Ogni mercoledì e ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 1×01 di Better Call Saul.
Tornare al pilot di Better Call Saul significa chiudere il cerchio, compiere un grandioso giro attorno alla vita di Jimmy McGill e rivederlo lì, esattamente nel punto in cui l’avevamo lasciato, in quel bianco e nero che è ormai irreversibile, insuperabile. Totalizzante, se non fosse che per una tenera fiammella. Better Call Saul si apre con quel bianco e nero, si apre col tempo del compiuto, con l’immagine di Gene che, apparentemente, vive nel terrore di essere rintracciato, di veder saltare la sua copertura.
In realtà le note di Andress Unknown propagandosi calde e melodiose ripetono “Only to find, only to find“, quasi che Gene, senza ancora esserne cosciente, desideri essere riconosciuto, speri in cuor suo di uscire da quel loop, dalla routine grigia di una vita nell’ombra, impiegato invisibile in un centro commerciale spersonalizzante e anonimo. E ci rendiamo conto -adesso possiamo- che le cose stanno così. Gene nella stagione conclusiva lascia indizi, si comporta in maniera irresponsabile, fa di tutto per essere rintracciato dalla polizia. Di tutto pur di tornare a essere Saul. Perché solo tornando a essere Saul può espiare la colpa di essere stato Saul.
Ogni cosa nel bianco e nero fa contrasto con l’immagine che avevamo di Saul Goodman in Breaking Bad.
Tutto questo stonava forse, all’epoca del pilot di Better Call Saul, per noi legati ancora al ricordo dell’allegro e comico saltimbanco della legge. Ma ora, con gli occhi della consapevolezza, guardare quel bianco e nero sa di familiarità, significa riallacciare le fila del finale di Better Call Saul, ripartire da lì, tornare d’improvviso a quel momento in cui tutto è irrimediabilmente passato e non tornerà più: Better Call Saul – 6×13: s’all gone, man.
Solo una luce illumina il grigiore: è il riflesso dello schermo di una tv che proietta gli spot di Saul Goodman. È in quel nostalgico salto nel passato che Gene si crogiola e noi con lui. Quel riflesso delicato ci traghetta di nuovo nel colore, nel tempo del possibile. Ci dà la possibilità di iniziare nuovamente il viaggio, anche se con occhi nuovi, con gli occhi di chi sa ciò che accadrà, consapevole che quel barlume di colore si ripeterà ancora, seppur solo nella brace di una sigaretta condivisa.
Eccoci, allora, d’improvviso, nati ancora una volta e inondati dalla luce dei colori del pilot di Better Call Saul.
Rieccoci di fronte all’incredibile, vivacissima, irresistibile arte affabulatoria di Jimmy che arringa la folla, tiene sulle sue dite ogni membro della giuria, ne coglie, controlla e suscita imbarazzi e incertezze, ne manipola i pensieri. Ma non è ancora Saul, non ha la scaltrezza di chi può scegliere il cavallo vincente e rifiutare l’affare che sa di fregatura. Ora è soltanto Jimmy McGill, avvocato d’ufficio costretto a difendere casi indifendibili dietro misero compenso.
Tutto si è riavvolto in un eterno, punitivo ritorno e di nuovo sulla scena ogni personaggio riprende vita, vigore, potenzialità, pronto a soffrire ancora, per sempre, per le sue colpe: ecco Mike, il solito vecchio Mike, immune dalle lusinghe di Jimmy, insofferente (sempre!) alle scorciatoie e a quell’eccesso di colore, di vita, di estro che l’avvocato emana da ogni poro. Solo ironicamente allora Ehrmantraut può ringraziarlo: “Grazie per aver risvegliato in me la fiducia nella giustizia“, gli dice con irritazione, in risposta a Jimmy che afferma di difendere vite nell’aula di tribunale. Allora, al tempo del pilot di Better Call Saul non potevamo sapere quanto ironicamente tragica fosse questa frase. Ma ora sì, ora che conosciamo la storia di Mike, il suo dolente passato. Lui che aveva lasciato che suo figlio morisse per mano degli stessi tutori della giustizia come potrebbe mai ritrovare fiducia nella Legge? E quanto ci appare ancor più beffardo che la frase sia rivolta a Jimmy, a quell’avvocato che farà della Giustizia la sua sguattera!
