Nero e blu. Due colori opposti, due visioni diverse di uno stesso mondo che tira dentro di sé tutti i personaggi di Better Call Saul. In questo cosmo, fatto di deserto e città, tribunali e incontri informali, inesausto girovagare, continuo nascondersi e improvviso riapparire nessuno è escluso. Così Gus si nasconde e si protegge da Lalo come Lalo fugge da lui mentre Kim teme il suo ritorno e Mike è costretto, col consueto “entusiasmo”, a diventare un contorsionista celato in una vecchia Toyota. Tutti devono farsi scarafaggi, devono, prima o poi, piegarsi alle leggi dell’adattamento perché nel mondo di Better Call Saul, in questo eterno deserto mascherato da oasi non hai altra scelta. “Una volta dentro, sei dentro“, rifletteva profeticamente Nacho rivolgendosi a Jim nella 5×03.
In questa terra, brulla e calda, aspra e mutevole in cui continuamente apparizioni e miraggi illudono tutti, non hai via d’uscita e sono solo due i possibili colori con cui proteggerti dall’arsura, dal sole violento che picchia e rischia di portarti alla pazzia. Questo dualismo cromatico pone a confronto e scontro il blu e il nero. Quale scelta compiere?
Quale colore scegliere per se stessi, quale parte interpretare?
Nero era il colore-rivelazione di Gus al termine dello scorso episodio. Allora, spogliatosi del falso abito giallo da fast food e del sorriso di facciata da tenere con clienti e vicininato, Gustavo riacquistava il suo vero tono: lo sguardo severo, criminale e preoccupato, l’abito nero in tinta unica. Quello è sempre stato il suo vero colore e sempre lo rimarrà, costanza cromatica in tutte le scene che lo vedranno protagonista di loschi affari e rapporti col cartello.
In questa 6×05 come nel precedente episodio una presenza invisibile aleggia nella stanza, incute timore e spaventa, nonostante non appaia mai. È quella di Lalo che ci sembra di vedere dietro ogni vicolo, pronto a sbucare fuori alla prima occasione buona, ad apparire come una visione tremenda e mortifera. Questo spettro inquieta e ossessiona anche Gus, lui che più di tutti desidera avere sempre il perfetto, assoluto controllo. Che sia per una penna poggiata in perfetta simmetria, o per la metodica pulizia della cucina di Los Pollos Hermanos rievocata dalla presenza del povero Lyle, il cui meticoloso lavoro nella 5×04 era considerato solo “acceptable” dal suo capo, Gus non lascia spazio al difetto. E l’ossessione si riattualizza pure in quel bagno lucidato a colpi di spazzolino sotto lo sguardo sempre più esasperato di Mike.
Gustavo ipercompensa la sua mancanza di certezze e di stabilità nella sicurezza di un ordine esteriore, di una metodica che diventa, sotto i colpi del sole del deserto e dei suoi miraggi e fantasmi, vera e propria mania. Ma quello spettro è sempre lì, pronto a inquietarlo e ad essere tanto più incombente quanto più ci appare assente. Così è anche per Kim che nel cuore della notte, di nuovo, come già in passato, torna ad aprire gli occhi immersa nell’acido giallo saturo di una luce artificiale e artificiosa che inonda la casa e che grida “deserto” da ogni poro. In questo sfondo cromatico lei risponde col suo colore, con quel blu del giusto che tiene per sé le proprie preoccupazioni ed evita di riversarle sull’amato compagno. A cosa gioverebbe confidare a Jim che Lalo è ancora vivo?
E allora bisogna rinunciare alla sedia contro la porta, così come Gus rinuncia a trincerarsi in casa.
Il fantasma non è lì: per un momento ognuno può tornare alla propria vita, abbandonare la preoccupazione nella consapevolezza che “Lui non può colpire, non ancora“. Dalla notte fredda del deserto, il giorno sorge nuovamente e gli spettri si dileguano assieme alle paure. Il blu torna a splendere nell’ammirazione di tutti nei confronti della Wexler. Nello sguardo fiero e orgoglioso di colleghi ed ex colleghi. Come nel caso di Viola, che si riflette in quel blu e trova certezze nello splendore cromatico della sua eroina: “Tu mi ridoni fiducia nella Legge“.
Ma il deserto inganna e lo fa tanto più di giorno quando tutti i colori sembrerebbero certi e la verità inoppugnabile. È così che, sferzati dall’afa, i raggi luminosi attraversano strati di aria diversa, soffiando dentro Kim, dentro i suoi tanti sbalzi di temperatura, i suoi infiniti indici di rifrazione, e producono un miraggio: ora è nera, ora è blu, a seconda del momento, a seconda dell’incontro della luce con uno di questi gradi di calore. Così dietro al miraggio dell’eroina Kim, la povera Viola non può cogliere il nero, la manipolazione perpetrata per carpire da lei il nome di un giudice.
È lo stesso miraggio, così blu, così reale, che aveva commosso Cliff Main nella 6×04, dissetatosi all’oasi della bontà di Kim (“Kim, io penso che tu sia sulla strada giusta“). Ma sempre dietro l’illusione della refrigerante tregua dal deserto si nasconde l’inganno. Kim è lì, rifratta ora nel blu ora nel nero, scissa su diversi gradi di temperatura che la portano ora a riflettere un colore ora l’altro, ora a desiderare il bene con casi pro bono, ora a inseguire l’amore per Jimmy in truffe e manipolazioni crudeli. Blu e nero, non blu o nero.
