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Citadel: Honey Bunny, la recensione dello spin-off indiano del franchise spionistico di Prime Video

Honey parla con sua figlia Nadia
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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sui sei episodi di Citadel: Honey Bunny

Il franchise di Citadel continua a espandersi. Dopo l’uscita dello spin-off italiano (potete recuperare qui la recensione), arriva anche quello indiano, che si ricollega all’opera originaria in un modo molto più diretto di quanto fatto dalla precedente produzione derivata. Citadel: Honey Bunny (visibile sulla piattaforma di Prime Video) segue le vicende dei due agenti Honey e Bunny, e ci presenta pure una piccola Nadia (eccolo il collegamento di cui parlavamo con la serie madre), mostrandoci il contesto in cui è cresciuta e inquadrando meglio, dunque, il suo background. Al di là di questo aspetto, comunque interessante, Citadel: Honey Bunny prova a differenziarsi dalle altre serie tv del franchise. E in parte ci riesce, pure se più a livello concettuale che “geografico” e soprattutto narrativo.

Parleremo meglio del taglio peculiare dato alla narrazione dalla serie tv di Prime Video e della sua localizzazione (elemento che sta particolarmente a cuore alle produzioni del franchise di Citadel). Questi sono i due aspetti più interessanti, oltre i quali c’è però una serie tv che non riesce a distinguersi granché. Siamo di fronte sicuramente a una visione godibile, che però lascia un po’ poco agli spettatori, pur dando il suo contributo al franchise. Tuttavia, il conclamato universo di Citadel, in generale, si sta assestando su un livello medio, che rende anche piacevole il racconto, ma che sicuramente è lontano dalle aspettative della vigilia. Andiamo a fondo, dunque, della recensione di Citadel: Honey Bunny, e con l’occasione vi proponiamo anche i cinque migliori momenti della serie madre.

Honey parla con sua figlia Nadia
credits: Prime Video

L’ambientazione e i riferimenti temporali di Citadel: Honey Bunny

È importante innanzitutto sottolineare come la serie indiana si ponga, oltre che come spin-off, anche come una sorta di prequel del racconto primario. Almeno formalmente, perché poi, a dirla tutta, non è assolutamente necessaria la visione di Citadel per poter apprezzare questo capitolo su Honey e Bunny. La piccola Nadia è l’elemento ponte tra le due serie tv, ma è un’aggiunta preziosa, non una condizione di comprensione. È sicuramente interessante vedere le scene con la bambina. Comprendere il contesto in cui è cresciuta e la formazione che ha ricevuto. Però nel più ampio disegno narrativo di Citadel: Honey Bunny rimane un elemento altamente secondario. Questo è, intanto, un punto favore per lo spin-off, che riesce ad allacciarsi direttamente alla serie madre, pur camminando sui propri piedi.

Per il resto, il racconto si muove a cavallo di diversi anni, andando a tessere una trama che in alcuni passaggi pretende di essere più complessa di quello che poi è realmente. Si fa un po’ fatica, infatti, a seguire l’incedere narrativo, rallentato, come vedremo, anche da altri fattori che pretendono (giustamente) il proprio spazio. La costruzione temporale, comunque, ci aiuta sicuramente a definire il personaggio di Honey, ma inficia un po’ sulla struttura narrativa, che presenta forse la storia meno interessante tra le tre disegnate finora dal franchise. Al netto, comunque, della possibilità di andare maggiormente a fondo delle radici di Citadel, l’elemento narrativo più interessante in un plot che però zoppica in un po’ troppi passaggi.

La grande novità

Il principale tra gli “altri fattori” a cui facevamo riferimento prima è l’attenzione posta sull’aspetto relazionale. C’è uno sguardo prevalentemente intimo in Citadel: Honey Bunny, che deriva dalla cura riservata all’approfondimento dei rapporti tra i protagonisti. Questo è un importante elemento di novità, che possiede dei risvolti positivi e negativi. Da un lato c’è un’aggiunta preziosa al background dei personaggi, perché sicuramente Honey è molto ben delineata grazie all’analisi dei suoi legami con Bunny e Nadia. Dall’altro, però, questa prevalenza dello sguardo intimo va a inficiare un po’ sul ritmo narrativo, che si fa meno serrato e coinvolgente. Se la storia, come dicevamo nel paragrafo precedente, non appassiona, è anche per questo motivo.

