Ma l’uomo non è fatto per la sconfitta, un uomo può essere distrutto ma non sconfitto.
È “l’ora d’oro”: il sole scende stanco, calando dolcemente dall’alto. La luce buca il cielo, taglia da un angolo più basso quel cielo. Il blu dell’atmosfera viene perforato dal rosso intenso: il sole si mescola al cielo, il blu al rosso. L’uno ammorbidisce l’altro, lo rende dorato, tra il giallo e il bruno, mentre il pomeriggio sornione scorre impassibile. È “l’ora d’oro” e il mare si gonfia e si rilassa, avanza e arretra, quel mare blu che incontra l’ocra della sabbia, bruciata dal sole, dal sale, dall’acqua salmastra che la scurisce e appesantisce. Blu e giallo, si incontrano e scontrano, si sommano, si affiancano. Quel blu e quel giallo, in questa meravigliosa 6×08 di Better Call Saul sono Lalo e Howard.
Non c’è più distanza, l’uno accanto all’altro, l’uno sopra all’altro, l’uno con l’altro. Nella morte. Il blu della cravatta di Howard ci ricorda di un mare che per troppo tempo è stato mosso, turbato da tempeste che hanno travolto un uomo buono, un uomo onesto pur con tutti i difetti di un carattere salmastro che ingannava e allontanava gli altri. Quel tumulto marino non c’è più: un ultimo acuto nella scorsa puntata di Better Call Saul prima di lasciare spazio alla quiete mortifera, alla pace finale che più che una sconfitta appare una distruzione completa.
Cosa rimane di Howard, cosa rimane del blu?
Un ricordo infangato, una reputazione cancellata, un uomo svuotato di tutto e costretto a condividere, anche nella morte, quella sabbia infestante e malevola che gli ha tolto la vita. Il mare e la sabbia, uno accanto all’altro, intrecciati per l’eternità. Howard e Lalo. Better Call Saul ci ricorda che non esiste blu senza giallo, che, anzi, non esiste blu se non vicino al giallo, in mezzo al giallo. Non c’è spazio per la giustizia, per il merito, per il riconoscimento di una vita blu.
Howard a differenza di Jim nella prima stagione, inseguendo i Kettleman, e di Kim nella scorsa puntata, sull’erba, non si toglie le scarpe, non rinuncia cioè a se stesso, alla sua impeccabile mise. No, quelle scarpe gli sono levate da altri, strappate insieme con la dignità. È privato anche della fede nuziale, dell’estremo atto di resistenza, della speranza che continuava ad indossare, deciso a rimediare, a ricomporre i pezzi di una vita familiare, matrimoniale, distrutta.
Rinfrange le sue onde il mare nella calma della morte e trascina avanti e indietro, in un andirivieni compassato e inerte, le scarpe, l’identità, cioè, di un uomo che fu. Quella placidezza è anche l’imperturbabilità di Lalo, di un killer senza sentimenti che vive la sua mostruosa quotidianità con ordinarietà e indifferenza. Per lui un’onda è un colpo di pistola, la vita soltanto una scarpa vuota da trascinare esanime. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Morte dopo morte. Ride anche nel finale, Lalo, ride consapevole che in quel gioco può essere distrutto, non sconfitto. Consapevole che il mare continuerà a mescolarsi alla sabbia e che dopo di lui ci sarà qualcun altro con altre onde, esplosioni, vendette a prendere il suo posto.
Nel mondo di Better Call Saul e Breaking Bad all’onda segue sempre una nuova onda, a un criminale uno nuovo, in un ciclo infinito e inarrestabile di morte e sopraffazione.
Così come Lalo muore sul punto di uccidere Gus a opere di Gustavo stesso, così Gus morirà nell’intento di uccidere un altro Salamanca, chiudendo un cerchio eterno di dannazione. Così avverrà anche a Jack davanti a Walt e a ogni criminale infestante il mondo vizioso di questi due capolavori seriali.
Il mare dorato dal pomeriggio calma il suo impeto, diventa metodico, ossessivamente puntuale nell’andirivieni. Avanti e indietro, avanti e indietro. Non è solo la calma di Lalo ma anche di Gus che bucato dalle ferite di un colpo d’onda discorre placido con Lyle sulla gestione di Los Pollos Hermanos. Anche per lui quello che è accaduto non è altro che quotidiana assurdità. La regola, in un mondo criminale. Lo sa bene, naturalmente, Mike che si è sempre cullato nella pazienza di un mare che non smette mai di consumare la sabbia e che anche in questa 6×08 di Better Call Saul conferma l’imperturbabilità che lo contraddistingue. Avanti e indietro. Ci accorgiamo di qualcosa però.
In lui la tonalità di sole non è quella del meriggio, e neanche del primo pomeriggio. Nel suo sguardo, per un istante, per un attimo, vediamo la compassione stanca ma reale di un blu che è il residuo di uno scrupolo morale soffocato sotto tante false promesse fatte a se stesso, sotto tanti compromessi che non possono liberarlo più. A lui è affidata l’estrema unzione di Howard, è affidata al suo sguardo caritatevole, quello sguardo che per un secondo rivolge alla vittima prima di lasciarla finire a concimare e infestare le fondamenta di quel laboratorio che tanto orrore ancora avrebbe dovuto produrre.