James McGill fluttua nelle scene, torna a godere del suo racconto, pare quasi fermarsi ad assaporare quel colore inaspettatamente riconquistato dopo tanto grigiore, dopo un finale che non lascia spazio -forse uno spiffero!- alla speranza ma solo all’amarezza del rimpianto. Jimmy è lì, con la sua Suzuki Esteem, con il simbolo della sua libertà squattrinata, con la gioia di non dover rispondere a nessuno e le briglie sciolte da qualunque costrizione morale. Danza sulla scena, si fa teatrante totale citando Quinto Potere mentre spalanca le porte dell’ufficio della HHM e sorride sardonico a Howard: “Lei ha osato interferire con le primordiali forze della Natura, signor Hamlin, e io non lo ammetto, è chiaro?!“.
Puro teatro, come ogni suo gesto, ogni espressione, ogni eccesso messo in scena a favore di telecamera.
Jimmy. E lì davanti Howard, anche lui -ora lo sappiamo!- maschera, vittima del suo ruolo di avvocato rampante dietro il quale si nasconde tutto il dolore di un matrimonio senza più amore e di affetti svaniti. D’improvviso siamo passati dall’avvertimento del contrario al sentimento del contrario: un tempo potevamo solo avvertirne la maschera, intuire che Howard interpretasse una parte. Ora, riflesso di una consapevolezza maturata in anni di Better Call Saul, sentiamo il suo contrario e soffriamo per lui e per il suo futuro destino.
Ma non abbiamo neanche il tempo di illanguidire il nostro sguardo su di lui che lì, come se nulla fosse, quasi corredo di scena complementare e sostituibile, ecco Kim. Accanto a Howard c’è lei, immobile, imperscrutabile. Silenziosa come una sfinge, forse ancora non del tutto ripresasi -strana nostra sensazione- da quel finale che si è riavvolto e l’ha riportata, lei insieme a noi, fino a questa 1×01. Siamo paralizzati dal silenzio mentre le scene cambiano e, ancora una volta, il finale di Better Call Saul si riavvolge nell’inizio: Kim è addossata alla parete, fuma la sua sigaretta e Jimmy le si accosta, glie la ruba dalle mani e aspira forte, intensamente. Sembra quasi che entrambi si stiano prendendo una pausa da questa puntata, che la loro insaziabile, inarrestabile attrazione li abbia portati di nuovo lì, in quell’immagine del finale che squarciava il bianco e nero grazie alla brace di una sigaretta divisa. Saul e Kim, che si sono conosciuti con un bacio d’addio.
Ma poi, di colpo, il crudele, supremo demiurgo di Better Call Saul obbliga tutti a rientrare nelle parti, obbliga la Wexler a spogliarsi della Kim sofferente e disillusa dell’ultimo episodio e a tornare bambina, ancora inconsapevole. “Non potresti…?“, osa accennare Jimmy, in cerca della solita scorciatoia, di uno stratagemma poco legale che lo metta in una condizione di forza contro Hamlin. Ma Kim, ferma, decisa, subitanea lo interrompe: “Sai che non posso“. Siamo lontani anni luce da quel compromesso morale, frutto dell’amore per Jimmy, che Kim accetterà ostinatamente e che la condurrà alla rovina. Siamo lontani dall’omertà sul destino di Chuck, dal febbrile divertimento per i raggiri a fin di bene e poi neanche più a fin di bene. Siamo lontani dal senso di colpa che la divorerà lanciandola per sempre, anche lei, vittima e carnefice col suo amato, nel grigio di una vita senza più senso.
Ora Kim risponde fermamente di no, ancora a schiena dritta nella sua moralità.
