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Bang Bang Baby – La Recensione degli ultimi cinque episodi: un insolito percorso di formazione

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ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER sugli ultimi cinque episodi di Bang Bang Baby.

Se gli Stati Uniti hanno lanciato la loro bomba rilasciando la prima parte quarta stagione di Stranger Things (qui la nostra recensione), ambientata nel 1986 e immersa fino al collo nella cultura pop, l’Italia ha detto la sua con Bang Bang Baby, ambientata nello stesso anno. Per quanto riguarda l’immaginario comune e i riferimenti agli anni Ottanta, infatti, non ha niente da invidiare al capolavoro statunitense.

Nonostante il ritardo nella programmazione degli ultimi cinque episodi, la serie ideata da Andrea Di Stefano e prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment e Wildside, è tornata su Prime Video per offrire una giusta conclusione alla storia di Alice Giammatteo (Arianna Becheroni), ora a tutti gli effetti Alice Barone. Se nella scorsa puntata (qui la recensione degli episodi precedenti) l’avevamo lasciata alle prese con un padre in fin di vita, insicura e incapace di servirsi a pieno di tutto il dolore che provava, in questa seconda tranche di episodi, Alice riprende il suo insolito percorso di formazione. Non è un caso che la prima stagione sia stata distribuita in due metà. Il cambiamento di Alice nel modo in cui reagisce alle difficoltà e in cui si rapporta al lato oscuro della famiglia Barone è reso ora più evidente, e la sua lenta ma costante trasformazione viene paragonata a quella di David Banner in Hulk, nella serie L’incredibile Hulk (1977-1982) che ha conquistato il pubblico italiano dall’inizio degli anni Ottanta.

arianna becheroni

Bang Bang Baby ricomincia quindi all’insegna delle references culturali che ci piacciono tanto e le utilizza per costruire l’universo della protagonista e dargli consistenza.

Per il panorama seriale e cinematografico, la serie guidata alla regia da Michele Alhaique, Giuseppe Bonito e Margherita Ferri si serve de L’incredibile Hulk, di Per un pugno di dollari (1964), di The day after (1983) e delle Charlie’s Angels (1976-1981), fino ad arrivare a riferimenti alla scena musicale di quegli anni, Bang Bang (Al Cuore Bang Bang) di Ivan Cattaneo, Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina, Cicale di Heather Parisi e molti altri ancora. All’interno di ogni puntata si crea un’interessante e funzionale struttura ad anello proprio attraverso queste references, presentate dalla voce della protagonista nei primi minuti e riprese poi con una diversa consapevolezza negli ultimi. Così, è interessante vedere il modo in cui grazie all’Hulk degli anni Ottanta Alice impara a usare il proprio dolore, ma anche il modo in cui capisce che, se vuole guadagnarsi il rispetto degli adulti che fanno parte del mondo della criminalità, deve sfruttare tutta la propria forza di giovane donna.

Alice, sua mamma Gabriella e sua nonna Lina, per un istante diventano delle Charlie’s Angels sui generis, ma questo parallelismo non è fine a se stesso, serve anche a mandare un importante messaggio al pubblico, attraverso la rappresentazione di moltissimi personaggi femminili impossibili da racchiudere all’interno di un’unica categoria o di un unico ruolo. Inclusività, rispetto e provocazione fanno parte di Bang Bang Baby, che osa anche in questi cinque episodi.

L’ambiguo rapporto di amore-odio tra Alice e suo padre Santo (Adriano Giannini) viene esplorato attraverso l’emotività della giovane Barone, attraverso i suoi dubbi, le sue incertezze e attraverso quegli sguardi che parlano alla cinepresa in ogni singola inquadratura. Negli occhi di Arianna Becheroni, che si conferma anche in questa seconda parte una piacevolissima scoperta, leggiamo la paura di perdere di nuovo suo padre e al tempo stesso il desiderio di liberarsi di lui e di tutta la scia di morte che inevitabilmente lo segue come un’ombra.

bang bang baby prime video

Perché, come diventa chiaro dall’episodio 7, nella vita di Alice, Santo è stato come una bomba atomica.

È esploso all’improvviso e ha lasciato dietro di sé solo polvere e detriti, solo sangue e delusioni. Il tentativo di ricostruire un nucleo familiare spezzato è ciò che muove Alice dalla prima all’ultima puntata, anche se questo sogno finisce per fondersi con l’impossibilità di tornare al punto di partenza, con la consapevolezza di non poter più desiderare una vita normale. Il potere, l’imprevedibilità e il rispetto di individui pericolosi come i membri della ‘ndrangheta calabrese danno assuefazione alla protagonista di Bang Bang Baby. Una volta dimostrato il proprio valore in un mondo come questo, non c’è modo di riconquistare l’innocenza perduta.

Testimonianza di ciò è l’abito bianco che Alice indossa quando imbraccia un mitra e spara con uno sguardo folle negli occhi. Una veste chiara e pura come la bambina che era; una giacca e un rossetto rosso sangue come la donna forte e intelligente che è appena diventata. Il contrasto si rispecchia in un abile uso dei colori nei costumi e si sposa coerentemente con quelli della fotografia. Quest’ultima continua, anche in questa seconda metà della serie, a privilegiare le lampade al neon, i colori fluo e sgargianti, in costante opposizione al blu scuro dell’interno di alcuni locali o l’atmosfera calda e asfissiante che si percepisce ogni volta che la cinepresa entra in casa di donna Lina. Lo spettatore non fa caso soltanto alla mancanza di luce naturale e all’invadente presenza di quella artificiale delle lampade di casa Barone, ma ne sente sulla pelle l’effetto claustrofobico e comprende lo scopo ben preciso di questo elemento: preparare il terreno all’inaudita crudeltà di Lina.

Il volutamente esagerato che però nella fotografia costituisce un pregio, che contribuisce a creare uno stile unico e riconoscibile e ad amplificare la patina di dark comedy che circonda l’intera serie, nella sceneggiatura finisce per diventare un piccolo punto debole.

Stemperare la crudeltà dei metodi mafiosi attraverso l’ironia è stata una scelta audace e, all’inizio, decisamente funzionale all’andamento della trama, ma con l’avanzare delle puntate ha reso difficile e forse poco credibile la reazione della Santa Società all’intera vicenda dell’insubordinazione di Santo Maria Barone. Da un certo punto in poi, il pubblico è stato portato a sottovalutare la reazione della ‘ndrangheta, e a temere quasi di più il carattere e la cattiveria di donna Lina che quella degli altri rappresentanti della malavita.

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I personaggi principali sono stati di nuovo tratteggiati con cura e con una particolare attenzione alla loro emotività, ma nel dare valore ai singoli, in alcuni momenti, Bang Bang Baby ha perso di vista la visione di insieme, privilegiando ritratti troppo caricaturali per i personaggi secondari.

Nel complesso, però, a rendere la serie italiana Amazon Studios un grande “sì”, c’è anche la presenza delicata e non invasiva di storie d’amore che rimangono sullo sfondo ma portano una buona dose di inclusività e romanticismo. Prima fra tutte la relazione tra Nereo e Belfiore, con uno sviluppo inaspettato ma piacevolissimo. In seguito il legame tra Alice e Rocco, di cui tutti i fan avevano avuto un presentimento fin dall’inizio, ha avuto un risvolto interessante ed è stato utile ad alleggerire e a rendere ancora più piacevole la trama.

Ma non si può non dedicare qualche parola al finale di questa prima stagione. Con una tecnica narrativa decisamente inusuale per un prodotto seriale italiano, anche se per pochi minuti, i protagonisti si sono trasformati, nell’immaginario di Alice, nei personaggi di un anime, come nelle serie d’animazione più famose degli anni Ottanta (Lady Oscar, Mila e Shiro, Kiss Me Licia). E se da principio, la puntata finale può risultare un po’ caotica, il disordine è decisamente voluto e indispensabile. L’obiettivo è confondere lo spettatore quanto basta per stupirlo con un colpo di scena che ribalta la situazione negli ultimi istanti, e che rende la serie imprevedibile e unica.

Il finale di stagione, in cui finalmente abbiamo potuto sentire anche il brano L’Eccezione di Madame (scritto appositamente per la serie), ritorna alla puntata iniziale di Bang Bang Baby, ancora una volta con una composizione ad anello. Dà prova di una struttura interna equilibrata e simmetrica, che ritorna non solo nel singolo episodio ma anche nell’insieme delle puntate e che è pensata in ogni minimo ingranaggio e in ogni dettaglio. Giusto per fare un esempio, l’episodio 9 è stato incentrato sul tema della scelta, e in una scena in particolare le inquadrature si sono focalizzate sulla monetina di Alice. La moneta è il simbolo dell’indecisione per eccellenza, ed è proprio quella che di solito si lancia per far sì che il destino prenda una decisione al posto nostro.  

Sono poche le questioni rimaste in sospeso, forse non abbastanza per tenere in piedi un’eventuale seconda stagione, ma sicuramente sufficienti a far sperare il pubblico di rivedere sullo schermo dei personaggi così folli e al tempo stesso facili da amare.

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