La luce cambia in questa 6×08 di Better Call Saul.
L’ora del giorno passa dal rosso fuoco di Lalo, un automa più che un uomo nella sua impassibile crudeltà, alle prime ore del pomeriggio con Gus che mantiene in sé, nell’attenzione che dedica a Los Pollos Hermanos, il ricordo dell’amico morto (Max) con il quale aveva avuto l’idea di fondare la catena di fast food. E scorre la giornata declinando al pomeriggio con Mike, con il suo amore per la nipote e il ricordo di un figlio migliore di lui. Ma ecco che il sole si abbassa, che i raggi si fanno più penetranti seppur meno diretti e si annacquano nella luce blu dell’atmosfera, anche se di poco.
Ecco il dorato Jim, l’ocra, desertico protagonista di Better Call Saul, che non si spinge così oltre da uccidere e non è così criminale da non rimanere sconvolto di fronte alla semplice immediatezza con cui la vita di Howard è stata recisa. Per lui il rosso del deserto, della sabbia, del mare pur trascinando via le sue scarpe, la sua vecchia identità e mettendone in mostra l’arrembante, dionisiaca, ingannevole vitalità della nuova non è così intenso come gli altri, è appena un gradino sotto.
Anche in Saul, però, il mare mantiene la calma del pomeriggio, lo fa in quel sangue freddo che la situazione non ammetterebbe. La morte di Howard, lo stato, evidente, di shock, non gli impedisce di rimanere lo scarafaggio furbo e resistente di sempre. La sua idea per salvare Kim è quella di un freddo calcolatore che nel momento di massimo pericolo sa come affrontare la situazione. “Sit“, “seduto“, come a un cane, gli ordina Lalo. “Sit” ripeterà Mike, predicando quella calma che è propria del mare del pomeriggio. E Saul si siede, riflette, agisce.
Non lo fa invece Kim, sconvolta dall’orrore, divorata da una situazione più grande di lei.
Eppure, se guardiamo il sole, ci sembra che quella palla rossastra non abbia cambiato posizione. Non è il tramonto arancio che lascia spazio alla notte, al bianco e nero di una non-vita. No, quel sole è ancora alto. Che ora è del giorno? Che ora è per Kim? Non siamo in grado di dirlo mentre la vediamo lasciar andar via la polizia e ripensiamo alle parole del padre di Nacho (“Abbiamo parlato di questo tante volte. Sai cosa devi fare: vai alla polizia“). Come Nacho anche Kim non può farlo, non più. Per lei, forse, non c’è più ritorno.
E d’improvviso allora il sole sembra quasi tornare indietro, il tempo riavvolgersi, la giornata rischiararsi, il caldo inasprirsi per i raggi cocenti, quando Kim si avvicina alla casa, attende che si apra la porta ed è pronta a sparare. Pronta ad arrivare là dove Saul non è in grado di arrivare. Lei che ha la tempra di ferro, come le ricordava Mike qualche puntata fa e come ci ricorda il nuovo frigorifero di casa Goodman, stainless, inossidabile, appunto. Con un voluto parallelismo il point of view ci richiama un’altra scena celebre, un altro momento iconico: quello di Jesse davanti alla porta di Gale, davanti alla decisione che avrebbe potuto comprometterlo per sempre e che per sempre lo lascerà un po’ morto dentro.
Jesse e Kim, sono loro i colpevoli-non colpevoli, gli unici, forse, che meritano una via d’uscita, una redenzione da un mondo criminale, desertico, che li ha sopraffatti. In entrambi c’è il germe della delinquenza, nei piccoli compromessi e nei reati minori commessi, eppure il loro sole sembra essere diverso, sembra vivere di una morale, seppur soffocata, più intensa. Non soltanto si identificano con il mare ma sono anche trascinati da quel mare, soverchiati come una scarpa vuota sospinta dalle onde.
Vittime e carnefici insieme, mare e scarpe, in una commistione mortifera.
Dovrà correre Kim, dovrà fuggire da quel mondo ma soprattutto dovrà dimostrare di volerlo come l’ha voluto Jesse. Finora l’amore di Jimmy ha prevalso su tutto, un rapporto più intenso e profondo di quanto potesse essere quello tra Walt e Jesse e forse, per questo, fatale per lei. Accetterà di essere sconfitta nella sua morale per non essere distrutta, per non perdere l’amore di Jimmy?
Guardiamo in alto, guardiamo il cielo di Better Call Saul in cerca del sole. Proviamo a tracciare una linea per terra, un’ombra sulla sabbia. Che ora è? Là, più in basso, il mare calmo consuma nei millenni la roccia, la tramuta in sabbia, si mescola a lei. Testardo e ossessivo. Sentiamo il suo scrosciare, ci uniamo a quello scrosciare e consumiamo la sabbia. Ecco là una scarpa con cui il mare gioca indifferente. È l’ombra di un uomo, l’unico residuo esanime dalla distruzione, il lascito finale. Ci chiediamo se davvero è questo tutto ciò che rimane mentre chiudiamo gli occhi e il mare continua, calmo, a gonfiarsi e sgonfiarsi. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro.