Ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 5×14 di Breaking Bad.
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano
Cade senza vita, cade a terra Silvia-speranza in uno dei più intensi canti leopardiani. È il tempo della catastrofe, la morte di quell’illusione che aveva accompagnato la speranza. Muore Silvia e con lei la speranza, con un verbo, “cadesti”, che nel suo passato remoto esprime il tempo dell’irreversibile, del compiuto, di tutto ciò che non si può riavvolgere. Hank in questa meravigliosa 5×14 di Breaking Bad prova a farlo capire a Walt. Prova a dirgli che il futuro è già passato e ora non resta che il passato remoto di chi ha già preso la sua decisione. “Sei l’uomo più intelligente che conosca, eppure sei così stupido. Lui ha deciso dieci minuti fa“.
Walt prova a opporsi, prova a nutrirsi ancora della folle, irreale speranza che si possa contrattare. Vive nella fase del patteggiamento per un lutto che sa già di dover affrontare. Ma le illusioni d’improvviso cadono, il verbo diventa il passato remoto e ciò che resta è solo una tomba ignuda, una fossa comune nella quale i corpi di Hank e Steve Gomez giacciono nel freddo abbraccio della morte. Walt vede entrambi, d’improvviso: coglie quel verbo che segna il compiuto, vede arrivare un proiettile che era già partito dieci minuti prima. E con Hank cade anche lui. Cadesti. Faccia a terra, nella sabbia di un deserto senza vita, arido come arido è lui, un Ozymandias che precipita nell’oblio ora che il suo impero del fango è crollato. “Mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte, // E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità“, come recitano i versi di Percy Shelley.
La speranza, l’illusione nutrita per anni, l’idea di un potere che sembrava eterno, immenso e devastante è svanito nel pulviscolo dell’aria afosa del deserto.
Una mano indica qualcosa a Walt e lui, controvoglia, guarda. È la mano senza vita di Silvia in Leopardi, è lo sparo brutale, fulmineo, che brucia anche le parole che stava per pronunciare Hank. Walt guarda quella mano e vede la fredda morte e la tomba ignuda. Sono là vicinissime a lui eppure ancora lontane. Perché lui è condannato alla vita, è condannato a gridare senza voce, a rendersi conto d’improvviso di quanto illusorie fossero le sue convinzioni di grandezza. Questa la sorte dell’umane genti?, sorpreso, sbigottito, pensa tra sé Leopardi, strappato all’idea di felicità vagheggiata appena nel volto della sua Silvia.
Lo specchio si incrina e si frantuma, il velo cade e tutto ciò che rimane è un uomo di fronte alla sua mortalità e piccolezza, schiacciato dal tempo, da quella Natura matrigna che si disinteressa alla sua misera, breve esistenza. Walt come Ozymandias si era gonfiato il petto, aveva eretto una monumentale, invisibile statua alla sua potenza, facendovi incidere sopra un motto: “Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re, Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!“. Ma ecco che nella 5×12 di Breaking Bad, di colpo, l’impero crolla, la statua è a terra, il volto affonda nella sabbia, lo sguardo un tempo portatore di fredda autorità si fa sconvolto all’apparir del vero.
Null’altro rimane. Intorno alle rovine // Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate, // Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine. Vince Gilligan si sofferma sul deserto, sul vuoto straziante di un nulla cosmico in cui tutto ciò che un tempo è stato ora non è più. Laddove era il caravan, dove si agitavano tra scherzi e lazzi Walt e Jesse ora è il nulla, morto e arido niente. Là dove stava Hank, anche lui a terra, contratto di fronte all’apparir del vero, ora c’è solo sabbia. Walt si sofferma a scrutare quel punto, quello spazio che appena pochi attimi prima era stato occupato da un battagliero, orgoglioso Hank Schrader. Tutto è andato, finito. “Anche peria fra poco // La speranza mia dolce” diventa “Tu, misera, cadesti“, l’imperfetto dell’illusione che ci sia ancora una possibilità, che la cosa si stia compiendo ma non sia ancora inappellabile, si trasforma nel passato remoto del definitivo.