Un prezzo da pagare per avere, invece, un personaggio complesso. Honey è la stella più luminosa della serie tv di Prime Video e possiede una profondità che spesso non riesce a essere raggiunta nel genere spionistico, proprio perché in molte occasioni manca questo sguardo intimo. L’enfasi sull’aspetto relazionale, inoltra, dota Citadel: Honey Bunny di un’anima che scardina la facciata un po’ asettica delle precedenti produzioni.

A conti fatti, si possono individuare più pregi che difetti in questa scelta concettuale che ha segnato profondamente lo spin-off di Prime Video. I passaggi più intimi sono i più coinvolgenti e interessanti, e si crea una profonda empatia con la protagonista e con i suoi legami stretti. Certo, un po’ di adrenalina si perde, e chi cerca soprattutto quella è destinato a rimanere parzialmente deluso da Citadel: Honey Bunny. La scelta, però, rimane interessante e tutto sommato azzeccata.

Bunny addestra Honey nel diventare un'agente
credits: Amazon Prime Video

La localizzazione

Passiamo ad analizzare uno dei principali obiettivi della serie tv. Quando siamo stati all’anteprima di Citadel: Diana, lo spin-off italiano del franchise, è stata posta molta enfasi sull’esigenza di localizzare a dovere le diverse produzioni dell’universo condiviso. Effettivamente, anche qui in Citadel: Honey Bunny si vede il taglio diverso, soprattutto nelle ambientazioni e nelle atmosfere. Un po’ meno, invece, sul tessuto narrativo, perché il plot inscenato dallo spin-off di Prime Video non possiede una sua precisa identità. A differenza, e lo ribadiamo, della caratterizzazione dei personaggi, questa invece peculiare e ben realizzata.

Ad ogni modo, ci sembra che Citadel: Honey Bunny riesca a raggiungere un certo equilibrio tra lo sviluppo personale e l’aderenza all’universo condiviso. In alcuni aspetti c’è un bilanciamento maggiore, in altri minore. Un po’ come accaduto, d’altro canto, in Citadel: Diana, dove abbiamo trovato una situazione un po’ inversa, con la storia peculiare, ma la caratterizzazione un po’ meno personale. È evidente, comunque, un certo senso di armonia tra le tre diverse produzioni del franchise e questo è sicuramente un risultato importante. Poi c’è sicuramente molto da migliorare, e su questo non si discute, ma l’obiettivo di rendere identitario ogni show dell’universo condiviso può essere sicuramente centrato seguendo la strada tracciata.

Un giudizio finale su Citadel: Honey Bunny

Quindi, tirando le somme, qual è il bilancio finale di Citadel: Honey Bunny che ci sentiamo di stendere? Siamo in un contesto abbondantemente e ampiamente sufficiente. Nel senso che questa sufficienza è sicuramente abbondante, perché come detto il racconto scorre e risulta abbastanza godibile. Ma è anche ampia perché investe quasi tutti gli aspetti della produzione, eccezion fatta per quello sguardo intimo su Honey che ci sembra l’elemento, per distacco, di maggior valore della serie tv. Ne consegue, quindi, un bilancio sufficiente, e a questo punto però bisognerebbe interrogarsi sulle aspettative del franchise. Basta la sufficienza?

Annunciato in pompa magna, finora il mondo di Citadel ha appassionato, ma non ha sicuramente conquistato. Le basi ci sono, e si rincorrono dall’opera madre. Manca però quel qualcosa per fare il salto di qualità. Possiamo restare fiduciosi nel vedere come il contesto si evolverà, attendendo le prossime produzioni del franchise (al momento non annunciate, tranne che per la seconda stagione della serie madre). Per ora siamo davanti a una narrazione godibile, che non scivola e non eccelle. Una narrazione di cui Citadel: Honey Bunny ne è piena e veritiera espressione.