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Bandidos è la solita (divertente) caccia al tesoro – Recensione della nuova serie con Ester Expósito, ora su Netflix

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ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Bandidos.

Il catalogo Netflix si è arricchito di una nuova serie proveniente dal Messico. Una serie creata da Pablo Tébar, già autore di Tierra de Lobos – L’amore e il coraggio e diretta da Adrian Grunberg, conosciuto per Rambo: Last Blood. Bandidos è una via di mezzo tra Indiana Jones, che ci ha lasciati col quinto e ultimo capitolo, e Ocean’s Eleven, interpretato dal grande Brad Pitt. Senza lo spirito avventuriero del primo né il carisma del secondo. Purtroppo.

Certo, assolve in pieno il suo compito di intrattenere, e lo fa stappando più di una risata qua e là. Cosa non da poco. Guardandola, però, si ha l’impressione che manchi di gusto.

Una storia vecchia con qualche trovata moderna

La storia, in sé, è la classica caccia al tesoro. C’è una mappa da seguire, qualche trabocchetto da evitare. Un cattivo spietato e un gruppo improbabile di persone che, pur non fidandosi tra loro, intraprende un lungo viaggio per diventare ricco. Lungo il percorso, chiaramente, incontreranno mille difficoltà perdendo dei pezzi per strada. Ma tutti, indipendentemente dall’abbondanza del tesoro, scopriranno valori ben più importanti. E alla fine, oltre alla ricchezza materiale troveranno quella personale.
Vi dice niente? Ecco, appunto. Quella strana sensazione che sentite viene definita déjà vu: già visto. Bandidos è un po’ così, già visto. Certo, ha delle trovate spiritose, al passo con i tempi. Come la corsa in moto in stile Fortnite. O l’uso di un drone che annuisce o dissente muovendosi nell’aria. Espedienti narrativi che possono piacere o non piacere. Il cui difetto, però, è avere vita troppo breve per poter essere apprezzati appieno poiché vengono abbandonati praticamente subito. Lasciando nel pubblico una strana sensazione di incertezza.

Un’incertezza che non riguarda i colpi di scena. Perché quelli, purtroppo, sono piuttosto telefonati e, sfortunatamente, ripetitivi. Nei sette episodi della durata di circa quarantacinque minuti l’uno il dubbio che assale lo spettatore è, semmai, se Bandidos ci sia o ci faccia. Cioè, se sia una parodia del genere heist serie, oppure se vada presa davvero sul serio. La domanda, però, è destinata a non avere una risposta certa. E univoca. Più di tutto.

La trama di Bandidos

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Alfonso Dosal e Ester Expòsito, rispettivamente Miguel e Lilì

Miguel (Alfonso Dosal, già noto per Narcos: Mexico e Jodie, il prescelto) lavora in un lussuoso albergo in riva al mare. Tra palme e sole tropicale l’uomo arrotonda il suo stipendio cercando tesori e imbrogliando turisti creduloni. Il suo spirito da Indiana Jones è di famiglia poiché il padre è un famoso archeologo sfortunatamente affetto dalla malattia di Alzheimer.
Lilì (Ester Expósito, conosciuta per il ruolo di Carla Roson in Elite) è un’avventuriera sempre alla ricerca di ricchi uomini (o donne, non fa distinzione, ci tiene a precisarlo) da spennare. I due hanno un trascorso amoroso concluso malamente (si intuisce) che per Miguel è una ferita ancora aperta nonostante finga di averla superata.
Wilson (Juan Pablo Medina, famosissimo in Messico) è lo zio paterno di Miguel. Anche lui come i primi due vive sul filo del rasoio ma anzitutto si occupa di tirare fuori dai guai il nipote.

I tre sono il nucleo di partenza di un gruppo destinato a espandersi che partirà alla ricerca di un tesoro scomparso. Come? Seguendo le indicazioni tatuate sul corpo di un turista che Miguel conoscerà al bar dell’hotel. Turista che verrà ritrovato dalla polizia con parte della pelle asportata in maniera crudele. Segno evidente che non era l’unico sulle tracce del tesoro. E che gli altri cercatori sono disposti a tutto pur di trovarlo.
La posta in gioco è troppo alta per tirarsi indietro. E una volta organizzatosi il gruppo partirà alla ricerca degli indizi che lo porteranno a scoprire ricchezze inestimabili.