Ma Walt quella domanda tremenda, quella realizzazione totale della caducità degli imperi nonostante sia di fronte a lui, non sembra poterla ancora accogliere.
E allora monta la rabbia, nell’impossibilità di accettare che il colpevole, la causa di tutto sia proprio lui. No, la colpa non può essere sua, è di qualcun altro, deve esserlo. E quel qualcuno prende forma e aspetto di Jesse Pinkman, del ragazzo che più di ogni altro è stato strumento e capro espiatorio e che più di ogni altro avrebbe meritato e meriterà, come poi ci mostrerà El Camino e lo stesso finale di Breaking Bad, una redenzione. Ma per ora è ancora l’agnello sacrificale di un uomo che non può accettare -e non accetterà mai- l’orrore da lui prodotto.
Walter lo consegna nelle mani di Jack e Todd, avvallandone e anzi esigendo la sua fucilazione. Senza pietà, senza turbamento negli occhi. Perché l’unica Silvia di Walt, il suo solo conforto, la speranza alimentata, l’illusione di felicità è la meth, la sua baby blue. Tutto quello che ha fatto lo ha fatto per se stesso, come dirà nel finale di Breaking Bad. Per il piacere di farlo, di sentirsi potente. Quella stessa potenza che ha provato nel decidere della vita di Jane guardandola soffocare e ora nel condannare Jesse alla morte. Un sadismo ancor più violento perché accentuato dalla confessione della sua colpa a Jesse, sicuro adesso che la sua Jane poteva essere salvata.
Walt ha il volto a terra come Ozymandias ma quelle parole incise sulla base della sua statua le porta ancora con sé, la speranza non è ancora del tutto svanita. Come un novello Sisifo, trascina il suo masso, un badile con undici milioni di dollari, senza neanche rendersi conto che questa è la sua vera condanna: vivere ancora nell’illusione del potere. Torna a casa, ripete in stato confusionale: “Siamo a posto, siamo a posto, vi assicuro che andrà tutto bene“, “Possiamo ricominciare daccapo“. Si agita, si danna, urla, è ancora vivo, più vivo, come è stato in tutti i momenti di crisi che ha dovuto affrontare fino a quel momento. Ha attraversato ancora una volta, l’ennesima volta, quel deserto col quale tanti personaggi si confronteranno anche in Better Call Saul, a partire da Jim e passando per Nacho.
Là, ancora una volta, ha ritrovato vigore e convinzione, certezza della sua natura.
Il deserto ti spoglia, ti lascia senza nome, senza etichette, ti rende un “horse with no name“. Nel deserto puoi ricordare il tuo vero nome perché tutto è dolore. Cadono le illusioni, le sovrastrutture e rimane l’uomo a nudo con sé stesso. Per Nacho sarà il luogo della redenzione, perché anche nel deserto c’è vita. Per Walt è lo spazio della conferma: lui è, nella sua essenza, quella statua. Crollata, certo, ma ancora in grado di gridare -o almeno così è convinto- la sua potenza.
Sisifo fa rotolare un masso giorno dopo giorno, in una pena senza fine. Eppure, Camus lo immagina felice, proprio nell’assurdità di questo suo lavorio eterno, proprio nel fardello che lo rende titanico e assoluto. Così è Walt, titanico e felice di trascinare quel suo badile di soldi, di perderli e ritrovarli, in un costante ciclo che fin dall’inizio di Breaking Bad si era alimentato dell’illusione di uno scopo (pagarsi le cure e un futuro per i figli). Ora, all’apparir del vero, sa che uno scopo non c’è mai stato, ma nonostante questo, anzi proprio per questo, bisogna immaginare Walt felice. Perché ora, spogliato di tutte le sue giustificazioni da brav’uomo, può mostrarsi per quello che è davvero abbracciando senza remore morali la sua vera natura.
