fa fatica ad ascoltare.

E, invece, no. In Young Royals ti mostrano questo problema, ma viene ridotto a ‘August passa molto tempo in palestraalludendo a una chiara ossessione maniacale e patologica che però viene subito archiviata per dare spazio alla storia d’amore. Ah, ok.

La storia d’amore di Young Royals in sé è vecchia come il mondo e puzza anche un po’ di decomposizione arrivati a questo punto. Il principe Wilhelm di Svezia – come un Harry comprato su Wish durante i tempi d’oro – fa a botte in un locale e viene mandato in questo prestigioso collegio di cui ho provato a capire la gerarchia, ma è stato più difficile che spiegare al mondo il mio vasto albero genealogico. Qui a Hillerska, una specie di Las Encinas più classica, ma altrettanto d’élite, fa la conoscenza di Simon. Simon è bellissimo e ha la voce di un angelo e, già dopo un secondo che ci è stato presentato, si può prevedere la trama. Niente di complesso, il solito cliché di una relazione omosessuale tenuta nascosta e che viene portata allo scoperto da qualcuno che mette in crisi la coppia.

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Il personaggio di Wilhelm è un personaggio che non mi piace, non è come me lo ero immaginato. Io volevo vedere un principe e mi sono ritrovata un monolite che là lo metti e là rimane, un personaggio che ci viene presentato come uno di carattere e che fa a pugni nei locali, ma che in realtà è insipido, uno che se non ti dice che prova dei sentimenti, non lo presumeresti mai. Questo suo atteggiamento è totalmente in contrasto con quello di Simon a cui basta uno sguardo per comunicare tutto ciò che gli passa per la testa. Wilhelm fa tutto ciò che gli viene detto senza battere ciglio, che si tratti del cugino, della madre o di Simon. Insomma, ‘sto tizio ha zero personalità.

Inoltre, ciò che non mi piace di Wilhelm e di Young Royals più in generale è che i suoi doveri di principe ereditario siano – in qualche modo – nascosti all’occhio del pubblico e l’unico stralcio di responsabilità e iniziativa che gli vediamo prendere arriva nel momento in cui deve fare una dichiarazione pubblica riguardo la sua presunta relazione con Simon. Ora io non so molto di come funzioni la vita di un principe ereditario svedese, ma possibile che sia tutto qui? Niente incontri con i presidenti di altre nazioni, niente tè con la Regina Elisabetta, niente partita di Polo con gli altri principi ereditari? Allora perché non fare semplicemente una serie su adolescenti ricchi che frequentano una scuola privata d’eccellenza? Ah già, perché esiste già e si chiama Élite.

Insomma, in questo agglomerato di noia e di occasioni mancate, l’unica luce sembrava essere il personaggio di Simon, un ragazzo del popolo, ma passionale, pieno di difetti, con tanto potenziale e con una magnifica voce d’angelo. Peccato che, dopo un po’ è diventato ipocrita, lui poteva fare azioni scorrette o di dubbia moralità, ma quand’era Wilhelm o qualcun altro a farle, le condannava facendo fin troppi moralismi e a quel punto è diventato fastidioso, motivo per cui ho smesso di tollerare anche lui. Forzare qualcuno verso qualcosa che non è pronto a fare non è carino, anzi è davvero irrispettoso ed è esattamente ciò che ha fatto con Wilhelm. Per dirlo io, persona a cui il principe fa piuttosto cag*re, vuol dire che è stato veramente estenuante.

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Ma passiamo ai personaggi di contorno, un gruppo praticamente inutile fatta eccezione per due o tre volti che ancora non ho capito dove si collocano. Come la sorella di Simon, Sara, che spesso mi fa tenerezza, ma altre volte mi innervosisce. E poi c’è la tizia ricca, Felice, che finge di voler fare equitazione per ottenere l’approvazione di mamma e papà e che è disposta a tutto pur di accalappiarsi un buon partito anche se questo significa avere rapporti con quel viscido di August. Anche qui, noiosi. Noiosi, noiosi, noiosi. Così noiosi che spesso ho provato l’impulso di andare avanti veloce o saltare completamente certe scene. Così noiosi che sono stata spesso tentata di distrarmi col cellulare, ma non l’ho fatto. Ho fatto appello a tutta la mia forza di volontà e ho resistito. No, non è vero, la forza di volontà non c’entra niente. Semplicemente il cellulare era a portata di mano dal lato del braccio dolorante, quindi non avrei mai potuto raggiungerlo senza farmi – letteralmente – male.

Perciò mi sono posta questa domanda: avevamo bisogno di Young Royals? E la risposta è stata questa: NO, assolutamente no. Francamente sa troppo di già visto e ci sono fin troppe occasioni perdute, come ad esempio quella di mostrare – finalmente – un principe ereditario apertamente gay o trattare l’argomento della dismorfofobia, ma non è stato fatto e questo mi ha lasciato l’amaro in bocca. Tra l’altro – ci tengo a precisare – che Young Royals non ha niente a che vedere con The Crown, come ho letto in giro per il web. A chi le affianca sostenendo che siano simili chiedo: MA PERCHÉ? MA DOVE? MA QUANDO? L’unica cosa che hanno in comune è che parlano di Reali, ma questo è un teen drama che forse si avvicina un po’ a Élite, senza misteri e l’altro è una biografia – un po’ romanzata – di una storia vera e ancora in corso.

Vi prego, non confondiamo la melma con la cioccolata: potrebbero anche avere lo stesso colore, ma non di certo lo stesso sapore.