Vicina in questo a Chuck che non ha alcuna intenzione di incassare una buonuscita milionaria, come vorrebbe Jimmy, mandando in bancarotta la HMM. “I miei clienti rimangono scoperti, i miei casi buttati al vento, 126 persone perdono il lavoro“, sottolinea nel suo incrollabile ma fin troppo rigido e asettico senso di giustizia. “È un problema loro“, replica secco Jim. Già dal pilot, già da questo istante si coglie perfettamente la distanza incolmabile tra i due fratelli, quel disavanzo morale che ha reso l’uno irreprensibile e categorico difensore della Legge, l’altro uno Slippin’ Jimmy pronto a tirare avanti con la furbizia e il raggiro. “Ti ripeto. Abbi pazienza: non esistono scorciatoie“, prova a convincerlo Chuck.
Ma Jimmy non può essere convinto: Better Call Saul è destinato a ripetersi esattamente come la prima volta. Ogni personaggio è obbligato a seguire il suo destino, a replicare le sue scelte, condannato a una pena che gli farà rivivere in eterno tutti i peccati commessi. Eppure, involontariamente, rivedendo questa 1×01 nutriamo un’irreale speranza, vagheggiamo l’idea che questa pena infernale in cui ogni sofferenza è destinata a ripetersi sia in realtà una espiazione purgatoriale, che ognuno dei personaggi cambi appena, rewatch dopo rewatch il proprio destino, fino a scontare le proprie colpe, fino a un finale diverso, a colori.
Che qualcosa sia differente -e che quindi tutto possa cambiare- rispetto alla prima volta, rispetto alla premiere del 2015, lo notiamo dalla sovrapposizione di nuovi dettagli che spostano il raccolto, che lo rendono nuovo e mai visto. Come quando Chuck, dietro invito di Hamlin, chiede al fratello di cambiare di nome, mostrandogli il suo “fiammifero da visita”. “Hamlin ha portato questo, è preoccupato. Può generare confusione: Hamlin Hamlin & McGill; James M. McGill“. Sembra quasi un mondo al contrario, qualcosa di mai ascoltato e che credevamo non fosse possibile ascoltare, tanto più per il fatto che Jimmy ribatta, con stizza e orgoglio: “È il mio nome, ci sono nato!“. E ancora Chuck: “Non preferiresti costruirti una tua identità? Perché andare avanti all’ombra di qualcun altro?“.
Incredibilmente è lui a suggerire a Jimmy di abbracciare se stesso, di calare la maschera che porta il cognome McGill per abbracciarne un’altra, ben più reale e adatta a lui, quella che sarà la maschera di Saul.
Tutto parte da qui, dalla rinuncia a un’identità che non lo definisce davvero, che lo pone all’ombra del fratello e del suo studio legale. E parte da Chuck, che lo rinnega, che già da questo primo atto rigetta Jimmy come estraneo, non meritevole del suo cognome. Era stato sempre Chuck, come già sappiamo, a volerlo fuori dalla HHM, a rifiutarlo perché considerato uno “scimpanzè armato con un mitra“. Per lui è e sarà sempre e solo Slippin’ Jimmy, ladruncolo di Cicero. È da questo rifiuto che nasce il primo germoglio di Saul Goodman, piantato inaspettatamente -ora ce ne accorgiamo- da Chuck.
E così Jimmy torna a essere Slippin’ Jimmy, si lancia in una truffa per ottenere la procura dei Kettleman e la trama si mette in moto. E tutto il mondo di Better Call Saul si riavvolge su se stesso e torna a girare. E ogni cosa si ripete: ecco Tuco e poi ancora il caso Sandpiper, e Nacho e il Cartello e i raggiri a Hamlin e il bianco e nero e Marion e il dolore, il senso di colpa, la confessione, il finale e di nuovo lì a quell’inizio, Jimmy e Kim spalle al muro con una sigaretta, ancora una volta vicini, ancora una volta feriti e irrimediabilmente persi, separati dai loro errori eppure pronti daccapo a riavvolgere il nastro. Loro come noi, in attesa del prossimo giro attorno al sole del mondo di Better Call Saul, in attesa di rivedere ancora una volta tutto daccapo per scoprire che, magari, qualcosa è cambiato di nuovo e che Better Call Saul è un cerchio che, riavvolgendosi, scorre in avanti.