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Billions 6×05/6×06 – La leggenda della metro dei desideri

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 6×05 e la 6×06 di Billions

Non è mai stato semplice distinguere i buoni dai cattivi, in Billions. Difficile, perché il confine è sempre stato sottile al punto da rendere superflua la demarcazione e vanificare ogni possibile catalogazione in ogni possibile campo. Non eroi, ma antieroi. Non buoni, non cattivi, ma vanitosi soggetti in bilico tra quel che è legale e quel che non lo è. Non solo, perché il confine stabilito dalla legge sembra essere ormai superato, e le regole della presunta moralità paiono dominare lo spazio imposto dai personalismi. È stato così nelle cinque stagioni caratterizzate dal dualismo tra Chuck Rhoades e Bobby Axelrod. Ed è così anche nella sesta ora in programmazione, tra il narcisismo di un procuratore alla ricerca di un nuovo scopo e la new way tracciata da un riccone ancora enigmatico.

Se si parla si Billions, la legge non è più in grado di stabilire cos’è giusto, cosa non lo è e cosa lo è abbastanza da evitare problemi. Non se la rotta intrapresa da Chuck si inerpica nell’ennesimo cavillo pur di mettere al tappeto l’avversario di turno. Non se Mike Prince si traveste da principe generoso per un tornaconto personale. Non se il populista e il filantropo si travestono da agnelli per poi avere in testa chissà cosa. Non se l’area di gioco è sempre più grigia e azzera ogni tonalità di bianco o nero. Allora non resta altro che affrontare la questione attraverso una prospettiva meno teorica e un po’ più pratica: siamo disposti ad avvantaggiare un miliardario e renderlo ancora più ricco, se tutti abbiamo da guadagnarci? Le Olimpiadi del Principe rappresentano un buon prezzo da pagare per la città di New York e un governatore vanitoso, se in cambio ci si ritrova col wi-fi gratuito per tutti e un nuovo parco mezzi per la vetusta linea metropolitana della Grande Mela?

Non spetta a noi rispondere e Billions per prima si pone il problema per poi non offrire una soluzione. Finisce con l’interessarci meno, se si ricorda che qui si parla di fragili persone ancor più che di fragile finanza. Succede allora che il quinto e il sesto episodio della sesta stagione di Billions passino in rassegna con gli stessi interrogativi delle precedenti quattro e i medesimi dubbi. Ormai giunti al midseason, non abbiamo ancora capito cosa voglia davvero l’erede di Bobby e se rappresenti davvero la sua nemesi o una sua copia sbiadita. Ma non abbiamo manco capito se la legge di Chuck si interessi realmente alle esigenze collettive oppure non serva ad altro che all’appagamento del suo insanabile narcisismo. In questo senso, non abbiamo ancora mezza certezza. Ma il pattern della stagione è ormai chiaro: solo alla fine capiremo quanto un’altra finanza, eticamente sostenibile, sia davvero possibile. Mentre il percorso a tappe è finalizzato alla costruzione e la definizione di una faida tra i due protagonisti. Se da una parte, quella di Chuck, l’esigenza sembra essere persino esasperante, il grido d’aiuto dell’orfano di mille battaglie, dall’altra Prince pare voler evitare a ogni costo un contrasto sempre più imminente.

Come succede da sempre nella narrativa di Billions, al trionfo di uno corrisponde la caduta dell’altro, in una perfetta alternanza che solo alla fine troverà una parziale risoluzione. Allo smacco subito da Chuck nella partita a scacchi che l’ha portato a perdere la sua regina (ne abbiamo parlato nella recensione del terzo e il quarto episodio), si sovrappongono quindi i due miliardi spesi “pro bono” da Mike e l’inserimento di un cavallo di Troia nella sua Prince List (l’università, da lui inseguita e ora finita tra le mani dell’avversario). Passaggi di una guerra non ancora esplosa sul serio, alimentata dall’astio crescente costruito (non senza forzature) dagli autori alla disperata ricerca di un dualismo che faccia da motore della trama.

Intanto, tra una dimenticabile puntata interlocutoria (la quinta) e il solido intreccio della sesta, Billions si apre a una nuova prospettiva, tanto auspicata dai più. Il dialogo finale tra Prince e il fido collaboratore Scooter delinea infatti una potenziale exit strategy che potrebbe portare al ritorno in scena del tanto rimpianto Axe: in una conversazione manco tanto criptica, i due fanno capire di avere l’intenzione di portare avanti dei piani di vita alternativi, con la possibilità di affidare in futuro l’azienda al nipote di Scooter, il neoentrato Philip Charyn. Questo potrebbe significare un’infinità di cose e potrebbe anche finire con un buco nell’acqua, ma il notevole minutaggio dedicato a un nuovo personaggio per ora non molto incisivo potrebbe anche rappresentare il viatico per un ritorno a fine stagione di Axe, l’addio di Prince e l’ascesa di Philip (ci si augura, con una caratterizzazione più efficace).

Billions, d’altronde, continua a funzionare tra le mille difficoltà, ma il rinnovo già ottenuto per la settima stagione fa pensare che qualcosa d’importante bolla in pentola e le garanzie per il futuro siano più importanti di quanto si pensi. Presto per sbilanciarsi al punto da trasformare una suggestione in un’ipotesi concreta, ma non abbiamo dubbi sul fatto che la serie stia facendo il possibile per colmare il vuoto lasciato da Damian Lewis e non stia tuttavia riuscendo fino in fondo nell’intento: al di là del carisma del personaggio e dell’attore, il suo addio non penalizza Billions solo in sé e per sé, ma ha anche lasciato a spasso una buona percentuale di coprotagonisti, ora coinvolti in storyline balbettanti e troppo spesso poco convincenti. Per intenderci: che fine ha fatto la magnetica Wendy delle prime stagioni, ora costretta a interagire con un santone per giustificare l’importante minutaggio? E Wags? Per non parlare di Taylor, già in difficoltà negli anni precedenti.

Ci fermiamo qui anche se la lista sarebbe ancora più lunga. Ed è evidente che tanti personaggi non brillassero della luce riflessa del protagonista, ma che beneficassero comunque in modo decisivo della sua presenza. Mike Prince, d’altronde, è un ottimo personaggio e sarebbe stato perfetto nella parte da terzo incomodo che aveva già interpretato alla grande nella quinta stagione, ma non è e non sarà mai Bobby Axelrod. Di conseguenza, Chuck senza Bob non è il Chuck delle prime stagioni e Billions non è più Billions. Non certo un disastro perché continua a essere una delle migliori serie tv in circolazione, ma non la genialata che in passato aveva rasentato più volte il concetto di “capolavoro”. Diamo comunque tempo al tempo: un midseason non può che portare a valutazioni parziali ancora distanti da giudizi perentori e definitivi, ma non possiamo negare di non essere al momento soddisfatti fino in fondo. La nostra metro dei desideri porta dritta in Svizzera. E non perché abbiamo delle Olimpiadi in testa.

Antonio Casu

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