Citazioni e omaggi non bastano, purtroppo

Bandidos si apre con la presentazione dei protagonisti. Una voce fuori campo illustra il loro ruolo all’interno della banda elencando le skills di ciascuno. In sottofondo una musica rock che fa capire subito a cosa andremo incontro. La citazione è chiara: Ocean’s Eleven, di Steven Soderbergh.
Qualche scena più in là Miguel è vestito da Indiana Jones e si muove tra ragnatele e polvere, all’interno di quella che ricorda tanto essere la caverna de Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta, diretto da Steven Spielberg.
Un paio di episodi dopo Lucas, il nerd hacker della banda interpretato da Juan Pablo Fuentes, per superare lo choc di esser in mezzo a una sparatoria si immagina di essere dentro Fortnite Battle Royale. Ruba una motocicletta che non sa guidare e si dà all’inseguimento di un furgone con le immagini che ricordano un po’ i videogame degli anni Novanta.

Queste sono le più macroscopiche ma Bandidos è pieno di altri omaggi al cinema, alla cinematografia, alla musica. I rimandi sono simpatici, divertenti. Hanno lo scopo di dare una giustificazione là dove ce n’è bisogno. Però non sono sufficienti a dare allo show quella marcia in più che possa distinguerla nella mole di serie simili su Netflix.
Così come non è sufficiente il costante ricorso all’umorismo per cercare di mantenere alto il ritmo della narrazione che in certi momenti, invece, rischia di precipitare. L’ironia come la citazione possono essere un’arma a doppio taglio perché di difficile gestione. In particolare in quelle produzioni dai mezzi ridotti che ammiccano al pubblico per non prendersi troppo sul serio.

Un passato molto poco presente

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Bandidos, una scena

Un altro punto fragile della serie messicana è quello dell’o dimo, di borisiana memoria. Ci sono, infatti, davvero tanti, sottintesi non facilmente intuibili. Troppi dialoghi accennano al passato senza dare soddisfazione. E i flashback esplicativi non sono sufficienti ad appagare la naturale curiosità degli spettatori. Una curiosità che viene fuori puntata dopo puntata, conoscendo i personaggi e le loro storie. Ed è davvero un peccato non soddisfarla appieno. Perché i personaggi, al netto dei cliché, appaiono davvero interessanti ma poco sviluppati. In particolar modo il loro passato. Rendendoli, di fatto, bidimensionali.
Per fare un esempio: che senso ha vedere Wilson e Lilì sussurrarsi segreti all’orecchio? Nessuno. Eppure della gamba mancante del primo e del reale nome della seconda se ne parla a iosa, durante le sette puntate.
Probabilmente un maggiore approfondimento sul vissuto di ciascun protagonista avrebbe arricchito la storia inspessendo più di ogni altra cosa i vincoli relazionali, che in Bandidos sono un po’ carenti.

Ma ha anche qualche difetto

Bandidos è una produzione che ha soprattutto il pregio di intrattenere. Non ha pretese di essere un capolavoro e nemmeno si cura dei piccoli dettagli che potrebbero fare la differenza. La sua qualità più grande sta nell’interpretazione dei suoi attori, tutti davvero molto bravi nei rispettivi ruoli.
È una storia tradizionale, senza particolari trovate, che però si lascia guardare fino ai titoli di coda. Il lieto fine non stona affatto e il lato romance non prevarica mai su quello avventuroso. Ricorda un po’ uno di quei giochi che si fanno da bambini, il facciamo finta che, e come tale ha le sue regole ma lascia ampio spazio alla fantasia e al divertimento. Sfrutta con attenzione i buoni sentimenti esagerando un po’ sui luoghi comuni i quali, in ogni caso, sono a servizio della storia e/o del singolo personaggio e non sovraccaricano la storia.