Nella giornata di venerdì 12 maggio, su Netflix è sbarcata una nuova e assai attesa serie tv: parliamo di Black Knight, un k-drama di genere scifi e post apocalittico che si basa su un apprezzatissimo, webcomic di Lee Yoon-kyun intitolato Taekbaegisa. Portando in scena un mondo devastato da un cataclisma con chiari rimandi a pellicole care al filone come Mad Max, Conan il Barbaro, ma anche al film e alla serie di Snow Piercer, Black Knight è un prodotto seriale molto ambizioso su cui Netflix sembra aver puntato e investito davvero molto, a rimarcare come, dopo il grande successo di molte serie coreane, da Squid Game in primis fino ad arrivare a alla più recente The Glory, il pubblico di tutto il globo sia sempre più predisposto a lasciarsi affascinare da questa nuova wave del mondo dell’intrattenimento. Ma anche stavolta il gioco sarà valso la candela? Per scoprirlo restate con noi e con la nostra analisi.
Attenzione: la seguente recensione conterrà spoiler in merito alla prima stagione di Black Knight, siete stati avvisati!
Composta da sei episodi della durata variabile tra i 45 ai 60 minuti, questa nuova serie Netflix scritta e diretta da Cho Ui-seok si presenta come un prodotto che attinge a molti topoi della narrazione distopica e post apocalittica: un mondo allo scatafascio in cui per sopravvivere si deve lottare per qualsiasi cosa, anche l’aria da respirare, un’ingiusta suddivisione della popolazione su base classista e degli eroi pronti ad accendere la scintilla della rivolta contro il grande nemico. Quarant’anni prima dei fatti narrati (2071), infatti, un asteroide ha portato un’immane devastazione sulla Terra e, in particolare, della Corea non è rimasto altro che lande desertiche dove la popolazione sopravvissuta alla calamità, corrispondente al solo 1%, soffre una grave carenza di ossigeno dovuta alle polveri sottili.
A risolvere questo problema sono dei particolari corrieri, ammirati per le loro imprese e per questo detti anche “cavalieri“, tra cui spicca l’eroico 5-8. La società, infatti, divisa da un particolare QR Code tra persone agiate e privilegiate e rifugiati che si devono accontentare delle briciole, è sull’orlo del baratro: mentre il Gruppo Cheon-myeong, che controlla tutte le risorse disponibili, si prepara ad aprire un nuovo e più avanzato distretto che ospiti anche i più sfortunati, qualcuno infatti trama nell’ombra seminando morte.
Presupposti che accomunano molte storie ma che, in passato, sono riusciti a raccontare in modo epico tante vicende. Black Knight sarà dunque riuscita a ottenere il medesimo risultato? La nostra opinione è che questo k-drama sia riuscito a convincerci solo in parte: da un lato è infatti innegabile lo sforzo produttivo dietro a questa serie, ma non tutto funziona come avremmo voluto. Se infatti non possiamo che rimanere abbastanza colpiti dai maestosi paesaggi, dai suoi buoni effetti speciali (curati dall’ottimo team di effetti visivi coreano VFX Studio Westworld) e dalle scenografie e costumi curati nel dettaglio, non siamo riusciti a rimanere incantati allo stesso modo dalla storia di fondo che, seppur ben recitata e senza particolari scivoloni, è sicuramente qualcosa di già visto e che non riserva troppe sorprese né forti emozioni.
Attenzione, con questo non vogliamo dire che Black Knight sia una serie senza mordente ma che, seppur abbastanza godibile nella propria semplicità, non riesce a brillare particolarmente nel panorama seriale.
Certo, è innegabile come la serie sia riuscita a catturarci dal punti di vista visivo mentre tratteggia due mondi antitetici, dai desertici paesaggi alla Mad Max di una Seul devastata fino alle futuristiche ambientazioni dei distretti più agiati e le sedi della Cheon-myeong, tuttavia, lo stesso non si può dire della scrittura della serie, molto spesso incapace di tenere un ritmo equilibrato (soprattutto nella seconda parte della serie) che crei pathos e attaccamento nei confronti dei personaggi da parte dello spettatore. Anche se la serie non manca certo di azione, tra combattimenti ben studiati, coreografati e diretti, la nostra impressione è che la storia, per come è stata impostata, avrebbe potuto dare molto di più, sia dal punto di vista della trama che dei protagonisti.
Quello che, a parer nostro, sembra mancare a Black Knight è la profondità: nonostante buone performance attoriale e il tentativo di denunciare le ingiustizie di una società classista (argomento al centro di tantissimi prodotti coreani, da Parasite a Squid Game), la serie ci parla di questo argomento in maniera molto spesso superficiale e didascalica ricorrendo continuamente a dialoghi e a “spiegoni“, non sufficienti comunque a far comprendere fino in fondo allo spettatore le logiche di queste divisioni sociali e il loro funzionamento. Perfino interessanti spunti, seppur tipici di molte storie a sfondo scifi/distopico, come quello della mutazione risultano essere temi poco sfruttati dalla trama e su cui si sarebbe potuto insistere di più, dato che è proprio coi rapimenti per ottenere il sangue dei figli delle miniere (con cui trovare una cura alla sua malattia) che il villain fa partire la trama.
Nonostante la sempre efficace dinamica allievo-mentore, inoltre, nemmeno i due principali personaggi riescono a convincere fino in fondo.
Se da un lato il giovane Sa-wol inizialmente ci riesce a conquistare con la sua spiccata personalità (seppur condivisa con tantissimi protagonisti degli shonen), egli finisce poi per perdersi in parte quando inizia il suo percorso di addestramento per diventare corriere, affrontando prove di combattimento alla battle royale. D’altra parte, il fascinoso 5-8 interpretato dall’ex modello Kim Woo Bin, rimane caratterizzato in maniera molto superficiale, secondo lo stereotipo dell’eroe eroe senza macchia e senza paura, tutto d’un pezzo, perfetto in tutto ciò che fa, se non sul finale, quando ammette di tenere molto al suo giovane apprendista. Ma a mancare di profondità sono anche i due principali rappresentanti del Cheon-myeung, dal CEO fondatore dell’azienda fino a suo figlio Ryu Seok, villain della serie determinato a distruggere completamente la classe di rifugiati, inquinando l’aria e arrivando a pianificare uno sterminio di massa per ottenere quella che lui reputa una società migliore.
Tra buoni spunti, debitori a tanti prodotti che lo hanno preceduto, una buona regia e ottime sequenze d’azione, Black Knight trova il proprio maggiore punto debole in una sceneggiatura che vorrebbe dire tanto ma che, a causa di un ristretto numero di episodi e una superficialità che non scava a fondo negli interessanti aspetti che va a proporre, non arriva al massimo delle sue potenzialità. Nonostante i suoi difetti, però, siamo abbastanza convinti che Black Knight potrebbe rivelarsi un piccolo successo per Netflix e arrivare a sperare in una seconda stagione, magari incentrata sulle avventura da corriere di Sa-wol. Data la volubilità della piattaforma, che ogni giorno cancella nuovi prodotti, nulla è però scritto su pietra. Staremo a vedere!