A farne le spese è chiunque lo circonda. In questa 5×14 di Breaking Bad tutti i protagonisti sono metaforicamente e letteralmente a terra.
Lo è in primis Hank, pronto ad essere giustiziato, lo è anche Jesse che supplica pietà di fronte a tanto dolore. Pinkman torna nel suo inferno personale, in un laboratorio di meth che prima nella forma di un caravan poi di uno scantinato era sempre stato la sua prigione e che ora lo vede anche fisicamente incatenato. Ma a terra sono anche Skyler e Marie. Tu, misera, cadesti. All’apparir del vero, di fronte alla rivelazione della fine di Hank entrambe si lasciano cadere esanimi mentre la mano della morte, la mano di Walt, mostra loro di lontano l’età dell’irreversibile, il punto di non ritorno.
E se per loro non è ancora il tempo di sprofondare con la faccia nella sabbia è solo perché Walt si agita ancora, si nutre ancora di illusioni residue. Davanti a lui c’è la distruzione di ogni aspetto della sua vita: degli affetti, del suo potere, dell’impero che aveva creato. Ma inconcepibilmente Heisenberg non vuole accettare la realtà. “Ma che diavolo vi ha preso a tutti e due, noi siamo una famiglia… Noi siamo una famiglia“, prova a illudersi ancora. Nel lutto, che non è tanto il lutto per Hank ma il lutto per il potere perso, Walt è di nuovo nella fase della negazione: non si era accorto che la decisione di fucilare Hank era già stata presa, non si era accorto che il suo potere è distrutto e ora non si accorge che anche il suo nucleo familiare non esiste più.
Ma ancora una volta ecco l’apparir del vero: quello stesso Walter Jr. che dopo Skyler impugna anche lui un coltello, con un gesto di protezione si frappone alla madre e chiama la polizia. I coltelli e il telefono erano lì dall’inizio, magistralmente inquadrati dal regista diversi minuti prima, inerti, oggetti scenici di un atto ancora non visibile eppure in un certo senso già potenzialmente nel loro passato remoto. Perché quei coltelli e quel telefono la famiglia di Walt era destinata da tempo a usarli contro di lui. E neanche di fronte a questo, neanche di fronte alla rivolta dei suoi stessi familiari Walt può accettare l’apparir del vero. Prova a preservare un’illusione, una parvenza di famiglia prendendosi Holly, ultimo baluardo di un’unità familiare infranta già da tempo, da diverse stagioni di Breaking Bad.
E di nuovo, e ancora, per l’ennesima volta, il vero gli si para di fronte, appare in tutta la sua cruda realtà pronto a bruciare l’ultima illusione: Holly si lamenta, ripete “ma-ma” negando così un ruolo di padre a Walt, piagnucolando il suo desiderio materno. È la fine: tu, misera, cadesti. La speranza familiare è infranta e Walter prova a preservare quantomeno il futuro dei suoi cari con una chiamata -che sa registrata- in cui si addossa tutte le colpe scagionando Skyler. Ci sarà tempo per dire addio anche al suo vero grande amore, con un finale scoppiettante, con un saluto in grande stile, da vinto e vincitore ma non è questo il tempo. C’è ancora qualche illusione di potere da far cadere perché la statua di Ozymandias, il re dei re, vada in rovina sepolta sotto le piatte sabbie solitarie del deserto.
Un cane attraversa la strada, e con questa immagine si chiude la 5×14 di Breaking Bad. Un cane solitario, randagio. Senza famiglia, senza casa, senza un luogo in cui andare e nessuno da cui tornare. Eppure ancora scattante, con una certa vivacità. Pronto a giocarsi ancora le sue carte prima di cadere per sempre, misero, all’ennesimo, definitivo, mortale apparir del vero.