Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Benvenuti a Eden
La nuova serie spagnola Benvenuti a Eden, uscita il 6 maggio su Netflix, si è piazzata altissima in classifica praticamente in tutto il mondo, Italia compresa. Il teen drama spagnolo è, infatti, ancora secondo nella top ten dei contenuti più visti. A questo punto, la domanda sorge spontanea: perché? Siamo onesti: tutti sanno che un paio di serate di bagordi non possono risolvere gravissimi problemi personali. Poi, perché un messaggio anonimo dovrebbe farti sentire al sicuro nel momento in cui ti chiede, dal nulla, se sei felice e se vuoi partecipare a una festa di cui non ti dice nulla se non che devi firmare un contratto, che non puoi portare nessuno, nemmeno il telefono?
Benvenuti a Eden. Trama
Tutto comincia con un messaggio anonimo che contiene solo un: ”Sei felice?”. I destinatari sono giovani selezionati attraverso un algoritmo che scava nei loro social, all’apparenza perfetti, ma specchio di una vita di frustrazioni. Tutto è studiato nei minimi dettagli per avere la certezza di invitare solo chi, con la promessa di scappare dal mondo che lo rende infelice grazie a una festa per il lancio di una bevanda, risponderà positivamente. A partire sono in 100, vengono sottoposti a ogni tipo di controllo da una sicurezza stringente, ma non tutti coloro che sono stati invitati all’evento per la Blue Eden possono effettivamente provarla. Ad accendersi sono solo 5 braccialetti, i fortunati che l’indomani, quando tutti saranno andati via, rimarranno intrappolati sull’isola. “A prendersi cura di loro” c’è la Fondazione Blue Eden, guidata da una coppia intransigente. Non è chiara la natura dell’organizzazione, presumibilmente si tratta di una setta che vive in un ambiente altamente tecnologico ma che si nutre solo di ciò che offre la natura, con scopi malvagi e misteriosi. Va da sé che l’obbiettivo dei malcapitati sarebbe scappare dall’isola.
Cosa non ha funzionato?
Sembrerebbe quasi tutto e non è una unpopular opinion. Le primissime battute fanno anche ben sperare: la situazione ricorda vagamente quella vista in Squid Game. Le considerazioni da fare sarebbero due: siccome la serie ha avuto un enorme successo potremmo effettivamente essere al cospetto di una produzione importante (ciò giustificherebbe il trend della piattaforma) e potrebbe sembrare in fondo che la storia abbia un senso, anche se scopriamo quasi subito che non è così. Ma anche se somigliasse vagamente a Che fine ha fatto Sara saremmo già soddisfatti. Invece no.
Come abbiamo già anticipato, alla festa arrivano in 100, sembrerebbe che possa svilupparsi una bella lotta per la sopravvivenza, ma in realtà, al risveglio, quest’idea possiamo già abbandonarla dato che restano solo in 5. E gli altri 95? Presumibilmente sono stati riportati al punto di partenza. Perché sono stati scelti allora? Nemmeno questo è dato saperlo. Inoltre, ammesso anche che l’idea di 5 prescelti potesse essere interessante per creare un po’ di tensione narrativa, per noi è una telefonata. Da prima che cominciasse la festa, infatti, seguiamo l’iter di selezione direttamente dal centro di controllo della Fondazione e, sorpresa, i 5 fortunati che resteranno sull’isola sono proprio i 5 profili che vengono mostrati in primo piano. Anche lo scambio di battute tra chi traffica per selezionarli non ci regala tutta questa suspense: ”È stato difficile trovarne cento questa volta”. ”Non ti preoccupare: sai che a noi ne interessano solo cinque”. Ecco, spoiler! Questo è solo uno degli esempi per dimostrare che tanto di quello che accade in Benvenuti a Eden è piuttosto rivedibile se non, addirittura, rivelato in anticipo. Quando, invece, la serie è in grado di creare un po’ di suspense, la situazione si risolve frettolosamente. Un esempio per tutti: vediamo la protagonista, Zoa, portata in un centro medico per dei controlli. È immobilizzata al lettino, ci aspettiamo che le facciano chissà che, quando il medico dice che è tutto a posto e che i valori sono in regola. Così, la ragazza, va via com’è entrata. Ma sul serio?
A proposito di Zoa, poi, non è chiaro perché sia stata scelta lei come personaggio di spicco tra i 5 che restano, dato che sono tutti protagonisti con una situazione familiare difficile. Zoa ha padre assente e madre eroinomane ma, a differenza degli altri, ha una sorella a cui è molto legata e che sarà centrale nella seconda parte della stagione. Inoltre Zoa, che sull’isola fa tutto e niente, con le sue azioni non riesce a smuovere la situazione nemmeno di un millimetro (cosa che normalmente non ci saremmo aspettati da un protagonista).
Come gli altri personaggi d’altronde, perché la storia si arena ben presto.
È anche paradossale, infatti, come nessuno si ribelli con troppa convinzione: i ragazzi non sono minimamente spaventati dalla sicurezza, dalle regole severe o dalla mancanza di libertà individuale che l’isola richiede. Nessuno sa cosa faccia la Fondazione o quale sia il suo scopo perché i creatori, piuttosto che approfondire questo aspetto, hanno deciso di seguire le vicende amorose dei 5 adolescenti. In Benvenuti a Eden, infatti, li seguiamo in un iter che li porta dal lavaggio del cervello, al desiderio di scappare, per poi sentirsi amati e convinti a restare e infine voler scappare di nuovo. Li vediamo inserirsi in una scala gerarchica molto stringente, ma non ne conosciamo le motivazioni. Sappiamo solo, e anche bene ormai, che in troppi casi le coppie si prendono e si mollano alla velocità della luce senza creare veri e propri legami dettati dal sentimento. E, a questo proposito, è facile capire come alcune scene di sesso siano inserite solo per dare movimento a una narrazione che ha diversi problemi. I quali, a lungo andare, potrebbero stancare lo spettatore.
E, sempre a proposito della Fondazione, nel momento in cui lo show punta sull’aspetto visivo, non convince. Quando cerca di contrapporre la tecnologia utilizzata (droni, telecamere) al credo dell’organizzazione basato su una vita semplice, le fa perdere di credibilità.
Benvenuti a Eden è un’occasione sprecata
Lo è sicuramente. Perché, a dirla tutta, la serie accenna appena ad alcune questioni importanti che, se fossero stati approfondite, avrebbero reso la produzione sicuramente più impegnata e di conseguenza più interessante. Pensiamo al tema dell’abbandono, a quella della dipendenza o, ancora, ad abusi e violenza. Per non parlare di quanto siano attuali le questioni legate all’ambiente o all’uso dei social che spingono a credere più nell’apparenza che nella sostanza. Non ci resta che sperare, visto il finale aperto della prima stagione che nella seconda (ahimè già confermata) i creatori, Joaquín Górriz e Guillermo Lopéz, aggiustino un po’ il tiro per tenersi stretto anche quel pubblico di teen che potrebbe fidelizzarsi alla serie. E, riguardo il perché iniziale, in realtà, non sappiamo rispondere. Ma se fossimo in grado di farlo, la risposta non sarebbe granché positiva.
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