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Better Call Saul – 4×04: prigionieri di sé e delle proprie colpe

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Prigionieri. Si può essere prigionieri di un errore. Prigionieri delle aspettative degli altri. Prigionieri di un amore. Sono infinite le accezioni della coercizione. Gilligan in questo nuovo appuntamento con Better Call Saul ci mette di fronte a diverse declinazioni di una stessa condizione. Non si tratta ovviamente di una prigionia fisica, quanto mentale ed emotiva. E proprio per questo ancora più avvilente e oppressiva. I prigionieri si accavallano ai carcerieri in un’eterna fusione e inversione di ruoli.

Nessuno è realmente libero in Better Call Saul. Lo sappiamo bene. Tutti i complessi, incoerenti personaggi vivono in una bolla fatta di errori, compromessi e rimpianti. Il loro, nella maggior parte dei casi, non è un dolore dirompente, immediato e secco. Si tratta piuttosto di un rumore di sottofondo che attraversa le loro vite, che si insinua in ogni sottile, delicato momento della giornata. L’angoscioso, claustrofobico disavanzo dell’esistenza. Percepiamo distintamente questa sofferenza, o meglio insofferenza, nello stare al mondo.

La percepiamo a maggior ragione in Mike, il più grottesco dei protagonisti di Better Call Saul.

In lui si fonde il dramma per gli errori passati alla nichilistica irrequietezza di vivere la quotidianità. Ne risulta una figura quasi comica, capace di reggere la scena con un semplice sguardo torvo. Questa contrapposizione e sovrapposizione tra le motivazioni che stanno alla base della sua durezza e il suo stesso atteggiamento creano una figura “umoristica”. “Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”, come affermava Pirandello. Noi percepiamo il “sentimento del contrario”, le cause dietro la comicità apparente. Facendolo, non possiamo più ignorare la triste verità. Ne scaturisce un sorriso che è quasi un ghigno.Better Call Saul

Sappiamo bene, infatti, quanto su di lui pesino gli errori e le mancanze verso suo figlio. Verso quel Matty che bambinescamente incide il suo nome nella calce fresca. Mike è prigioniero di un figlio che eternamente gli ricorda la sua corruzione. Che gli ricorda di essere colpevole. “Ho distrutto mio figlio”, afferma Mike nella 1×06 di Better Call Saul. “Io ero la sola persona in grado di convincerlo a degradarsi fino a quel punto” [accettare la mazzetta ndr], “Io ho umiliato mio figlio, l’ho reso uguale a me”. Mike ha “macchiato” Matty, lo ha reso un corrotto e non ne ha comunque impedito la morte.

L’umorismo grottesco di Mike è tutto qui, nella consapevolezza di quella tragedia dalla quale non potrà mai riprendersi. Così in lui cresce l’insofferenza in ogni gesto, in ogni comportamento e situazione. Che sia nei confronti di un dipendente della Madrigal o di un ipocrita manipolatore affettivo, la rabbia e l’irritazione scorrono sottese, pronte a esplodere. L’umorismo pirandelliano è di fronte a noi. E per quanto tentiamo, il nostro sorriso nei confronti di Mike è sempre imbrattato da un inevitabile velo di compassione.

Prigionieri, dicevamo. Prigionieri di se stessi e dei propri errori.

Come Nacho ormai in balia delle trame di Gus, del suo carceriere (“D’ora in avanti tu sei mio”, 4×03). Se Mike è un padre che tradisce i valori del figlio, Nacho è il figlio che delude il genitore. Entrambi schiavi, entrambi prigionieri di una colpa verso le persone più care. Figli e padri. Nacho non accettava di vivere una vita grama, una vita di sudore priva di riconoscimenti. La sua corruzione morale, il suo desiderio di affermazione lo fanno sprofondare in una spirale senza ritorno. E ora, davanti al padre, è solo l’ombra stanca di un uomo. Fantoccio esanime e senza scelta.Better Call Saul

Ma prigioniera è anche Kim. Prigioniera, pure lei, di un compromesso morale. Nel suo caso è il sentimento per Jimmy ad averla spinta a venir meno ai propri valori. A tradire l’integerrimo amore per la Legge. Il senso di colpa verso se stessa (e verso Chuck) è tanto forte da cercare di espiare in tribunale i propri sbagli. Vuole redimersi ma, come spiega l’acuto giudice che la convoca in udienza privata, “Non troverà elementi utili alla causa ‘salvare l’avvocato in disgrazia’. Non creda di essere la prima che tenta di riscoprire il proprio amore per la legge nel mio tribunale. Non lo è”. Kim per ora non riesce a riscattarsi, a riconquistare integrità e credibilità verso se stessa.

Non può farlo perché nella sua vita, nel suo cuore c’è ancora Jimmy.

A ben vedere però, come abbiamo sottolineato già ampiamente nelle precedenti recensioni, la distanza tra i due si accentua sempre più. Nello scorso episodio la porta accostata in faccia a Jimmy aveva segnato un importante momento di questa progressiva separazione. Così come l’alternarsi nel letto matrimoniale che non vede mai Kim e Jim affiancati. Anche in questa puntata troviamo sdraiato soltanto il protagonista di Better Call Saul. Anche lui è un prigioniero. Schiavo della fiducia che Kim nutre nei suoi confronti.

Se per Mike e Nacho non c’è possibilità di tornare indietro, Jimmy pensa ancora di poter apparire l’uomo che, in realtà, non è.

Il lavoro inizialmente rifiutato e poi accettato dopo il dialogo con Kim esemplifica al meglio questo aspetto. Questa sua alternanza tra quello che vuole essere per sé e quello che vorrebbe essere per Kim. Jim è un uomo scisso, ancora vittima (ma per quanto?) delle aspettative degli altri. Lo era stato nei confronti del modello fraterno, di quell’ideale di integrità e smodato amore per la Legge, lo è ora nei confronti di Kim. Della sua bella che ha investito su di lui, che ha creduto nella bontà in fondo al suo cuore. Ma il lupo non può cambiare. Jimmy non può rinnegare la sua essenza da Saul.Better Call Saul

Così nel negozio di telefonia appare ingabbiato, insofferente prigioniero delle catene dell’amore. Si aggira per il negozio proprio come un animale in gabbia finché l’esplosione dei colori che caratterizzeranno il futuro Saul (qui un articolo sul simbolismo di questi colori) invade la sua mente. La trovata pubblicitaria diventa l’ennesima espressione dell’incontenibile carica da istrionico teleimbonitore che caratterizza la sua essenza più profonda. Saul è ancora conchiuso in un cerchio, vede il suo futuro da un oblò.

È prigioniero, come tutti i personaggi di Better Call Saul che si alternano sulla scena.

Vittime e carnefici, prigionieri e carcerieri di se stessi, schiavi di errori passati che si riverberano nel presente. Uomini attanagliati da un senso di colpa, da un ideale a cui non sono stati capaci di adeguarsi. Tutti, tranne Jim. Jimmy McGill non ha un ideale. Ha vissuto e vive conformandosi agli ideali degli altri. Jimmy non ha sensi di colpa. Ha sofferto e soffre per le angosce di altri (leggi: Kim più di Chuck). È in gabbia come tutti gli altri. Ma è l’unico che può uscirne. Perché, in fondo, in quella gabbia non accetta di starci. Non più.

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