Finalmente, il 5 ottobre è uscita la seconda stagione di Big Mouth. Partiamo da un assunto generale: la seconda stagione di una serie tv è sempre la più difficile da gestire e da produrre. Anzi il qualsiasi campo, la seconda opera è il turning point nella carriera di un artista. Questo perché con un secondo capitolo decidi di dare un senso al tuo lavoro, definendo il tragitto e quindi la meta. Ecco perché spesso si tratta di un terno a lotto.
Con le serie tv forse è anche peggio: la seconda stagione deve essere coerente con la storia ma innovativa e, soprattutto, migliore (o quantomeno allo stesso livello) della precedente. Nel caso in cui sia sottotono, allora è meglio buttare tutto nel cesso e darsi all’ippica.
C’è chi riesce in quest’intento e chi fallisce miseramente. Voglio arrivare subito al nocciolo della questione: la seconda stagione di Big Mouth ha funzionato perfettamente. Gli autori sono stati capaci di innovare la trama, staccandosi dall’universo più infantile e semplicistico della stagione precedente senza però ucciderne lo spirito. Cresce e diventa più adulta, come i nostri protagonisti.
Andiamo con ordine. Su Big Mouth c’è poco da dire: è bella così, solo perché esiste. Quell’ironia irriverente e sprezzante un po’ mi era mancata: così ho visto tutta la stagione in una giornata.
Come detto, ciò che colpisce di più è la capacità di reinventarsi con coerenza. Si continua con il tema della pubertà, scomodo e brutale, i personaggi sono sempre gli stessi ma sono le dinamiche a essere cambiate. È tutto meno innocente e più malizioso.
La trama sembra concentrarsi più su Nick che finalmente entra nel magico universo puberale. Ma non ci sono solo Andrew, Jessi e Jay a essere con lui nell’occhio del ciclone. Il dramma della preadolescenza, infatti, si espande e tutta la scuola diventa protagonista di atti più o meno lodevoli. Tutti sono ufficialmente protagonisti del marasma ormonale e ciascun personaggio – che nella stagione precedente era solo una comparsa – ne guadagna in spessore.
Oltre ai vecchi personaggi “rivisitati” abbiamo una new entry: lo Spirito della Vergogna. Inutile a dirsi, lo adoro. È un personaggio geniale e totalmente realistico. Rappresenta le turbe di tutti adolescenti e non, da prima che i dinosauri diventassero combustibili fossili.
La sua presenza, che incombe su ciascuno dei giovani protagonisti e su di noi, è fondamentale per gli spunti di riflessione a cui punta la serie. In primis quanto il senso di mortificazione o disagio possa influenzare l’essere umano nelle sue azioni. In questo senso, la seconda stagione di Big Mouth è più svergognata, sboccata e sfacciata. Arriva a toccare temi più “scottanti” quali la masturbazione femminile e di conseguenza l’orgasmo femminile (che esiste), le droghe leggere, le prime volte.
Descrive quel perfetto spaccato di vita in cui hai così tanti stimoli esterni da esserne sopraffatto. In cui il positivo via via svanisce per lasciare spazio al negativo. In questo senso Big Mouth si incupisce: mette in luce le difficoltà familiari, in modo sincero e sprezzante, e soprattutto le conseguenze che queste possono avere, come la depressione. La semplicità con cui ci pone davanti argomenti di questa portata è disarmante: li rende terreni, fruibili a tutti (o quasi), ma non ne fa un’analisi spicciola.
Se la prima stagione mi ha lasciato piacevolmente sorpresa e incantata, Big Mouth con la seconda si guadagna un posto d’onore. Questo grazie all’ironia che è andata ad assottigliarsi lasciando spazio ad amare riflessioni, trasformando i personaggi da piatti in tridimensionali. Questa stagione segue perfettamente la crescita dei protagonisti, diventando più cupa per ragioni di realismo. A questo punto non mi resta che dire: ci aspettiamo una terza stagione.