Abbiamo momentaneamente abbandonato Gaius ai Cylon, ma riprendiamo da lui.
Durante le negoziazioni per l’accesso al pianeta delle Alghe, Baltar viene offerto indietro alla flotta della Battlestar Galactica, giusto per addolcire la pillola. Inoltre Athena incontra Sharon che le dice che sua figlia è viva, che ce l’hanno loro e che è malata. La riscoperta madre si fa quindi sparare dal marito per resuscitare dietro le linee nemiche e andare da Hera, che si scopre non così grave, semplicemente i Cylon non sanno prendersi cura di una creatura dall’anatomia così umana. Caprica quindi l’aiuta a tornare alla Battlestar Galactica, accompagnandola e venendo chiaramente presa prigioniera. Anche Gaius viene imprigionato e Roslin, di nuovo presidente, decide di concedergli un processo, come da legge, per potersi difendere dall’accusa di crimini contro l’umanità.
Ma prima che questo avvenga, Battlestar Galactica decide che non abbiamo sofferto abbastanza, e ci fa piangere sulla fotografia di Kara, morta in un’esplosione dopo una serie di strane visioni che ci, e le, fanno dubitare della sua salute mentale. Purtroppo la sua storia viene brutalmente interrotta lasciandoci un senso di incompletezza e incredulità Non ci possiamo credere, e facciamo bene, visto che in realtà è viva, in qualche modo, ma non ne abbiamo la certezza fino agli ultimi secondi del finale di stagione.
In ogni caso l’apparente morte di Starbuck mette in modo una serie di eventi, come la crisi esistenziale di Lee, essenzialmente portandolo a fare da spalla a uno dei personaggi migliori che Battlestar Galactica ha da offrire, l’avvocato difensore di Baltar, Romo Lampkin, interpretato egregiamente da Mark Sheppard (colui che diverrà quel diavolo di Crowley in Supernatural). Romo è un abilissimo manipolatore, studente del nonno Adama – giurista anch’esso – che utilizza piccoli furtarelli per togliere autorevolezza ai testimoni cruciali dell’accusa, distraendo le ignare vittime con astuti stratagemmi, portando la loro attenzione a volte al bastone da passeggio, a volte al gatto. Con i suoi occhiali da sole che non lasciano trasparire nulla, riesce eventualmente a salvare Baltar, abbandonandoci poi indietro, come fa anche con il suo bastone, un po’ come Kaiser Soze abbandona la zoppia, per proseguire per la sua strada, indisturbato.
Ma ci piace pensare che quello che ha avuto più influenza nel spostare l’opinione della giuria sia stato il toccante discorso di Lee (Jamie Bamber), chiamato al banco dei testimoni da Romo, che riassume un po’ gli eventi di Battlestar Galactica da quando sono riusciti a fuggire da Caprica:
Il ruolo fondamentale di Lee nel processo ha inoltre fatto emergere un’altra scomoda verità quando ha interrogato Laura Roslin, dimostrando ancora una volta che lui persegue quel che ritiene giusto, e non la persona in sé (vi ricordo che per proteggerla al tempo si è messo contro il suo stesso esercito). Questa scoperta è che la presidente è malata di nuovo, il cancro è tornato.
Quest’altra problematica viene momentaneamente messa da parte nel momento in cui la Battlestar Galactica prosegue nella strada verso la Terra, per il semplice fatto che c’è una situazione molto più pressante di cui occuparsi. Quando la flotta effettua il salto, trovano tanti, troppi Cylon ad attenderli. Contemporaneamente si avvicina il colpo di scena più brutale non solo della stagione, ma anche di tutta Battlestar Galactica sinora: seguendo una strana canzone, Saul Tigh, Sam Anders, Galen Tyrol, e Tory Foster finiscono per incontrarsi in una stanza vuota e qualcosa scatta nella loro testa, dandogli la consapevolezza di essere, ed essere sempre stati dei Cylon, gli Ultimi Cylon. E solo uno manca all’appello.
“My name is Saul Tigh. I’m an officer in the Colonial Fleet. Whatever else I am, whatever else it means, that’s the man I want to be. And if I die today, that’s the man I’ll be.”
Sconvolti come noi, i quattro rifiutano la loro natura e nel momento in cui comincia la battaglia, questi rimangono fedeli ai loro doveri, in cerca di una normalità ormai perduta, scivolata via come sabbia tra le dita e probabilmente irrecuperabile, distruggendo completamente tutto quello che davamo per vero nel corso delle stagioni precedenti di Battlestar Galactica.
È proprio con l’inizio di questa battaglia che Lee, tornato nel suo Viper senza chiedere chissà che autorizzazioni, viene distratto da una navicella misteriosa che non si rivela se non dopo una serie di acrobazie intorno a lui. Kara Thrace pilota il Viper che lo affianca e come se nulla fosse gli annuncia che ha trovato la Terra e può guidarli tutti. Leoben alla fine aveva ragione sul fatto che Kara avesse un destino.
La terza stagione di Battlestar Galactica è sbalorditiva, perché rimescola tutte le carte in tavola. Con l’umanizzazione dei Cylon, che per la prima volta guardano alle loro origini ed esplorano, anche spaventati, l’ignoto, e gli umani che degradano a New Caprica, ma poi tentando di trascendere oltre le atrocità subite e perpetuate rendendoli ancora una volta apprezzabili, ci rendiamo conto di quanto entrambe le fazioni si siano evolute.
D’altro canto, ciò non toglie che è sempre più difficile simpatizzare per gli umani, in quanto sono diventati qualcosa di diverso da semplici vittime della distruzione dei Cylon, hanno iniziato ad essere distruttivi l’un con l’altro, ed è sempre più facile empatizzare con le macchine, man mano che le si conosce più da vicino.