Kim torna sul balcone, torna a poggiare la birra sul bordo.
Era già avvenuto intorno al minuto 14 della 5×03 di Better Call Saul. Anche in quel caso la Wexler era scissa su due toni, quello freddo, acquatico, dei casi pro bono e l’altro caldo e asfissiante di Saul Goodman. Alla fine quella birra, costantemente oscillante sul margine di due colori, di due mondi, era stata scagliata a terra, pronta a rifrangere e infrangere il varco tra legalità e illegalità e restituire tutta la complessità cromatica di uno dei protagonisti più intriganti di Better Call Saul. Kim, ora, è ancora lì, in quella posizione liminare di chi si avventura in sortite sempre più lunghe nel cuore del deserto, tingendosi così, bruciata dal sole cocente, di un nero sempre più profondo.
Blu è Howard, il più blu dei personaggi di Better Call Saul. I suoi abiti, le cravatte, gli accessori: tutto è blu elettrico in lui, tutto trasmette legalità, onestà, rispetto ossequioso, perfino ridicolo, della Legge. Eppure, in questo episodio un raggio di sole ci colpisce negli occhi e con difficoltà riusciamo a distinguere la reale tinta del suo completo: è blu? Blu scuro? O è nero? All’inserto blu del fazzoletto e alla cravatta cerulea si affianca un abito ambiguo. C’è qualcosa che sta cambiando, è un miraggio quello all’orizzonte o un’apparizione reale?
Howard sta per intraprendere una strada pericolosa: ha deciso di dichiarare guerra a Saul. Hamlin cambia identità, diventa lui stesso parodia di sé, copia ridicola che si dà nome Mr. H. O. Ward, concretizzazione angosciante e stridente di quella maschera che già Jimmy aveva messo in scena nel precedente episodio di Better Call Saul.
Davanti a noi quasi fosse un altro inquieto spettro, una visione assurda, sembra ricomparire Chuck, il fratello di Jimmy.
Anche lui, come si appresta a fare Howard, si era abbassato al livello di Jimmy. Era sceso sul ring e si era messo a rispondere colpo su colpo, ricorrendo a mezzucci e informatori dalla scarsa utilità. Nel momento in cui questi uomini abbandonano la Legge e si mettono sul piano di Jimmy, il loro esito è già segnato: sul terreno di Saul, nel deserto degli inganni e delle illusioni il loro abito blu diventa inutile e tingersi di scuro non significa diventare davvero neri. Su quest’arena l’esperto, smaliziato, geniale saltimbanco del deserto, Saul Goodman, ha vita facile. E così per Howard sembra davvero essere l’inizio della fine, svuotato del suo colore e perso nella notte senza fondo dell’immorale immaturità.
Di blu si è mascherato Lalo, che da spettro evocato, riappare lontano molte miglia, in quella terra al di là del deserto che porta in dote con sé segreti e prove. Blu ci appare la sua dolce convivialità, la calma, gentile serenità con cui ammalia la vedova di Ziegler Werner, quell’ingegnere che sopraffatto dall’amore aveva abbandonato il lavoro al laboratorio di Fring andando incontro alla morte. Ma Lalo non è blu. E quando il sole smette di rifrangere quel colore apparente, fatto di sorrisi e cordialità, di nuovo prorompe il nero di chi ha un unico obiettivo: rovinare Gustavo Fring.
Anche la reticenza ad uccidere la donna, improvvisamente tornata in casa dal lavoro, non deve ingannarvi. Non lasciate che il deserto vi ammalii: non è per scrupolo umano che Lalo risparmia la vedova Werner ma per pura utilità pratica. Ucciderla avrebbe voluto dire segnalare la sua presenza, lanciare un segnale d’allarme a Mike e Gus ai quali l’omicidio non sarebbe certo passato inosservato.
Così nel deserto di Better Call Saul non è blu o nero ma è blu e nero.
Due colori tanto inconciliabili quanto indissolubili, rifrazioni diversi di comportamenti ora apparenti, ora reali. Non esiste, ora men che mai, un personaggio che tra i protagonisti possa ammantarsi di blu, neanche Howard può più. Tutti indossano i due colori ma solo chi saprà interpretarli meglio, mostrarsi, ancora una volta, adatto al deserto, andrà avanti. Tutti scendono a patti con se stessi, entrano nel deserto e trovano quel compromesso morale che è il vero reato di Better Call Saul, la colpa che accomuna tutti i protagonisti: l’essere contraddittoriamente, inevitabilmente, umanamente nero e blu.
Curiosità: avete notato che Gus si astrae come se avesse presagito qualcosa nel momento in cui sta prendendo l’ordine da un cliente di Los Pollos Hermanos? Bene, la spiegazione la potete trovare nelle parole stesse di Fring che afferma: “Posso darLe un consiglio? Le nostre spice curls piccanti della casa”. Vi dice niente? Si tratta di una novità introdotta nel menù di Los Pollos Hermanos e presentata qualche tempo prima dallo stesso Gustavo Fring, nell’episodio 5×07, durante l’incontro tra tutte le aziende che rientrano nel conglomerato della Madrigal fissato per aggiornarsi sui resoconti delle vendite. In quella stessa giornata Gus avrebbe discusso, in privata sede, con Lydia e Peter Schuler proprio del destino di Lalo e del laboratorio di meth. Ecco quindi l’illuminazione: Gustavo ha intuito che Lalo è sulle tracce del laboratorio.